Vedere i testi, leggere le immagini. Le visualizzazioni per «la Lettura»

Tra le forme del discorso sulla letteratura, da qualche tempo si sta affacciando un nuovo tipo di testualità ibrida, visiva e verbale. Ma cosa pensiamo che siano, come si usano e a cosa servono le visualizzazioni? Provare a leggerne qualcuna, senza timori di inadeguatezza o insofferenze snob, può essere un modo per iniziare a rispondere. Perché il salto di sguardo che ci propongono, il diverso modo di analizzare ed esporre, vale la pena (e il divertimento) di cominciare a sperimentarlo.
 
Anche grazie alla scelta coraggiosa di un settimanale culturale a larga diffusione come «la Lettura», che fin dalla sua nascita prevede una rubrica fissa di “visual data”, le visualizzazioni sono ormai divenute una forma abbastanza abituale del nostro discorso culturale. Ma non ci sono ancora familiari. Contemplando quei paginoni colorati pieni di linee, figure geometriche e strani simboli che si incrociano entro cartigli o diagrammi anticonvenzionali, ne avvertiamo bene l’ambizione di fondo. Quella di pervenire – attraverso la messa in opera di una qualche logica di “quantificazione” – a una rappresentazione schematica e ricca di fenomeni “qualitativi” tipicamente complessi, multidimensionali, come sono quelli culturali e letterari. Con un taglio insieme sintetico/panoramico, nel colpo d’occhio complessivo, e analitico/oggettivo, nella sua grana fine. Nel concreto, però, della complessa serie di dati e relazioni rappresentati in queste mappe, spesso fatichiamo a mettere a fuoco la salienza, il significato, l’utilità. Sicché a prevalere, alla fine, è un effetto di suggestività un po’ ambigua e aleatoria: «Sì sì, sono belle, bellissime» ci ripetiamo «però io non le capisco».
Due possibili equivoci sembrano essere all’origine di questa impasse. Il primo è che questi schemi visivi non sono né vogliono essere immediatamente trasparenti. Sia quando la “base di dati” su cui lavorano è frutto di più consueti spogli o ricerche di tipo “manuale”, sia quando viene da procedure di analisi automatica ed estrazione digitale di informazioni da corpora di testi, le visualizzazioni non prevedono mai solo una scorsa o contemplazione rapida, come un più tradizionale grafico. Prima ancora di smaliziarsi un po’ nel capire come leggerle – sfruttando anzitutto le legende, che di solito chiariscono in modo puntuale il loro “lessico” e la loro “sintassi” –, si tratta insomma di prendere atto che queste visualizzazioni si devono leggere, ci chiedono proprio di essere lette. Con un investimento di attenzione, e di tempo, non troppo dissimili da quelli richiesti da un articolo. E con l’impegno – e il gusto – di provare a stare al loro gioco.
Un secondo equivoco, speculare al primo, può nascere dal non distinguere la relativa varietà dei loro specifici modi di impiego. Ciascuno di noi sa benissimo cosa è legittimo aspettarsi da un saggio scientifico e cosa da un buon articolo giornalistico o di informazione culturale. Anche per le visualizzazioni, come è ovvio, accade così. Se non tutte presentano gli stessi caratteri di originalità e profondità, quanto agli argomenti che indagano e alla maniera in cui lo fanno, anche i modi in cui rispondono ai requisiti di rigore e sistematicità che, a tutta prima, riteniamo costitutivi del loro linguaggio, sono piuttosto diversificati.
Un’immagine vivida della varietà di intenti, tagli prospettici, modulazioni con cui gli strumenti del visualizzare possono essere impiegati, ce la si può fare facilmente, ad esempio, scorrendo la pagina Flickr in cui il team di Accurat – uno dei principali partner de «la Lettura» nella rubrica «visual data» – ha raccolto le bellissime tavole realizzate per il settimanale (www.flickr.com/photos/accurat/sets/72157632180303367). Anche solo limitandosi a quelle di argomento letterario, se ne trovano di dedicate ad analizzare aspetti del sistema letterario o della vita artistica degli scrittori (Scrittori, buona la prima. E poi?, 24 novembre 2013) oppure a tracciare il quadro panoramico di un genere (Geografie del giallo, 7 ottobre 2012); a indagare una specifica modalità di allestimento dello storyworld (L’avvenire scritto nel passato, 23 settembre 2012) o a descrivere in modo più o meno analitico caratteristiche tematiche e stilistico-strutturali delle opere di un autore (Montalbano sono!, 15 luglio 2012), che delinea l’evoluzione del personaggio di Camilleri fra il 1994 e il 2012, nei 19 romanzi di cui è protagonista; ma soprattutto Il vocabolario ristretto di J.K., 14 ottobre 2012, dedicata all’evoluzione della scrittura della Rowling, nei romanzi del ciclo di Harry Potter e oltre). Si tratta di lavori che non sono stati realizzati nel quadro di una collaborazione organica con “specialisti della materia”, studiosi o critici letterari. E questo a volte un po’ si sente – sia nei criteri di selezione della base di dati, sia nella definizione delle prospettive attraverso cui indagarla. Ma ciò non ne pregiudica mai davvero la peculiare forza di sollecitazione. Anche perché in ogni visualizzazione la capacità di argomentare una tesi è maggiormente vincolata all’esibizione precisa e sistematica – e per questo più verificabile e discutibile da parte di chi legge – della rete di fenomeni rilevati su cui è costruita.
Prendiamo un paio di esempi. La tavola Geografie del giallo colpisce tanto per la quantità e varietà davvero notevole di informazioni che riesce a condensare, quanto per la “tendenziosità” vistosa – ma non adeguatamente giustificata – di certe scelte costruttive, che rischia di metterne un po’ in forse l’impressione di solidità. La sua capacità di proporre e stimolare linee di riflessione resta però molto vivace. La visualizzazione «analizza la collocazione geografica di 68 personaggi seriali tra i più importanti della storia della giallistica e dei rispettivi autori». L’impianto di base è abbastanza semplice. Sull’asse orizzontale del grande cartiglio (in alto) è disposta la serie dei nomi dei personaggi, secondo l’anno di apparizione (a ciascuno di essi, nel corpo della mappa, è poi associato anche il nome dell’autore). Sull’asse verticale (a sinistra), si leggono invece i nomi delle città, «ordinate per continente e per latitudine della nazione di appartenenza». L’intersezione fra le due coordinate (personaggio/ autore e città di riferimento) esprime dunque l’informazione chiave intorno a cui la mappa lavora, restituendo peraltro un “disegno” dotato di un senso piuttosto chiaro. Lo si può riassumere così: i detective “seriali” nascono tra Francia e Inghilterra tra la seconda metà dell’Ottocento e il primo ventennio del Novecento; quindi si diffondono e stabilizzano negli Stati Uniti, fra anni trenta e anni cinquanta; e poi progressivamente diventano (con speciale evidenza dagli anni novanta) un fenomeno di portata globale, attecchendo un po’ in tutti i paesi del mondo. Senonché la limpidezza con cui questa tesi emerge è anzitutto un effetto delle vistose distorsioni impresse alle coordinate strutturali dello schema. Intanto lo spazio occupato, al centro, dalla fascia delle collocazioni italiane (analogo per dimensioni a quello degli Stati Uniti, mentre la Cina è solo una riga), non può non tradire un privilegio d’attenzione che travalica criteri di tipo quantitativo. Né meno singolari sono le anomalie della timeline dei personaggi. All’uniforme sequenza di “tacche” corrispondono intervalli temporali quanti mai variabili: i primi cinque nomi (da Monsieur Lecoq, 1863, a Hercule Poirot, 1920) coprono oltre mezzo secolo. La cinquina successiva (da Miss Marple, 1926, a Sam Spade, 1929) soltanto quattro anni. Le deformazioni di scala si accentuano a un terzo circa della serie: gli ultimi 42 personaggi “esordiscono” tutti tra il 1990 e il 2007, in un lasso di 17 anni, mentre la selezione dei 26 detective precedenti sintetizza una storia di 126 anni. Non che queste deformazioni prospettiche siano di per sé sbagliate, anzi: segnalano fino a che punto le visualizzazioni possano essere usate anche come strumenti non neutri, non asetticamente “oggettivi”, di rappresentazione non solo di un fenomeno ma di un’interpretazione, una tesi, un punto di vista su un fenomeno. Ma scelte così marcate avrebbero bisogno di essere giustificate meglio: esplicitando in un testo di accompagnamento, per esempio, come è stato scelto (con quali criteri, in funzione di quali ipotesi o fini) il campione dei 68 personaggi. Cosa che peraltro avviene con un’altra serie di “dati” che Geografie del giallo rappresenta: ovvero l’incidenza quantitativa, rispetto all’attività letteraria complessiva di ciascun autore, delle opere dedicate al ciclo del proprio personaggio seriale più celebre. E questo infatti il tema dell’articolo di Ida Bozzi che accompagna la visualizzazione (Poveri giallisti, imprigionati dai loro detective). A conferma della speciale densità della tavola, va detto peraltro che questa doppia pista di lettura non ne esaurisce ancora la ricchezza: ci sono infatti anche i colori, che distinguono i personaggi a seconda delle loro professioni nel mondo di finzione (oltre ai più ovvi “ membro delle forze dell’ordine” e “ investigatore privato”, ci sono anche un discreto numero di “professore/studioso”, “avvocato/procuratore”, “giornalista”, perfino “ barista/buttafuori”). Mentre una colonnina sulla destra indica, per ciascuna delle aree nazionali di provenienza dei personaggi, la percentuale di omicidi (a suggerire una possibile correlazione fra tasso di criminalità reale e diffusione del giallo).
Se Geografie del giallo è una visualizzazione, per così dire, a dominante deduttiva-illustrativa (nel senso che è costruita a partire da alcune ipotesi guida già definite a monte), quella dedicata all’evoluzione stilistica della scrittura della Rowling ha invece una schietta impostazione induttiva-esplorativa. Il vocabolario ristretto di J.K. presenta i risultati di un vero e proprio “studio” sui romanzi della scrittrice realizzato attraverso un software per l’analisi automatica di testi. La salda e rigorosa base quantitativa della visualizzazione, associata alla forte coerenza e compattezza d’impianto, concorre ad accentuarne le doti di limpidezza e leggibilità. La pagina presenta una sequenza di “viste” su aspetti diversi del corpus, raggruppati per fasce: gli otto romanzi (quelli del ciclo di Harry Potter più l’ultimo, The casual vacancy, rivolto invece a un pubblico adulto) sono rappresentati da linee di diverso colore che le intersecano verticalmente, «posizionandosi per ciascun parametro nel punto corrispondente al valore quantitativo evidenziato dallo studio». La prima fascia raggruppa dati relativi a dimensione, complessità lessicale (numero di parole brevi o parole lunghe) e densità stilistico-sintattica (la lunghezza media delle frasi). Le fasce successive cercano di catturare aspetti di natura più squisitamente semantica. La prima misura l’incidenza relativa, negli otto romanzi, di dieci ambiti tematici chiave (corpo, mente, sentimenti, disgrazie, tempo, ambiente, società, famiglia, scuola, magia)’, la seguente distingue le opere in relazione ai personaggi che vi ricorrono; nell’ultima vengono elencati, per ciascuna, i dieci sostantivi a più alta frequenza.
Ogni lettore, osservando questa mappa, è in grado di cominciare a desumerne qualche indicazione circa i modi (e i tempi) di evoluzione della scrittura di Rowling. Ad aiutarlo – qui – c’è poi il breve testo di commento scritto dai curatori Giorgia Lupi e Simone Quadri (due dei direttori di Accurat, insieme a Gabriele Rossi). Che ne propone una equilibrata interpretazione orientativa generale – e aggiunge anche qualche suggestione, qualche spunto per riflessioni ulteriori. Perché in fondo, una bella visualizzazione dovrebbe sempre funzionare anche così: facendoci vedere qualcosa che ci persuade, ma lasciandoci anche il desiderio di tornarci su, osservarla meglio, sottoporla a un’esplorazione più fine.