Il fantasma dentro la macchina. Lo scouting editoriale al tempo di Internet

Passaggio cardine dell’intermediazione editoriale, lo scouting rappresenta la capacità di un editore di intercettare contenuti con un potenziale di successo tra i lettori. L’avvento di Internet pare alludere non solo a una superiore razionalizzazione dei flussi di contenuti, ma anche allo scardinamento ditale intermediazione, all’insegna di un contatto diretto tra scrittore e pubblico. Ma è davvero così? O quella che urge è una “verifica dei poteri” aggiornata al nuovo millennio?
 
Come tutto, anche Internet sta cominciando ad avere una sua archeologia. E dato che quello di Internet – almeno fino alla svolta fortemente audiovisiva impressa qualche anno fa da YouTube e Instagram – è stato un mondo eminentemente di parole, è ormai grosso modo da un ventennio che l’editoria libraria deve confrontarsi, con mezzi e attitudini più o meno ingenui, con il web in quanto sorgente continua e inarrestabile di parola scritta, di testualità, di rapporto con un pubblico e quindi, a volte, anzi sempre più spesso, di libri.
Sarebbe operazione lunga e peraltro di esito incerto rivangare la storia o, appunto, l’archeologia di questo rapporto. Si potrebbe forse dire, con ampia approssimazione, che su questo fiorire di testi e sulle modalità di tale proliferazione hanno cominciato a riflettere ben presto e in vario modo tutte le comunità legate al mondo editoriale: quello degli aspiranti scrittori, quello dei potenziali destinatari-lettori, quello dei professionisti del sistema editoriale, dagli agenti alle case editrici alla critica letteraria; e infine, ma in realtà con un impatto fin da subito tale da modificare profondamente le dinamiche editoriali stesse, gli attori del digitale, intesa qui come inedita piattaforma di creazione-promozione-distribuzione di contenuti.
Sulla testualità digitale molto si è detto e scritto. La verità è che tutto ciò che si può dire o scrivere su questa realtà reca in sé di necessità l’incessante obsolescenza del medium su cui riflette. Certi dunque della provvisorietà di quanto si può affermare su questi temi, può essere interessante fissarsi su un momento preciso della filiera editoriale, ossia lo scouting, vale a dire l’attività di intercettazione, nel mare magnum degli aspiranti autori, di contenuti con un potenziale di significativo riscontro presso i lettori, allo scopo di cercare perlomeno di stabilire se e come questa attività sia mutata con l’avvento della Rete.
«Un bravo editore è ansioso di scoprire nuovi talenti ma non si fida dell’autore che spunta improvvisamente dal nulla. […] La vita letteraria, almeno dai tempi di Catullo sino a oggi, è fatta di gruppi, di persone anche giovanissime che s’incontrano e si scambiano i loro lavori, poi li pubblicano su una piccola rivista, poi su una più nota, e passano, per così dire, una prima selezione da parte dei loro pari. Ed è lì che l’editore va a cercare le personalità interessanti.» In effetti è proprio con Internet che la tenuta della famosa lettera di Umberto Eco a un aspirante scrittore pare trovare una prima e robusta ragione di revisione. Vero, la comunità letteraria si è organizzata ben presto nello spazio digitale, cogliendo da subito nella Rete potenzialità inedite per quanto atteneva l’ampiezza di risonanza del proprio discorso, non più costretto dalle rigide e impervie maglie produttive e distributive delle tradizionali riviste letterarie: realtà come «Carmilla», «Nazione Indiana», «minima&moralia», «Vibrisselibri», «Le parole e le cose», «Il primo amore», «Doppiozero», «Quindici», solo per nominarne alcune in ordine sparso e senza gerarchie, hanno di certo rappresentato e rappresentano ancora in alcuni casi non solo un fruttuoso tentativo di tenere alto il livello del discorso letterario, talora anche riflettendo sulla trasformazione profonda dei concetti di lingua e autorialità grazie al canale di trasmissione, ma hanno svolto e continuano a svolgere la preziosa funzione di microfono e cassa di risonanza per nuove voci che diventano così meno invisibili e quindi intercettabili da editori potenzialmente interessati. Certo ci si potrà lamentare, o a seconda dei punti di vista gioire come di un salutare esercizio di democrazia letteraria, di un allentamento gerarchico che annulla le posizioni tradizionalmente garantite da età, esperienza, profondità e solidità degli studi. Si potrà dunque assistere su questa o quella rivista letteraria online a infuocate querelle che vedono coinvolti “ad armi pari” focosi triennalisti di letteratura e meno acerbi addottorati, aspiranti esordienti e premiati scrittori. Ciò tuttavia a mio parere si limita a mutare più la forma che la sostanza di un discorso che si vuole comunque interno alla definizione del perimetro, sempre più incerto e tuttavia mai negato, di ciò che si suole chiamare “letteratura”. Su questo versante insomma non assistiamo a nessuna mutazione profonda, semmai a una poderosa, inedita amplificazione del discorso, che pure rimane perlopiù entro gli scopi e i parametri delle tradizionali comunità letterarie: aspiranti scrittori che cercano di trovare ascolto, quindi cittadinanza, presso una comunità che a vario titolo si considera di “addetti ai lavori” editoriali e letterari, sperando così attraverso tale appartenenza di suscitare un interesse che conduca prima o poi all’emersione e alla pubblicazione dei propri testi.
La questione si fa assai più sfuggente, certamente più inedita e interessante, di fronte a forme, da principio pressoché individuali poi sempre più canalizzate e orchestrate, di autorialità che non si appoggiano a forme di mediazione o legittimazione esterne, scritture che vivono di se stesse e del contatto dapprima effimero ma che si spera il più ampio, o forse sarebbe meglio dire il più “virale”, possibile presso il pubblico a sua volta non gerarchico, anonimo o acefalo, a seconda della prospettiva, della Rete. Ed è in questa dimensione del web che lo scouting editoriale diventa un inedito percorso, talora fatto anche di false partenze. Chiunque lavori in editoria da qualche lustro ricorderà ad esempio come “in principio fu il Blog”. Nel proliferare euforico e inevitabilmente bulimico di pagine web personali era nata infatti questa nuova forma testuale dagli sviluppi difficilmente preconizzabili ma che pareva possedere alcuni prerequisiti di fondo felicemente destabilizzanti, o percepiti come tali: gratuità, sfondamento del diaframma tra scrittore e lettore, creazione spontanea di comunità di riferimento e, cosa forse più importante, spinta disintermediazione rispetto alla selezione editoriale dei contenuti.
Riflettendo oggi su quello che in realtà quella stagione tecno-autoriale ha significato per la letteratura nazionale, fatte alcune debite eccezioni, oggi è facile dire non granché. Il medium non era il messaggio, i blog, seppure in qualche caso si sono trasformati in fenomeni di alta vendita (si veda il caso per esempio di Roberto Emanuelli) non hanno trasformato né la letteratura né l’editoria, che pure per qualche anno si è dedicata con ansiosa pervicacia a scritturare blogger di varia natura e specie, per traghettarli nel mondo della carta stampata.
Rispetto alle iniziali aspettative, del resto, il secondo decennio degli anni duemila va chiudendosi tutto sommato con il ridimensionamento percettivo di un’altra inesauribile fonte di approvvigionamento di testi, ossia il self-publishing. Piattaforme come Ilmiolibro, Lulu o Youcanprint, e ovviamente Kindle Direct Publishing di Amazon, nell’offrire un servizio di produzione e messa in vendita di opere, parevano porsi decisamente a latere rispetto alla tradizionale pratica editoriale perché di essa non prevedevano un passaggio fondativo, ossia l’intermediazione tra istanza creativa dello scrittore e potenziale orizzonte di ricezione del suo contenuto, attraverso la scommessa imprenditoriale e il lavoro di mediatore culturale che caratterizza l’editoria tradizionale. Ovviamente i servizi offerti possono variare o arricchire l’impostazione della relazione tra scrittore e piattaforma stessa. Spesso però le piattaforme di self-publishing si sono in realtà rivelate come forme tecnologicamente evolute e potenziate di vanity press, ossia editoria a pagamento con costi variabili rispetto ai servizi erogati (la correzione di bozze, la produzione di una copertina, la distribuzione in libreria, la produzione dell’e-book ecc.). All’annullamento del rischio di impresa dell’editore tradizionale che per consuetudine si fa carico degli oneri legati a redazione, produzione e messa in vendita del libro su cui ha scommesso, corrisponde in questo caso la creazione di una “vetrina” ad hoc per l’autore, sia essa rappresentata da una pagina web o da un accordo distributivo della versione cartacea dell’opera presso questa o quella catena di librerie. Ciò di fatto rende evidente quel romanzo o quel saggio sia al potenziale lettore sia al “disintermediato” editore che potrà così accorgersi di un talento altrimenti invisibile. Amazon in particolare, con la piattaforma di self-publishing Kindle Direct Publishing, è riuscita anche a trasformare il tradizionale meccanismo della remunerazione dell’autore per royalties in un regime di compenso determinato dal numero di pagine lette dagli abbonati a Kindle Unlimited e dai membri di Amazon Prime. A tale meccanismo computazionale corrisponde poi un ranking nella classifica dei più letti che determina con decisione la definizione di libro “migliore” in quanto più letto/remunerato. Tale ranking, a sua volta, a parte trasformare la verticale selettività dell’editoria tradizionale in una sorta di “rumore bianco” orizzontale che tutto conserva senza nulla scegliere, di fatto ha creato anch’esso una sorta di “scouting algoritmico”, dato che tra gli autori “più letti” su queste piattaforme non mancano gli scrittori successivamente cooptati da questo o quell’agente letterario o da editori tradizionali. Si pensi per esempio al caso di Anna Premoli, partita qualche anno fa dalla piattaforma di self-publishing Narcissus per poi approdare al premio Bancarella con la casa editrice Newton Compton, editore particolarmente attento al potenziale incubatore rappresentato dal self-publishing, tanto da siglare una partnership con la piattaforma Ilmiolibro, legata al gruppo editoriale Gedi, creatore a sua volta anche di un concorso letterario indirizzato agli esordienti, e intitolato appunto Il mio esordio. Il che ci porta a riflettere su un’altra trasformazione in seno al web di uno dei rituali classici di iniziazione al mondo delle lettere e dello scouting, ossia il concorso letterario all’opera prima. Anche su questo versante tuttavia, più che a chissà quale innovazione, si è assistito perlopiù al tentativo di gestire, grazie all’accessibilità offerta dalla Rete, non tanto il numero degli aspiranti scrittori (raramente si è sentita l’organizzazione di qualunque premio letterario tradizionale lamentare lo scarso numero di opere inviate), quanto l’immagine e la comunicazione degli organizzatori, spesso editori tradizionali “travestiti” da nativi digitali, magari con il supporto di partner tecnologici. In altre parole, laddove non veniva scalfito il “guscio” retorico del concorso in quanto “porta stretta” dischiusa da un gruppo di “optimi” che seleziona nuovi adepti al mondo editoriale, gli esiti si sono rivelati deludenti in un ambiente come la Rete, che nasce in un’opposizione quasi istintiva nei riguardi di logiche di selezione e appartenenza. E forse da ricercare proprio in questo difetto di origine la scarsa fortuna di iniziative come Bigjump, concorso nato qualche anno fa da una joint venture tra Kindle Direct di Amazon e Rizzoli, o quella di Y Giunti Shift, concorso che puntava invece ad aspiranti scrittori tra i 16 e i 30 anni, probabilmente in base all’idea che in quel segmento generazionale fossero più numerosi o interessanti gli internauti/aspiranti scrittori. Un’eccezione più fortunata rappresenta in questo senso invece il caso di ioScrittore, concorso letterario del gruppo GeMS, forse perché concepito all’origine su un criterio di selezione ed eliminazione dei concorrenti attraverso un meccanismo di “peer review” molto più in armonia rispetto ai princìpi di fruizione e scambio della Rete.
Se self-publishing e concorsi letterari online rappresentano senz’altro una concreta prospettiva su nuove modalità di intercettazione del contenuto editoriale, tuttavia non sono che la punta di un iceberg enorme la cui parte sommersa e ancora in gran parte inesplorata, perlomeno con i mezzi tradizionali dello scouting, è rappresentata dalla categoria, ormai solo indicativa visto il carattere di diversificazione interna oggi raggiunta, dei social network. Laddove perciò riviste letterarie online, piattaforme di autopubblicazione e concorsi letterari in Rete di fatto perlopiù reimpiegano, attualizzandole e amplificandole poderosamente, strumentazioni tutto sommato ancora tradizionali nella concezione, è evidente invece che i social network rappresentano qualcosa di geneticamente differente: un discorso ininterrotto e continuo fatto di narrazione, confronto, scontro, immagini, musica, realtà, invenzione, imitazione, la cui possibilità di andare oltre il chiacchiericcio ristretto alla cerchia di “amici” e “followers”, salendo così improvvisamente alla ribalta dell’attenzione collettiva, è tanto concreta quanto sfuggente. E con i social network che i giochi cambiano sul serio e l’editoria è davvero costretta a stare a guardare, cercando di capire come lanciare ponti tra un flusso inarrestabile di fugaci contenuti impermanenti e immateriali, e la splendida, materiale fissità dell’oggetto libro. Che si tratti dunque di Facebook, padre di tutti i social che ha sancito per primo l’idea della “qualità” di un contenuto in base alla sua condivisibilità, o siano social network nati ab origine sotto la stella della scrittura creativa e dello storytelling come Wattpad e Meetale, o addirittura piattaforme geneticamente non “verbali” come Instagram, Musical.ly (oggi TikTok) o la piattaforma di condivisione video YouTube, tutto potenzialmente oggi fa libro, e nulla mai, si potrebbe dire.
La verità è che occorrono, e di fatto stanno nascendo, nuove professionalità editoriali. E se dal lato creativo-produttivo nomi come Mates, Favij, Benj e Fede, Sofia Viscardi, Luì e Sofì per molti non alluderanno ad altro se non alla famigerata categoria del “non libro”, la prima seria riflessione da fare è che, piaccia o non piaccia, questo genere di prodotti, tipicamente indirizzati a fasce giovani e giovanissime, rappresenta per molti preadolescenti e adolescenti la possibilità più concreta di non interrompere definitivamente la relazione con il mondo del libro spesso fruttuosamente intrattenuta nell’infanzia. E se d’altra parte per i cultori della poesia (ma quanti sono e dove sono, ormai?) pensare allo youtuber Francesco Sole, autore delle raccolte di versi bestseller Tivogliobene #poesie e #Tiamo, che fin dal titolo denunciano la propria origine creativa, o alla instapoet Rupi Kaur come veri e propri poeti può risultare disturbante, resta l’ineludibile fatto che si tratta di autori che hanno riproposto l’annoso tema della rilevanza o dell’irrilevanza della poesia nel mondo contemporaneo in modi perlomeno inattesi e per questo sono degni di essere seriamente compresi. A tutto ciò si aggiunge che, a fronte di investimenti per nulla irrisori, si tratta di un comparto tanto remunerativo (a volte) quanto effimero. In tal senso si è ben presto rivelata fallace la facile equivalenza operata da questo o quell’editore tra follower e lettore, dato che le pubblicazioni nate dalla Rete presentano i medesimi, si sarebbe tentati di dire salutari, caratteri di irrazionalità e imprevedibilità tipici dell’editoria “classica”. Era dunque un’illusione ingenua quella di chi, dal lato della produzione di contenuti editoriali, ha ritenuto di poter trovare nella Rete un filone pieno di pepite affioranti, agevolmente segnate dal numero di like e condivisioni. Tentativi fatti da colossi dell’editoria come HarperCollins con il social network 20 lines si è spenta senza dare i frutti sperati. La chiusura per sostanziale mancanza di riscontro di iniziative come Write On, tentativo “social” messo a punto da Amazon e chiaramente ispirato a esperienze di successo come Wattpad, sta invece lì a rammentarci che una formidabile attitudine alla vendita al dettaglio non coincide affatto con la competenza editoriale. Non a caso, a testimonianza della professionalità anche complessa, necessaria a praticare questo “nuovo mondo”, sono ormai nate vere proprie agenzie di rappresentanza del mondo delle cosiddette webstar, così come vere e proprie “factories produttive”, con soluzioni logistiche e tecniche tutt’altro che semplici, miranti a prodotti per loro natura crossmediali e che possono senz’altro annoverare il libro tra le loro declinazioni di successo. A felice conferma di ciò sta la torsione non indifferente che negli ultimi cinque anni è stata ad esempio compiuta da Electa, da editore di raffinati cataloghi di mostre e monografie di ambito artistico a punto di riferimento in Italia per le pubblicazioni “native” della Rete, anche grazie a uno strutturato accordo di collaborazione con Webstar Channel, una delle principali “scuderie” italiane di celebrities del Web.
Davanti a tutto questo è evidente che l’intervento di attitudini nuove e di forze fresche nell’editoria non è più rimandabile. Magari con una precisazione. Sarebbe sbagliato infatti credere che gli strumenti di adeguamento di cui l’editoria ha bisogno siano esclusivamente di ordine infrastrutturale. E ovvio che un adeguamento strumentale è necessario e la tecnologia connaturata a questo nuovo comparto creativo va compresa, assorbita e impiegata al massimo delle sue possibilità. Ma la verità è che “stare” in Rete, per un giovane editor che oggi si affacci al mondo editoriale, conoscerla, praticarla, esplorarla, è solo in apparenza un “nuovo” lavoro, dato che in realtà chiama in causa un talento non poi tanto differente da quello di chi, in un non così lontano eppure ormai lontanissimo Novecento, apriva voluminose buste trovandovi, tra centinaia di testi inservibili, di tanto in tanto, un bestseller. Un talento che fino a oggi nessun “fantasma nella macchina” ha dimostrato di poter facilmente replicare.