In principio c’erano solo Erich Linder e la sua Ali. Le poche agenzie italiane sorte dopo la sua scomparsa erano spesso gestite da chi aveva imparato il mestiere con lui. Negli ultimissimi anni, tuttavia, il quadro è cambiato e due sono i dati degni di nota: da un lato la rapida proliferazione di nuove agenzie, dall’altro la massiccia presenza femminile al loro interno. Per capire come si stia ristrutturando il mondo dei diritti, ne abbiamo parlato con due protagoniste: Alessandra Mele, di Book@ literary agency, e Silvia Donzelli, dell’agenzia Donzelli-Fietta.
L’Agenzia letteraria internazionale è rimasta a lungo l’unica in Italia: le poche agenzie italiane sorte in seguito – nel 1990 quelle che contavano erano cinque – erano spesso gestite da chi aveva imparato il mestiere a fianco di Erich Linder. Negli ultimissimi anni, tuttavia, il quadro è decisamente cambiato: a partire dal 2012 sono nate diverse nuove agenzie letterarie; poi nel 2015, a pochi mesi dalla fusione di Mondadori con Rizzoli, è avvenuta quella di tre delle grandi agenzie italiane già affermate a livello nazionale e internazionale – Marco Vigevani, Bernabò & Associates e Ali, da cui è nata The Italian Literary Agency. Il quadro attuale sembra riprodurre anche nel campo delle agenzie letterarie la dialettica fra grande concentrazione e specializzazione che ha investito gli altri livelli della filiera editoriale, dalle case editrici alle librerie.
Scorrendo l’elenco delle nuove agenzie, salta subito all’occhio un dato significativo: si tratta per lo più di imprese avviate e gestite da donne. Dopo l’ingresso sul mercato italiano di due agenti straniere, l’americana Vicky Satlow e l’australiana Kylie Doust (custode, fra gli altri, dei diritti di Federico Moccia), nel 2007 si sono messe in proprio Erica Berla e Barbara Griffini di Berla & Griffini, specializzate in letteratura germanofona. Nel 2012 è stata la volta di Silvia Meucci: dopo anni trascorsi a Madrid come direttore editoriale di Siruela, ha fondato la sua agenzia, specializzata nella letteratura di lingua spagnola. Sempre dal 2012 hanno visto la luce quattro agenzie fondate da esponenti della generazione successiva: Ac2 di Anna Mioni (Padova 2012), Laura Ceccacci Agency (Roma 2012); Book@ literary agency di Alessandra Mele (Milano 2013); Donzelli-Fietta fondata da Silvia Donzelli (Milano 2103) e MalaTesta, fondata da Monica Malatesta (Milano 2013).
La presenza femminile nell’universo dei diritti è sempre stata significativa: senza scomodare la figura mitica della catalana Carmen Balcells, fautrice del boom del romanzo ispanoamericano negli anni settanta, anche in Italia, come ricorda Alessandra Mele, «a capo degli uffici diritti delle maggiori case editrici ci sono sempre state donne. Pensiamo al gruppo GeMS, con Maria Luisa Zarmanian, a Rizzoli con Giovanna Canton e a Mondadori con Claudia Scheu. Significativo, come osserva Alessandra Mele, è che non esista una traduzione italiana per rights manager, il (o la) manager è una persona, elemento che si perde nell’italiano “ufficio diritti”. Se l’editor o il redattore hanno un volto, le persone operanti all’interno dell’ufficio diritti sono a lungo rimaste nell’ombra.
Ma le cose cominciano a cambiare. Analogamente a quanto è avvenuto per altre figure professionali all’interno del mondo editoriale, in primis i traduttori (ne abbiamo scritto in tirature ’16) ora anche gli agenti stanno diventando una figura riconosciuta in ambito editoriale e diversamente articolata nelle sue competenze. Da un lato la riconfigurazione del ruolo dell’agente; dall’altro, di pari passo, una diversa presenza femminile all’interno delle professioni editoriali, che spesso, per ragioni certamente eterogenee, si è tradotta nella costruzione di un nuovo e autonomo profilo professionale. Lo spiega bene Silvia Donzelli: «Con la crisi dell’editoria libraria e più in generale del mercato del lavoro, c’è chi ha dovuto rinunciare al posto fisso, al lavoro dentro la casa editrice, e più spesso questo è successo a donne, visto che le posizioni di potere sono state oggetto di turn over, ma sono rimaste appannaggio degli uomini. Le donne, già spesso assenti dalle posizioni apicali all’interno delle case editrici, ritrovatesi o senza lavoro o costrette a lasciare per costruire una famiglia, hanno avuto l’estro di reinventarsi: hanno fondato agenzie perché avevano molte competenze, ma soprattutto la lungimiranza di iniziare per costruire faticosamente senza avere eventualmente subito una soddisfazione economica dalla propria impresa. E lo sguardo delle donne, a lungo termine, capace di alleanze e di relazioni, a far sì che le agenzie siano al femminile».
Anche diverse esponenti della “nuova generazione” hanno lavorato negli uffici diritti delle case editrici. Silvia Donzelli come foreign rights manager per Newton Compton dove ha conosciuto «più da vicino i meccanismi di produzione e il rapporto “a valle” con il commerciale e poi con ufficio stampa e con venditori e librai». Alessandra Mele, invece, ha scoperto il mondo dei diritti negli anni trascorsi in Spagna, a Madrid; sempre in Spagna, ma a Barcellona, è attiva dal 2008 anche un’altra italiana, Ella Sher, che ha fondato la propria agenzia (The Ella Sher Literary Agency) e ha negoziato i diritti di traduzione Amica geniale. Dice Mele: «Ho deciso di spostarmi in un paese in cui, non essendo madrelingua, non potevo essere utilizzata come correttrice di bozze, e dove quindi avrebbero dovuto necessariamente impegnarmi in qualcosa di diverso. In Spagna ho così scoperto il mondo dei diritti, la cui fondamentale funzione ignoravo completamente, sebbene fossi nel settore già da anni. Sono entrata in Esfera de los Libros, all’epoca appartenente a Rcs. Mi occupavo di acquisizioni dai mercati di cui conoscevo le lingue; mi sono quindi più o meno inventata un lavoro. […] La Spagna mi ha fatto scoprire il mondo dei diritti: ho conosciuto le sfaccettature e il ruolo di una figura non puramente editoriale, ma comunque fondamentale in casa editrice; in questo ruolo i libri li vedi sempre, in ogni fase, sei dentro la macchina. I libri, anche se non li fai, li maneggi».
La duplice esperienza come foreign rights manager prima e agente dopo ha permesso a Mele e Donzelli di entrare in maniera molto personale nella professione, esemplare della riconfigurazione “pubblica” del profilo dell’agente. «I foreign rights, in questo momento particolare, e specialmente per l’Italia» ci racconta Alessandra Mele «rappresentano un’ulteriore fonte di ingresso economico, trattandosi di un diritto secondario, quello di traduzione, che viene venduto e da cui dunque si possono potenzialmente incassare dei soldi. All’estero, nei paesi anglofoni, i foreign rights sono un elemento negoziale fondamentale e imprescindibile, sia per l’editore sia per l’autore. Questo perché dall’Inghilterra e gli Stati Uniti si compra ancora molto all’estero, anche se adesso la tendenza sta lievemente flettendo. In quei paesi, le agenzie letterarie puntano tantissimo sulla vendita dei foreign rights, per cui hanno uffici strutturati e con diversi agenti dedicati. Addirittura gli editori con una forte struttura interna coinvolgono l’ufficio diritti nell’intento di riconoscere l’eventuale potenziale di un libro sul mercato estero. In Italia questo non accade quasi mai: l’ufficio diritti è sempre stato preposto ai contratti, alle cessioni o alle acquisizioni; il mercato italiano d’altro canto è sempre stato dominato dalle traduzioni. Ma oggi ci si è resi conto che il diritto di traduzione genera soldi, e quindi è il caso di investirci. Non tutti i prodotti funzionano (anche perché la lingua italiana è di per sé difficile da tradurre), ma qualche titolo, ciclicamente, più o meno uno ogni dieci anni, ha una straordinaria fortuna all’estero: l’ultimo esempio è la tetralogia di Elena Ferrante.» Certamente, come tiene a sottolineare Silvia Donzelli, «è più facile improvvisarsi agente di un autore italiano, magari esordiente, mentre è davvero invece più difficile iniziare in proprio con gli autori stranieri perché in quel caso è necessario passare attraverso il lavoro “a bottega” da altri agenti più strutturati, che hanno iniziato in altri tempi il mestiere: solo così è possibile affacciarsi sui mercati stranieri e svolgere un lavoro di foreign rights e di sub agenzia».
A cambiare, in un simile contesto, è il lavoro stesso dell’agente: «Quando sono entrata in questo mondo, nel 2004 (e quindi quasi quindici anni fa)» racconta Alessandra Mele «l’agente non necessariamente aveva competenze spiccatamente editoriali, il suo ruolo era maggiormente legato alla negoziazione. Oggi invece all’agente vengono richieste competenze che non riguardano esclusivamente la contrattualizzazione: deve nella maggior parte dei casi svolgere un lavoro sul testo, che prima competeva alla redazione interna della casa editrice. Un tempo gli agenti riconoscevano un talento e lo proponevano: il prodotto poi lo si lavorava e costruiva insieme all’editor in casa editrice. Tutto questo oggi non avviene più, salvo in rari casi, se parliamo di narrativa, dove i libri vanno proposti come prodotti quanto più possibile finiti. Diverso il discorso nella non-fìction, dove, nel novanta percento dei casi, i libri si costruiscono ancora assieme all’editore». Le agenzie sono anche hub, un laboratorio, «luogo di connessione tra diverse figure professionali» come lo definisce Silvia Donzelli, che così ricorda l’impronta iniziale data all’agenzia da lei e dalla sua socia Stefania Fietta: «Grazie a questo, l’agenzia era un luogo dove nascevano progetti a più mani, un luogo dove ghostwriters incontravano le idee o le storie, e si proponevano concept agli editori che fossero vendibili ai diversi media: un’idea di una persona, sviluppata e scritta da un ghostwriter, e portata agli editori ma anche al cinema, ai nuovi audioprogetti».
In un panorama caratterizzato da un grande numero di agenzie di diversa misura, infine, è diventato fondamentale crearsi un profilo chiaramente riconoscibile. «L’aumento del numero delle agenzie con i cambiamenti nell’attività stessa dell’agente» dice Alessandra Mele «ha avuto come conseguenza l’aumento dell’offerta. Il che, senz’altro, ha portato a un innalzamento della qualità: dato che noi facciamo una selezione, quello che arriva in casa editrice è già stato sottoposto a un’attenta valutazione. Tranne qualche raro caso, il lavoro di scouting e di costruzione di un autore spetta oggi alle agenzie, che sono sempre di più.» Fondamentale diventa quindi una grande attenzione alla cura delle relazioni personali, osserva sempre Alessandra Mele: «Oggi le proposte arrivano a molte più persone, in molto meno tempo e con estrema semplicità: questo ha moltiplicato in maniera esponenziale la proposta agli editori. Allo stesso tempo, però, per distinguerla e avvalorarla serve non solo competenza ma anche un ritorno alla relazione personale con gli interlocutori. Sembra un controsenso, ma nel mondo globale riacquistano importanza proprio occasioni come le fiere o i festival, che permettono rincontro fisico tra due persone che si parlano. È questo spesso a fare la differenza. Un valore in più, poi, e non meno importante, è senz’altro la specificità che in questo contesto riesci a dare alla tua proposta».
Una figura professionale “nuova”, insomma, quella dell’agente del terzo millennio, una figura dalle competenze molteplici rispetto al passato e ormai pienamente integrata all’interno della filiera editoriale. A intravedere le opportunità offerte da questo nuovo territorio, ad acquisirne la piena cittadinanza sono state spesso donne. Loro, in questo caso, è il diritto d’autore.