Sono esplosi anche in Italia i prodotti editoriali multimediali. Ma non basta venderli e comprarli. Se si vuole garantir loro la stessa utilità e dignità dei loro progenitori a stampa occorre raccoglierli; conservarli; catalogarli e renderli disponibili anche al di là della prima distribuzione commerciale. Nasce una professione tutta nuova. O no?
La biblioteca è quel posto – polveroso, noioso e assolutamente fuori moda – dove si possono leggere i vecchi libri e periodici che non sono più in commercio e dove si possono prendere in prestito quelli più recenti che non si possono o non si vogliono acquistare in libreria o in edicola. Si tratta di una definizione minimale e riduttiva, come testimoniano i lettori che ne frequentano abitualmente almeno una, e come cercherò anch’io qui di suggerire, ma molti italiani non hanno raggiunto neppure questo minimo livello di conoscenza riguardo alle migliaia di biblioteche esistenti nel nostro paese. Non si spiegherebbero altrimenti la frequente confusione che si verifica, anche sulle bocche di persone di media cultura, fra biblioteche e librerie, e il fatto che forti lettori come quelli che spediscono lettere alla rivista della Feltrinelli «Effe» implorino gli editori di ristampare determinati titoli, considerando questa l’unica via possibile per poterli finalmente leggere.
La biblioteca è però anche quel luogo – sempre più centrale nella società contemporanea – dove ogni tipo di informazione viene messo a disposizione dei cittadini che ne hanno bisogno per motivi di studio, di lavoro o di semplice curiosità, attingendo alle pubblicazioni conservate in loco, raggiungibili in linea o richieste ad altre biblioteche e agenzie, oppure indirizzando l’utente verso la biblioteca specializzata o il punto informativo non bibliotecario (archivio, ufficio pubblico, libreria ecc.) più adatto a sciogliere il suo dubbio. È a questo tipo di definizione (la biblioteca come centrale informativa piuttosto che come libreria dei poveri e degli eruditi) che fanno riferimento tutti quei film (spesso americani, mai italiani) in cui il detective – personaggio in genere prestante, dinamico e scarsamente dedito agli studi – varca deciso il portone di una biblioteca ogni volta che sta per intraprendere un’indagine approfondita in un ambito a lui ignoto.
Le pubblicazioni che le biblioteche devono conservare, catalogare e distribuire non sono ormai solo libri, riviste e quotidiani stampati su carta. Gli ultimi decenni hanno visto un’incredibile accelerazione dell’offerta editoriale, non solo dal punto di vista delle tirature e dei titoli ma anche da quello dei supporti fisici. Le tecnologie e i media si sono moltiplicati, tanto da rendere arduo fornirne un elenco aggiornato ed esaustivo. Ormai quasi tutte le biblioteche (qui da noi soprattutto in Lombardia e in Emilia Romagna) sono già – qualcuna più, qualcuna meno – delle mediateche, intendendo il termine nel senso più ampio possibile come «il centro onnicomprensivo di tutte le teche possibili: fototeca, discoteca, videoteca, nastroteca» (Gianna Landucci, Mediateca, Associazione Italiana Biblioteche, 1992).
Anche di questo però non molti si sono accorti – almeno fra i più giovani -, visto che, nella primavera del ‘98, su «il mucchio selvaggio» – rivista fra le più diffuse e autorevoli nel settore della musica rock – un lettore ha comunicato con entusiasmo di aver finalmente scoperto come superare il problema dell’alto prezzo dei CD musicali: basta entrare in una biblioteca pubblica ben fornita e prenderli gratuitamente in prestito. La notizia ha fatto scalpore: è finita in copertina (Caro CD? Andiamo in biblioteca!) e ha alimentato un piccolo dibattito, in cui è intervenuta anche una bibliotecaria. Peccato purtroppo che l’attuale normativa penalizzi il prestito di documenti musicali e video rispetto a quelli cartacei, impedendolo per i primi diciotto mesi dalla pubblicazione.
A rigore, la biblioteca, ovvero la «teca» dei libri (Le teche del Duemila, a cura di Franco Alberto Ghidini, Paolo Malpezzi, Everardo Minardi, Angeli, 1993), dovrebbe costituire semplicemente la sezione della mediateca dedicata ai libri, ma in realtà il termine «biblioteca» ha già ampiamente perso il proprio riferimento esclusivo ai documenti stampati su carta, e quasi tutte le strutture che si fregiano di tale nome conservano anche microfilm, microfiches, audio e videocassette, CD-audio, CD-ROM, floppy e via elencando, fornendo perfino talvolta l’accesso telematica a media più «immateriali», come le banche dati e le altre informazioni raggiungibili via Internet. L’ultimo arrivato accampa però spesso, rumorosamente, più diritti dei silenziosi inquilini millenari, e, visto che il 1996 e il 1997 sono stati gli anni del boom editoriale multimediale in Italia (vedi il «Diario multimediale» di Cristina Mussinelli in Tirature ‘98 e Il mercato dell’editoria multimediale, a cura di Roberto Liscia, Guerini e Associati, 1998), nel 1998 se scrivi «mediateca» tutti leggono «teca dei multimedia».
A Milano si sta alacremente lavorando per inaugurare nel 2000 la sezione digitale distaccata della storica Biblioteca Nazionale Braidense, che si insedierà nell’ex chiesa settecentesca di Santa Teresa, restaurata, ristrutturata e cablata per accogliere una serie di documenti esclusivamente elettronici, che potranno essere consultati sia dagli utenti locali che da quelli remoti collegati via Internet. La nuova struttura è già stata battezzata Mediateca Santa Teresa, sarà aperta gratuitamente a tutti i cittadini – seguendo la tradizione delle biblioteche pubbliche – e si specializzerà nella ricerca e nella distribuzione di materiale elettronico multimediale conservato in loco o raggiungibile in rete.
A Bologna sono in stato ancora più avanzato i lavori per un progetto più vasto, anche stavolta localizzato – com’è tradizione italiana – in un edificio storico, l’ex Sala Borsa. L’obiettivo in questo caso è la realizzazione di una biblioteca completa, dotata di libri e riviste a stampa, ma anche di ogni tipo di pubblicazione elettronica, video e audio, dalle banche dati ai giochi, dai corsi di autoapprendimento ai libri elettronici, dai film alla musica classica e leggera. Stavolta la struttura, non limitandosi ai prodotti multimediali, ma comunque puntando molto su di essi, si chiamerà Biblioteca multimediale Sala Borsa e anch’essa dovrebbe essere ultimata per il 2000.
In entrambi i progetti si è cercata e trovata la collaborazione dei bibliotecari, ovvero dei professionisti che da sempre si occupano di organizzare e gestire quei complessi organismi per la ricerca e la distribuzione dell’informazione che sono le biblioteche, e ad alcuni di essi sono stati affidati compiti di alta responsabilità, nella consapevolezza che il recupero architettonico e l’approntamento della infrastruttura informatica sono aspetti fondamentali ma tutto sommato strumentali anche nella nuova prospettiva multimediale. Progetti di questa portata sollevano con maggiore visibilità problemi che ogni biblioteca sta affrontando (vedi I: automazione delle biblioteche nel Veneto: l’irruzione della multimedialità, atti del nono Seminario Angela Vinay, 5 dicembre 1997, Fondazione scientifica Querini Stampalia, Venezia); fra cui, per esempio:
l. Come garantire la preservazione nel tempo di documenti elettronici sottoposti a gravi rischi di obsolescenza dei relativi supporti fisici, così come del software e dell’hardware necessari per decifrarli?
2. Come catalogare (attività indispensabile per permettere di individuare poi proprio l’informazione desiderata) documenti multimediali poveri o addirittura privi di parti testuali cui fare riferimento?
3. Come gestire il delicatissimo problema del copyright, in un mondo digitale dove copiare è facile, poco costoso, rapido, e produce un secondo originale ?
Gli strumenti culturali e il know-how tecnico per affrontare e risolvere efficacemente questi problemi appartengono a quella disciplina che in inglese viene chiamata library and information science, che è in gran parte assimilabile all’italiana «biblioteconomia», e che da un lato confina, ma non si sovrappone, con l’informatica. Il «mediatecario» non ha un ruolo sostanzialmente diverso da quello del bibliotecario, bensì rappresenta una sua specializzazione. I bagagli professionali in gran parte coincidono, attingendo entrambi soprattutto dall’ambito biblioteconomico.
Un terzo grande progetto multimediale ha rischiato di partire nel 1998 col piede sbagliato, proprio perché si stava dimenticando che mediateche e mediatecari sono specificazioni, e non alternative, rispetto a biblioteche e bibliotecari. Si tratta del piano d’azione «Mediateca 2000», promosso dal ministero per i Beni Culturali e Ambientali con lo scopo di creare su tutto il territorio nazionale, cominciando dal Meridione, una rete di mediateche e di archivi audiovisivi, e di favorire l’alfabetizzazione informatica e l’educazione alla multimedialità come supporto allo studio e all’inserimento nel mondo del lavoro. Obiettivi ottimi e ampiamente condivisibili, ma anche terribilmente ardui da raggiungere, volendo evitare la demagogia e il velleitarismo di slogan come «2000 mediateche per il 2000» in un paese in cui ancora molti comuni, soprattutto del Meridione, sono privi sia di una biblioteca sia di una libreria. Se non si hanno i mezzi economici e culturali per moltiplicare progetti come quelli bolognese e milanese (non a caso dislocati in città universitarie, già dotate di numerose biblioteche, nel cui alveo si inserivano anche le nuove realizzazioni) e non si vogliono neppure costruire delle «sale giochi nel deserto», ovvero delle stanze avulse dal contesto culturale e informativo locale dove vengono ammassati un po’ di computer collegati a Internet e dotati di una manciata di CD-ROM di moda, privi di assistenza specializzata e destinati a una rapida obsolescenza, la via da percorrere è solo una.
Bisogna potenziare le biblioteche che già esistono, migliorando la formazione biblioteconomica dello staff, garantendo loro attrezzature e consulenze informatiche adeguate e arricchendone le collezioni di documenti, tradizionali e multimediali, senza infatuarsi di un tipo di supporto piuttosto che di un altro, ma badando alle reali esigenze informative locali. E dove le biblioteche non esistono occorre crearne di nuove, adeguate ai tempi e quindi dotate anche di un settore multimediale e di personale in grado di sceglierlo, conservarlo, aggiornarlo, catalogarlo, spiegarlo e consigliarlo.
È stato «peraltro positivo che il primo passo del progetto sia stato mosso in direzione della formazione degli operatori, con corsi per giovani laureati o diplomati, non inseriti nel mercato del lavoro; corsi che in un primo momento saranno riservati alle regioni del Mezzogiorno, anche se si prevedono successive iniziative nelle altre aree del paese e per il personale che già opera in biblioteche e mediateche» (vedi Landucci, nella sua relazione al già citato Seminario Vinay). I corsi però, nella loro primitiva impostazione, rischiavano di essere troppo centrati sugli aspetti tecnologici e sociologici e di lasciare in ombra il ben più centrale nocciolo biblioteconomico. Grazie alla decisa pressione dell’Associazione Italiana Biblioteche, che è stata coinvolta nell’allestimento dei pacchetti formativi, questo pericolo è stato sventato, e l’assetto definitivo dei corsi effettuati durante il 1998 è risultato equilibrato e quasi ovunque di buon livello qualitativo. È auspicabile che anche nella futura fase di realizzazione delle mediateche si voglia tenere debito conto del parere dell’associazione professionale dei bibliotecari (e quindi dei mediatecari).
Quando uscì il sistema operativo Windows 95 della Microsoft di Bill Gates, i sostenitori del sistema Macintosh della Appie, che già nel 1984 utilizzava l’interfaccia grafica amichevole poi copiata (malamente, secondo alcuni) da Gates, diffusero una maglietta con la scritta «Windows 95 = Macintosh 84», per sottolineare come tutti gli aspetti migliori del nuovo prodotto fossero già presenti nel concorrente di oltre dieci anni prima, che oltre tutto nel frattempo si era perfezionato. Analogamente, la quasi totalità delle problematiche connesse col trattamento dei prodotti multimediali a scopo informativo è già oggi patrimonio professionale della comunità dei bibliotecari.