Quando nel 1992 apparve per la prima volta Tirature, la previsione, anzi la speranza, era che l’iniziativa riuscisse a durare per un cinque anni. Siamo realistici, ci si diceva, questo è un prodotto che non ha mercato: anche se, qui sta il bello, è proprio del mercato letterario che intende occuparsi. L’idea base infatti era di concentrare l’interesse sui libri che piacciono alla gente qualunque, influenzano l’opinione pubblica, esprimono gusti e tendenze diffuse nell’immaginario collettivo: non per osannarli o denigrarli, si capisce, ma per discuterli attentamente, prendendoli sul serio, senza spocchia, come occasioni per un discorso critico sullo stato della cultura letteraria in Italia. Ma il punto è che i lettori di quei libri non sono naturalmente in grado di apprezzare il criticismo analitico esercitato nei loro riguardi. D’altronde i lettori colti trovano inutile, fuorviante, indecoroso dedicare tempo a mercanzia che ha poco o nulla da spartire con l’arte letteraria e va considerata spazzatura. C’era dunque qualcosa di molto atipico in questo Tirature, come del resto già il titolo denunciava provocatoriamente, richiamando l’attenzione sui dati quantitativi, le cifre, le statistiche che danno misura della circolazione effettiva degli oggetti librari: realtà di cui, per motivi analoghi e opposti, non importa nulla né agli accademici né agli avanguardisti, né agli snob raffinati né ai recensori accomodanti. Il suo pubblico semmai Tirature doveva cercarselo fra i redattori e collaboratori editoriali, i librai, i bibliotecari, tutti coloro che per necessità professionali hanno del libro un’idea meno retorica, meno tradizionalista di quella prevalente fra i letterati puri. Ma soprattutto si trattava di cercar di coinvolgere i settori più illuminati della grande area dell’insegnamento medio: impresa non delle più agevoli.
Eppure, questa è la settima volta che Tirature giunge in libreria (c’è stato un salto d’annata, il 1997, ma non per aumentarsi l’età, solo perché è parso meglio evocare in copertina l’anno in arrivo invece di quello trascorso). Dunque un riscontro positivo lo si è avuto, una cerchia di destinatari si è coagulata, delle attese sono state colmate. Nessun primato nelle classifiche dei best seller, s’intende, ma risultati di vendita dignitosi, nella categoria della saggistica. È vero che sono intervenuti due cambi di editore; però entrambe le volte il trasloco non ha implicato una perdita di continuità. Bisogna anzi aggiungere che il primo editore, Einaudi, durò una sola annata; il secondo, Baldini & Castoldi, ha persistito cinque anni; il terzo, di questo passo, dovrebbe inoltrarsi nel Duemila. Del resto questa nuova collocazione assomiglia a un rimpatrio, se si tiene conto che il Saggiatore aveva tenuto a battesimo Pubblico, padre legittimo di Tirature. È giusto ricordarlo perché nel 1977 era una vera prova di spregiudicatezza impegnarsi a diffondere un prodotto decisamente non allineato, rispetto agli scontri ideologici di allora fra umanisti all’antica e contestatori globali. Oggi poi alla sigla il Saggiatore si affianca quella della Fondazione Mondadori, che all’attività di studio, ricerca, archiviazione intende aggiungere una presenza di intervento militante come quella assicurata appunto da questo annuario.
E poi ovvio tenere conto che tante cose sono cambiate, stanno cambiando nel panorama socioculturale, e non tutte, non sempre in peggio: anche specificamente per quanto riguarda gli autori, gli editori, i lettori di libri. Beninteso, c’è chi continua come prima e più di prima a gridare all’apocalisse incombente, anzi già avvenuta. Ma cresce intanto, specie tra i giovani, gli studenti, il numero delle persone convinte che serva a poco demonizzare la televisione, maledire il computer, esecrare l’industria culturale, insomma ricusare tutte le vie del progresso tecnico, scientifico, economico. li mondo di fine Novecento sarà per certi aspetti più soffocante, più minaccioso ma per altri è più aperto, più arioso di quelli che l’hanno preceduto. Non si tratta di accontentarsene, questo mai, ma di sfruttare tutti gli spazi a disposizione per renderlo meglio vivibile, e non solo per una élite ma per l’insieme della cittadinanza. n campo della cultura libraria manterrà la sua importanza decisiva solo a patto di diventare più libero, più democratico, più partecipativo, senza cedere al panico per l’avanzata di nuovi ceti e categorie di pubblico, portatori di esigenze, gusti e valori poco in linea con i precetti delle vecchie caste dei colti. In altre parole, un po’ più di fiducia e magari di entusiasmo per il millennio futuro farebbero un gran bene alla nostra intellettualità letteraria.
Per intanto, il gruppo redazionale «tiraturesco» si è consolidato e allargato: ai membri iniziali – Giovanna Rosa, Gianni Turchetta, Mario Barenghi, Alberto Cadioli, Luca Clerici, Bruno Falcetto, Fabio Gambaro, Gianni Canova, Paolo Giovannetti, Paolo Soraci, Bruno Pischedda, Maria Sofia Petruzzi – si sono aggiunti, fra gli altri, Giovanni Peresson, Dario Moretti, Raffaele Cardane, Pierfrancesco Attanasio, Paola Dubini, Giuseppe Gallo e Laura Lepri; tutti giovani o postgiovani, salvo il coordinatore, che rialza l’età media. Una équipe bene attrezzata per svolgere un compito complesso come quello di mettere in rapporto il mondo della letteratura e il mondo dell’editoria, nelle loro diverse logiche istituzionali e nell’interdipendenza delle rispettive responsabilità verso i lettori. Tirature ha un’indole bifronte. E anche il suo impianto ha due facce: quella del libro-rivista, che si articola in una serie di messe a punto su fenomeni, eventi, tendenze di attualità; e quella dell’annuario, che memorizza in rubriche fisse dati e notizie utili alla consultazione futura. Notoriamente, a voler fare troppe cose si rischia di scontentare tutti. Però vale la pena di provarcisi, se si intende cercare di ammodernare l’idea invalsa di letteratura, sgombrandola delle tare che danno al vocabolo stesso un suono piuttosto aulicheggiante: peccato che non sia facile trovargli un sostituto altrettanto efficace ma di tono più familiare.