Nonostante numerosi autori abbiano optato, soprattutto in anni recenti, per soluzioni alternative, sono ancora la maggioranza le opere in cui si muovono personaggi negativi messi in scena grazie all’utilizzo di strategie rappresentative tradizionalmente impiegate nella costruzione degli antagonisti; non si può, però, affermare altrettanto delle fanfiction, testi prodotti dai fan per ampliare e trasformare le loro narrazioni preferite, all’interno dei quali, non di rado, viene adottato il punto di vista dei cattivi e sono loro assegnati ruoli di primaria importanza.
A cosa ha pensato Voldemort nei suoi ultimi istanti di vita? O nel vedere Bellatrix morire? Quali sentimenti prova Moriarty per il suo più stretto collaboratore, Sebastian Moran? E Palpatine è mai stato invidioso di un suo compagno di corso all’università? Né la saga di Harry Potter, né quella di Star Wars, né tanto meno i romanzi di Conan Doyle, contengono le risposte alle suddette domande, eppure esistono opere in grado di soddisfare simili interrogativi: chiunque voglia leggerle può, al giorno d’oggi, accedere a esse senza difficoltà cercando su Internet il termine fanfiction. Ma di cosa si tratta esattamente?
È una fanfiction un testo in cui ci viene detto cosa accade a Frodo dopo essere partito per Valinor al termine di Il signore degli anelli o in cui Goku, il protagonista di Dragon Ball, è un gladiatore costretto a combattere per sopravvivere. Parliamo, quindi, di storie, o, più raramente, di poesie che mutuano personaggi e scenari da altri prodotti culturali, scritte non dai creatori, ma dai fan delle opere rielaborate; sono considerate fanfiction anche le real person fiction, ovvero racconti al cui interno agiscono i corrispettivi finzionali di cantanti, attori o celebrità. Dunque, che prendano il via da invenzioni altrui o da rappresentazioni mediate della realtà, i contenuti in questione sono descrivibili, secondo una famosa definizione genettiana, come ipertesti e, più specificamente, come ipertesti allografi che vanno a modificare la trama dell’ipotesto su cui si basano. L’insieme di tutti gli ipertesti di questo tipo, però, è solo astrattamente identificabile come macrocategoria letteraria, mentre la fanfiction si configura effettivamente come tale: in quanto classe di narrazioni concretamente esistenti, si contraddistingue per peculiari strutture, motivi e toni ed è collocabile storicamente e, in quanto dispositivo concettuale, orienta scelte compositive e interpretative.
Il genere si sviluppa a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento, quando i cultori delle opere di Jane Austen e Conan Doyle iniziano a scambiarsi racconti a quelle ispirati, e, del resto, non avrebbe potuto costituirsi prima che le trasformazioni innescate dall’invenzione della stampa, dall’evolversi delle idee di autorialità e creatività, dall’istituzione delle normative relative alla proprietà intellettuale e dal sorgere dell’industria culturale rendessero possibile l’individuazione di una versione originale di ogni storia: solo in opposizione a questa, infatti, un testo è identificabile come derivato. Inoltre, in seguito a tali mutamenti, la produzione di trame che riutilizzano figure e ambientazioni è stata inibita e la loro diffusione all’interno dei circuiti commerciali è divenuta economicamente sostenibile e legalmente non problematica soltanto per coloro che possiedono i diritti sulle medesime o il capitale necessario ad acquistarli. Le stesse si sono, però, moltiplicate, influenzandosi a vicenda, sulle pagine delle fanzine e sui siti web creati dagli appassionati. Questi ultimi, infatti, sono profondamente legati a determinate narrazioni e, per riprovare il piacere che ne hanno tratto, oltre a ricercare contenuti che affrontano tematiche analoghe o hanno un’impostazione simile, leggono e scrivono intrecci che ripropongono elementi a quelle narrazioni specificatamente appartenenti. Così facendo, per di più, riescono, in un certo senso, a conferire consistenza ai personaggi e ai mondi che riprendono, poiché le informazioni che su questi ci fornisce l’ipotesto giocano, nell’interpretazione dell’ipertesto, lo stesso ruolo che le informazioni relative alla realtà assumono nel processo di saturazione di qualsiasi scritto. E ancora, rinnovando una storia amata, i fan evitano di interrompere quelle relazioni che la psicologia chiama parasociali e che, seppure instaurate con individui di carta, sono in grado di generare attaccamento.
In un primo momento, pertanto, sono state le caratteristiche degli ipertesti a renderli particolarmente rilevanti per gli appassionati e a mettere in moto il processo che ha portato le riscritture alle quali è stato poi attribuito il nome di fanfiction a diventare ciò che sono oggi; in un secondo tempo, però, anche il contesto all’interno del quale queste hanno cominciato a essere elaborate ha influenzato il modo in cui sono andate connotandosi: per esempio, tali racconti, essendo concepiti da individui che fanno parte di un fandom – la comunità dei fan di un determinato oggetto, soggetto o fenomeno –, subiscono, per ragioni storico-culturali, soprattutto l’influenza di alcuni generi, come il fantasy o la fantascienza. Inoltre, prendendo forma in un ambiente poco gerarchizzato, scaturiscono, spesso, dall’interazione fra coloro che li compongono e coloro a cui sono destinati o da esperienze di scrittura a più mani e vengono, quasi sempre, pubblicati direttamente dai loro creatori dovendo, tutt’al più, ricevere l’approvazione di curatori di riviste amatoriali o di webmaster dallo status pressappoco equiparabile a quello di autori e lettori. In ultima istanza, non dovendo sottostare né alle logiche di mercato, né a quelle editoriali, libere di varcare sia contenutisticamente che formalmente i limiti imposti alla letteratura tradizionalmente distribuita, le fanfiction si qualificano come strumenti adatti a veicolare raffigurazioni di soggettività ed emozioni di frequente escluse o banalizzate dall’industria culturale e a restituire la prospettiva di gruppi o individui da questa del tutto ignorati.
È quindi nelle opere di questo genere che viene comunemente prolungata l’esistenza finzionale e approfondita la psicologia non solo dei personaggi positivi, ma anche di quelli negativi ai quali i fan, ben più frequentemente che gli autori professionisti, concedono il proscenio e conferiscono complessità. Infatti, benché esistano numerose fanfiction, che si concentrano su eroi o comparse, sviluppano nuove figure oppure alterano vicende, tempi e luoghi, nelle quali i cattivi appaiono quasi immutati e assumono ruoli che già ricoprivano negli ipotesti, ve ne sono molte altre in cui questi ricevono un’attenzione maggiore di quella loro tributata in precedenza e sono variamente manipolati. Ma in che modo?
Per trasformare un cattivo, i ficwriter, gli autori di fanfiction, hanno a loro disposizione numerose opzioni: possono, assegnandogli la funzione di io narrante o sposandone il punto di vista, scrivere una storia che se ne serva in modo inedito oppure attribuirgli proprietà differenti da quelle che lo contraddistinguevano in origine; inoltre, possono decidere se adottare solo una di queste soluzioni o se utilizzarne contemporaneamente diverse.
Due degli esiti più tipici della combinazione di simili strategie e, in particolare, dell’impiego simultaneo dell’inversione di prospettiva e dell’elargizione di spazio narrativo, sono la dilatazione e la messa a fuoco del discorso interiore dei personaggi moralmente condannabili; del resto, fornire alle azioni di questi, soprattutto quando non giustificate in modo altrettanto ampio altrove, cause psicologicamente credibili mette il lettore, che comunque non riesce a supportarne le scelte, nella condizione di indagare con l’immaginazione il rovescio di una situazione già nota e, eventualmente, di rivalutare in modo critico la narrazione di primo livello. Egli può, per esempio, immergendosi in alcuni di questi racconti, vedere Saruman, lo stregone avido di potere che, nel capolavoro di Tolkien, si contrappone a Gandalf, ragionare sulle circostanze che hanno trasformato la sua buona fede in desiderio di sopraffazione oppure guardarlo giungere alla conclusione che la sua capacità di comprendere e manipolare le persone lo ha spinto a voler apparire e, alla fine, a divenire diverso da quello che era.
All’arricchimento della vita mentale di famosi antagonisti sono, almeno in parte, dedicati anche prodotti culturali non amatoriali; ma mentre l’industria editoriale, quella cinematografica e quella televisiva individuano come formati a questo adatti principalmente prequel, spin off e sequel, gli appassionati gli destinano anche un’altra tipologia di testi, i missing moment. Questi colmano, introducendo nuovi accadimenti o, per l’appunto, esplicitando i pensieri dei personaggi, i buchi presenti nell’opera originale: ricadrebbe sotto questa definizione il racconto della nascita di un’amicizia che un libro dà per scontata così come la rivelazione delle riflessioni compiute dal protagonista di una pellicola durante un momento di inazione mai mostrato.
Antitetico al genere missing moment, invece, è, all’interno del sistema delle categorie letterarie ascrivibili al dominio della fanfiction, il what if, alcune declinazioni del quale rappresentano ulteriori modalità proprie della rielaborazione fanmade dei cattivi.
I racconti a cui viene applicata questa etichetta, infatti, narrano cosa sarebbe successo se uno o più eventi di una storia si fossero svolti diversamente e possono, fra le altre cose, descrivere mondi in cui alcune azioni non sono mai state compiute: un villain potrebbe addirittura non aver mai intrapreso il suo percorso di corruzione e non essersi schierato nel conflitto che, nella narrazione principale, lo identifica come tale; oppure, come non di rado accade all’interno delle rivisitazioni dei fan, potrebbe stare dalla parte dei buoni. Se il cambio di fazione interessasse la totalità dei personaggi, infine, ci troveremmo di fronte a un mirror universe, ovvero a un universo che rispecchia, capovolgendola, la realtà di un ipotesto. Una dimensione parallela in cui si è giunti a un futuro distopico piuttosto che utopistico è, per esempio, sfondo di alcuni episodi di Star Trek ed è dal titolo del primo di questi che sembra provenire la parola specchio attualmente utilizzata per indicare simili variazioni. Una testimonianza di what if, invece, ci è offerta da un testo che è forse il più antico di cui abbiamo notizia a essere quasi pienamente assimilabile a una fanfiction moderna: una lettera indirizzata a Richardson in cui una sua estimatrice, delusa dal finale del romanzo Clarissa, or The History of a Young Lady, ne propone uno in cui Lovelace, l’uomo che vuole sposare Clarissa, non la violenta.
Un’ultima varietà di intrecci che mette in scena figure fittizie riprovevoli e può essere associata al what if è quella che illustra cosa accadrebbe se queste provassero attrazione per la propria nemesi o, più semplicemente, per un avversario: sono, infatti, per dirne una, un classico le storie in cui Draco Malfoy, che, nei libri di Joanne Kathleen Rowling, fin da subito, odia e ostacola Hermione Granger e Harry Potter, è in segreto invaghito della prima o del secondo.
Rivisitazioni siffatte sono estremamente rare all’interno dei cataloghi degli editori, ma, ciò nonostante, non inesistenti: la fiaba La compagnia dei lupi di Angela Carter ne è un perfetto esempio. Ve ne sono, invece, in abbondanza all’interno degli archivi digitali di fanfiction.
Moltissime di queste opere, infatti, si focalizzano sui vincoli di natura romantica o erotica che uniscono o potrebbero unire le più disparate coppie di personaggi, e ciò, presumibilmente, perché soprattutto il pubblico femminile ha, fin da subito, fatto ricorso al ficwriting anche al fine di esplorare le proprie fantasie e produrre rappresentazioni dell’amore e del sesso appaganti e alternative a quelle dominanti.
A essere stati interpretati come forme d’espressione di una sensibilità non altrimenti libera di manifestarsi sono soprattutto i testi detti – talvolta insieme a quelli che raccontano relazioni saffiche – slash fic, nei quali, a instaurare una relazione, sono due o più uomini. Queste narrazioni, infatti, secondo gli studiosi che hanno cercato di spiegarne l’enorme diffusione all’interno del fandom, offrono alle donne la possibilità di immaginare rapporti fra pari, non inficiati da dinamiche patriarcali, nei quali sono impegnati individui finzionali che, rispetto a quelli del genere opposto, possiedono generalmente una personalità meno stereotipata, prendono parte ad avvenimenti più stimolanti, godono di una maggiore autonomia narrativa e con i quali, quindi, risulta soddisfacente identificarsi.
In modo analogo, è probabile che i fan scelgano spesso di raccontare l’avvicinamento fra soggetti che, negli ipotesti, si ostacolano a vicenda poiché, all’interno di molte delle opere alle quali si ispirano, i legami fra nemici sono presentati come più profondi e significativi di quelli che connettono altri attanti. Senza contare che l’utilizzo di personaggi estremamente diversi per valori e intenti fornisce l’opportunità di descrivere passioni tanto impetuose da riuscire a superare tali differenze.
Concludendo, dopo aver passato in rassegna le diverse strade che i ficwriter hanno la facoltà di intraprendere quando maneggiano rough heroes e malvagi antagonisti, resta da dire che la principale particolarità dei cattivi riscritti della fanfiction – ve ne sono, del resto, anche di scaturiti direttamente dalla fantasia degli appassionati – è proprio quella di esistere in funzione di un altro testo: ciò fa sì che questi assumano una significanza molteplice e stratificata, poiché la percezione che ne abbiamo viene influenzata sia dalle qualità che già possedevano sia da quelle loro proprie all’interno dell’intreccio derivativo, anche quando fra le une e le altre non vi è coerenza.
Per tali ragioni, questi personaggi non ci consentono solo di sperimentare indirettamente, nel bene e nel male, le conseguenze di azioni che non compiremmo e di farci, così, un’opinione più precisa di quanto riteniamo giusto, ma, come già accennato, sovrapponendosi alle loro versioni precedenti, possono, contemporaneamente, rivelarci i limiti dell’ideologia sottesa a una storia mettendone in risalto, per esempio, il manicheismo. Inoltre, familiarizzare più a lungo di quanto ci sarebbe concesso con personaggi negativi di cui subiamo il fascino ci permette, talvolta, di comprendere le ragioni dell’ascendente che esercitano su di noi. Tutto ciò, infine, avviene senza che l’adesione a nuove prospettive, anche qualora queste siano divenute accessibili solo grazie all’adombramento del lato più oscuro di un villain, ci impedisca la comprensione a tutto tondo dello stesso, imponendoci una visuale parziale; siamo, infatti, sempre in grado di confrontare rielaborazioni e modelli.