Di tutto si può parlare, ma certo non della morte del fumetto. Si moltiplicano le fumetterie, aumentano i piccoli (anche piccolissimi) editori, si allargano gli spazi dedicati ai fumetti nelle librerie normai, appaiono sul mercato delle edicole novità di grandissimo successo come i Simpson. Insomma il fumetto oggi continua ad attrarre bambini e adolescenti e comincia a far presa anche sugli adulti, grazie alla capacità di creare appartenenza a un gruppo, di allargare il proprio raggio d’azione e di presentare generi e sfaccettature sempre diversi.
Che nessuno più si azzardi a dire che il fumetto muore, che è in crisi, che tira le cuoia. Il fumetto non è una specie animale, se dio vuole, così come non è un genere (il genere può invecchiare. Come il western, che ormai si può riesumare giusto con operazioni nostalgiche o da parodia). Il fumetto è più simile a madre natura, piuttosto (quando anche questa dovesse morire non ci sarebbe più nessuno a profetizzarne la fine). Quindi zitti perché il fumetto – come il genere animale sa fare – per assicurarsi la sopravvivenza assume continuamente forme diverse, allunga unghie e colli, forgia code diverse, per non parlare delle forme dei musi, di quelle dei denti, degli occhi, delle pinne e delle zampe. Oggi c’è così tanto fumetto in giro per il mondo, così tanti autori, stili, personaggi, formule editoriali, che la salvezza è già un argomento del passato. La moltiplicazione delle forme ha avuto un successo per certi aspetti imprevisto, e ora bisogna rimboccarsi le maniche per non lasciarsi sfuggire occasioni già mature, che stanno per cascare dagli alberi. Creative e editoriali.
Certo, il fumetto non è più il medium popolare che fu agli inizi quando raccontava come il cinema ancora non sapeva fare, né quando riusciva a costruire un contatto quotidiano tra lettori e personaggi, come la radio e la televisione avrebbero imparato a fare ispirandosi proprio alle strisce dei quotidiani.
Però non è neanche più quel prodotto così rozzo che ha fatto sì che in Italia «fumetto» fosse già un brutto certificato di qualità. E poi, sulle fondamenta di una nostalgia imperante, qualche anno fa il fumetto si costruì una valenza culturale (che comunque oggi davvero non si nega a niente e nessuno). Allora si parlava di fumetto d’autore e di fumetto popolare, come fossero due flussi paralleli inarrestabili. Oggi dei due non rimangono che tracce confuse nelle molteplici nicchie di mercato che a volte sono vere miniere d’oro: «nicchione» di fronte alle quali l’editore arrivato troppo tardi non può che picconarsi la cervice.
La prima «nicchiona» è stato il manga, il multiforme fumetto giapponese, che continua a entusiasmare tutta una generazione cresciuta con i cartoni nipponici; poi la più ovvia «nicchiona» americana, la cui formula di partenza è quella dei supererai destinati al pubblico adolescenziale; oltre Superman e Uomo Ragno offre una quantità di stimoli straordinari in un rapporto a doppio senso con il cinema, la televisione, il cartone animato, la musica, i videogiochi, Internet, il merchandising.
Un tempo chi amava il fumetto poteva rischiare di sentirsi costretto in un’isola più o meno felice. Oggi, senza dubbio, il fumetto è uno dei percorsi attraverso i quali si entra a contatto con il mondo. Da qualsiasi parte lo prendi, come nel gioco del bersaglio della settimana enigmistica, alla fine il percorso porta a far sì che la lettura non sia l’esperienza individuale e solitaria che poteva essere un tempo. I fumetti creano appartenenza a un gruppo, anzi, a più gruppi diversi: da un punto di vista commerciale questo è un segno che è riduttivo definire positivo. Il direttore della centrale nucleare dei Simpson, Montgomery Burns, esclamerebbe: eccellente …
Ed ecco così un primo dato nuovo della recente stagione editoriale a fumetti: le cosiddette fumetterie – i negozi specializzati che però allargano il loro raggio d’azione alle videocassette, al merchandising, ai dischi, eccetera eccetera – non sono più un plus: la loro attività è divenuta fondamentale per l’editoria specializzata. Proprio come era accaduto negli States vari anni fa. Gli editori italiani di manga e di comics americani – soprattutto i primi – non potrebbero sopravvivere solo con le edicole. E le fumetterie si moltiplicano: si contano circa duecento punti vendita di un certo riguardo su quattrocento totali (non esiste una schedatura ufficiale in proposito). Ora arrivano anche in provincia. E consentono la moltiplicazione di piccoli, anche piccolissimi editori – non solo fanzinari – ma anche di giovani autori che si autoproducono, di scuole di fumetto che pubblicano i saggi di fine anno: insomma, permettono la creazione di un terreno nuovo e fertile, nel quale ci sono i cloni dei fumetti di successo, come è logico che sia. Ma c’è anche qualche barlume di nuovo.
Ancora sulle fumetterie. Alcune testate giapponesi della Star Comics – la casa editrice che, sotto la guida dei superesperti Kappa Boys, pubblica i manga più venduti – fatturano nei negozi specializzati più del 50%. Gli americani – che vendono meno dei manga e tra i quali la Marvel dell’Uomo Ragno va meglio della DC di Superman – nelle fumetterie smerciano ben il 30% del venduto. Eccellente …
Nelle fumetterie c’è posto anche per le nicchie: per esempio i libri. Quelli di Wil Eisner, l’americano più europeo del mondo (pubblicati da Punto Zero, vendono tra le tre e le quattromila copie), quelli di Terry Moore (Strangers in Paradise), Dave McKean (Cages) e Jeff Smith (Bone) pubblicati da Macchia Nera, quelli della lmage (da «The Invisibles» a «The Preacher») proposti dalla Magie Press (che ha cartonato anche «Stray Bullets», che dovrebbe essere oggetto di studio da parte di Quentin Tarantino), e poi la Lizard che pubblica Hugo Pratt e Vittorio Giardino, la Eura con i suoi personaggi e autori argentini e francobelgi, la Rizzoli con Manara e i nuovi libri nostalgici su Mandrake, Popeye, Superman e Martin Mystère, Kappa edizioni con le nuove proposte italiane, da Toffolo a Vinci, le proposte di lusso della Hazard e di Alessandro, quelle raffinate di Phoenix, Le Mani, Stampa Alternativa e Edizioni Di, quelle audaci della Topolin Edizioni. È stata una lista troppo lunga? Forse sì, ma bisognava pur dare un’idea di quanto si stia facendo oggi rispetto ai soliti BUR di Lupo Alberto e i libroni Mondadori sugli eroi Bonelli o su Diabolik di poco tempo fa. Ora il fumetto allarga il suo raggio d’azione anche a livello linguistico: dai supererai che pretendevano il superamento delle vignette per paginone piene di colore si è poi arrivati a un misto di vignettine e dettagli e di campi lunghi con didascalie in prima persona, per poi ricominciare con le vignette senza didascalie (proprio lo Stray Bullets di cui si diceva prima) o a divisioni di pagina più tradizionali per fumetti dallo stile personalissimo (Eisner, Smith, Moore, Ennis, ecc. ). Il passaggio degli stili che fino a ieri causava la morte di quello precedente oggi moltiplica le possibilità e ciò che prima poteva invecchiare oggi diventa tradizione. E la tradizione è sempre – se rispettata, se amata, e naturalmente se rispettabile, se amabile – un ottimo punto di partenza per tutto ciò che si propone di rinnovarla. Eccellente …
Eccellente non solo perché ci sono più libri nelle fumetterie, ma anche perché si allargano gli spazi nelle librerie normali, nelle Feltrinelli e nelle Mondadori (anche se ancora in qualche occasione lo scaffale del fumetto coincide, probabilmente per via di Forattini, con quello dell’umorismo).
Ma attenzione: se il fumetto è diventato ufficialmente adulto e vaccinato, questo non vuole ancora dire che davvero si considerino i libri a fumetti degni di stare accanto ai loro cugini senza disegno. Siamo ancora lontani anni luce dalla Francia, dove i fumetti si possono leggere nelle librerie per poi decidere di comprarli o meno, dove un libro a fumetti (di Bila!) può vincere un premio come migliore libro dell’anno fra tutti i libri tutti, dove i best-seller della bedé si vedono accatastati in pile ad altezza d’uomo (e gli albi a fumetti sono assai meno spessi di un romanzo o di un saggio). No, per carità: per arrivare a quello troppi fogli dovranno passare nelle rotative. Però non è più la catastrofe di un tempo, quando da noi un albo cartonato che avesse il tipico formato alla francese riceveva dagli addetti ai lavori sguardi pieni di compassione e di condoglianza. Oggi l’albo ha un suo pubblico e soprattutto può continuare a conquistarlo proprio tra i lettori di libri altri. Soprattutto se si propongono con una forte componente narrativa. Il disegno troppo bello, troppo illustrato, che incide troppo sul tempo di lettura, sembra avere minori potenzialità di fronte al segno che ti spinge ad andare avanti, a cercare nella vignetta successiva il senso di quella precedente. È stato questo uno dei motivi del successo del manga, ma lo è anche di tanto fumetto angloamericano, con le ovvie eccezioni di D ave McKean (l’autore del raffinatissimo e pittorico Cages) e Alex Ross (autore del più sorprendente, iperrealista, marmoreo, leccato Superman della storia).
A proposito di analogie con la Francia, la vera crisi del fumetto la si riscontra anche lì con la morte delle riviste. Non ci sono più da noi (a parte «Linus» che sembra la Torre di Pisa), mentre oltralpe è nata da qualche mese «Bo Doi» che ancora sembra reggere.
Ma ormai è chiaro che le riviste di fumetti non riescono più a fare gruppo, a esprimere una loro personalità. Pensiamoci bene: questo è un fatto positivo, mica altro. Segno che il fumetto non è più un fatto di per sé, che davvero non è più un genere, che l’interesse, la passione, si frammenta, si divide, si compone nei diversi generi, nelle diverse sfaccettature editoriali, stilistiche, artistiche che il fumetto propone. Insomma, quello che si è già detto a proposito della capacità del fumetto di fare gruppo.
E in edicola allora cosa è rimasto? Prima di tutto le due grandi colonne del fumetto italiano: Bonelli e Disney. Perdono qualche lettore, è vero. Ma hanno avuto la capacità di armonizzarsi con la tendenza alla riproduzione, moltiplicazione e frammentazione. Un tempo Sergio Bonelli centellinava le sue novità editoriali. Faceva passare i mesi in attesa di un nuovo personaggio, del quale prima di uscire si udivano voci, e le supposizioni diventavano leggende che si lasciavano decantare fino all’evento. Oggi la politica è un’altra, le proposte si susseguono ed è evidente che questo è un processo legato anche alla monopolizzazione che la casa editrice milanese ha fatto degli autori italiani. La stragrande maggioranza di quelli che, oltre a essere validi, riescono a sopportare un alto ritmo di consegne, sta con Bonelli (e trema, come tutti i fedeli lettori, al pensiero che un giorno l’editore di via Buonarroti possa cedere alla tentazione di qualche grande impero editoriale). E così ecco Julia, Napoleone, Brendon, Magico Vento, Jonathan Steele, Gea. Qualcuno funziona bene, qualcun altro meno, ma anche questo fa parte della legge della natura. Dal canto suo anche la Disney, pur con molta più cautela, estende il suo target. Prima moltiplicava le testate per rivolgersi allo stesso pubblico, frammentadolo (le crescite nella vendite erano più significative con gadget succulenti). E invece ieri con PK e oggi con MM («Mickey Mouse Mistery Magazine»: i primi numeri disegnati da Giorgio Cavazzano e scritti da Tito Faraci sono dei veri gioielli) propongono Paperinik e Topolino in versione avventurosa e noir, e in formato supereroistico.
Si dovrebbero ancora citare le glorie sempre in salute Diabolik e Lupo Alberto, ma la vera novità fumettistica in edicola di quest’anno sono i Simpson a fumetti (non c’entra davvero il fatto che io sia coinvolto insieme a Francesco Artibani nella cura degli albi), pubblicati dalla Macchia Nera di Silver, che toccano venduti di ottantamila copie coinvolgendo un target vastissimo. I Simpson a fumetti e i Simpson a cartoni sono stati per anni in cerca di un editore e di una televisione. Più di un distributore, più di un editore ora si mangiano le mani per l’occasione perduta, e questo anche perché, dai Simpson in poi, il mercato americano si è dimostrato molto più coraggioso, proponendo cartoni per bambini assai più stravaganti, adulti e pazzoidi di quelli che si vedono qui. E ai bambini piacciono un mondo.
Dunque, ricapitolando, i fumetti attraggono ancora bambini e adolescenti, nonostante televisione e videogiochi. Più complesso il rapporto con i lettori adulti, ma nella moltiplicazione e nella frammentazione qualcosa anche qui migliora. E non è un caso che mai come in questi due anni si siano scritti e pubblicati in Italia saggi sul cartoon, sulla musica nel cartoon, sui Simpson, su Tex Avery, su come si scrive un fumetto, su Dylan Dog, sugli autori di Dylan Dog, e poi su Tex, naturalmente; sul fumetto giapponese, sugli autori del fumetto giapponese, sui supererai americani, sugli autori del fumetto italiano e francese. Eccellente …
Lasciatemi però dedicare queste ultimissime righe al vero capolavoro a fumetti di questi ultimi mesi. Il fumetto si moltiplica, dicevamo, e lo fa a dispetto degli alti costi di stampa, della carta che spenna gli editori, dei distributori che fanno pagare le rese. Un tempo, quando fare l’editore era molto più facile, il fumetto viveva anche dei cosiddetti «cartari»: veri avventurieri dell’editoria, improvvisati produttori di albi che ci provavano alla o la va o la spacca proponendo storiacce, personaggi improbabili, disegni da conversazione telefonica. Ecco, con Kill Killer sembrano ritornati anche loro, i cartari. Guardare per credere: è un albo incredibile, ideato da Roberto Galati, edito da Roberto Galati, distribuito da R. Galati Distribuzione. Copertina di Roberto Galati, Art Director: Roberto Galati (verificare in seconda di copertina). Mentre scrivo ho in mano il terzo numero, mica il primo. Il fumetto riesce a essere oggi sia il suo futuro sia il suo passato. Poi qualcuno si azzardi ancora a dire che muore.