Nel 1979, una piccola casa editrice di Palermo inaugura una collana dal distintivo blu di Prussia e dal nome evocativo: «La memoria». Il primo titolo è Dalle parti degli infedeli, di Sciascia, ma sarà con la pubblicazione, nel 1994, di un giallo siciliano che la collana fa saltare il banco: il giallo si intitolava La forma dell’acqua, il protagonista era un certo Salvo Montalbano, l’autore Andrea Camilleri. Da allora è stato un fiorire di detective, dal toscano Massimo di Malvaldi, al milanese Monterossi di Robecchi, fino al romano-valdostano Schiavone di Manzini, maschere che ormai si affacciano regolarmente dai nostri schermi televisivi.
Due rampe per l’abisso è il romanzo di Rex Stout al quale dobbiamo la venuta al mondo di uno dei personaggi più amati della letteratura gialla: Nero Wolfe. Questo non significa che Wolfe ne sia il protagonista, significa invece che questo romanzo è il “movente” della sua nascita, come spiegava Sellerio, l’editore italiano. Ma già: come avrebbe mai potuto l’investigatore che sessant’anni prima dell’invasione degli chef televisivi ci insegnava a spendere ben venti minuti per cuocere un paio di uova strapazzate, salire con il suo corpaccione da goloso, a piedi, i piani di grattacielo che, in sedici capitoli, consuma il protagonista di quel libro di Stout? Due rampe per l’abisso è un romanzo con un elemento thriller, ma fa ricorso ad alcune tecniche da narrativa colta novecentesca. Gli dobbiamo, così, la nascita di Nero Wolfe perché Rex Stout, travolto dal suo insuccesso, decise, fino dal libro seguente, di buttare alle ortiche le smanie letterarie e di optare senza vezzi stilistici per il genere poliziesco, inventando Nero il detective, misogino e amante del lusso, che coltiva orchidee in serra.
Sellerio nel 1980, cinquantun anni dopo l’uscita negli Stati Uniti, pubblicò la prima edizione italiana di Due rampe per l’abisso. Così, con questo thriller-non thriller apriva – in modo singolarmente appropriato – le porte di un marchio decentrato e orgoglioso a una firma della popolare detective story. Fino a quel 1980 la casa editrice palermitana – nata nel 1969 – era stata concentrata in effetti su tutt’altro: una cultura “amena”. Con questo aggettivo la definiva Leonardo Sciascia, una delle quattro menti fondanti del marchio, con Antonino Buttitta e con Elvira Giorgianni ed Enzo Sellerio. L’aggettivo “ameno” oggi ci fa venire in mente le storielle della «Settimana Enigmistica». Ma va contestualizzato: “ameno”, in quegli anni, era un termine che si definiva, per contrapposizione, in relazione al fervore politico e al diktat ideologico; un termine che in tempi in cui tutto voleva essere “utile”, “fondamentale”, rimandava piuttosto a scenari umanistici, rinascimentali, arcadici. Infatti la prima collana della Sellerio si chiamava nientemeno che «La civiltà perfezionata». E per una decina d’anni lì erano apparsi autori siciliani come appartati e raffinati autori europei: Francesco Lanza ed Eugène Viollet Le Due…
Trentasette anni dopo – oggi – a casa Sellerio le collane sono diventate trentatré. E i gialli costituiscono ben il 60% del fatturato. Sono gialli sui generis. Sono gialli che hanno fatto scuola. E sono gialli nell’anima, ma blu nell’apparenza. Appaiono infatti per lo più nella collana «Memoria», nata nell’autunno 1979. «La memoria» nasceva, cronologicamente, a ridosso del successo di un libro, L’affaire Moro, che con le sue centomila copie vendute aveva fatto scricchiolare la struttura di un’impresa fino allora tarata sulle preziosità per pochi. Questo fenomeno –l’“eccesso” di vendite e di successo che rischia di destabilizzare la “piccola” casa editrice – è, come vedremo, destinato a ripetersi negli annali della Sellerio. L’affaire Moro, scritto da uno dei componenti della Commissione parlamentare d’inchiesta sul sequestro dello statista democristiano, Leonardo Sciascia, uscito prima in Francia per Grasset, arrivava il 12 ottobre 1978 in 120 copie iniziali nelle stanze palermitane di via Siracusa. E in quella strada tra il Politeama e villa Trabia che la Sellerio ha da sempre le sue sedi: gli uffici della casa editrice, ma anche, a un passo, le due case di Enzo ed Elvira, coniugi separati; ed è a loro che oggi è intestato quel tratto della strada, diventato via Enzo ed Elvira Sellerio.
Per L’affaire Moro la collana a disposizione è ancora quella dal nome prezioso e la copertina è bianca e grigia. Un anno dopo, per le cure di Enzo, esordisce il blu di «La memoria» – blu di Prussia con figura al centro e lettering colorato, una forma quasi quadrata, ideale da tenere in tasca – che inaugura la bellissima stagione, per fortuna mai finita, delle eleganze grafiche di tanta nostra editoria indipendente, piccola e media. Il blu Sellerio diventa un simbolo. E la sorte già toccata a due altri marchi, Einaudi e Adelphi: sono, i loro, il tipo di libri che un regista dissemina in una scena di un film quando vuole suggerire “qualcosa” intorno a un suo personaggio…
«La memoria» è una collana che ospiterà appunto anche i gialli, pubblicati da una casa editrice che ha da pochissimo scoperto di poter produrre bestseller. Ma che di bestseller non vuol morire.
Ma come si è arrivati a questa Sellerio blu che al 60% fattura sul giallo? C’è poco da fare, bisognerà parlare di Andrea Camilleri. Ma prima, bisognerà passare per altri. Quelli di Camilleri infatti non sono i primi polizieschi pubblicati dalla casa editrice. Primo in assoluto, nel 1985, titolo 108 della «Memoria», Il grafico della febbre, di Friedrich Glauser. «Tra Simenon e Durrenmatt», così lo classificano, questo scrittore svizzero morto quarantaduenne, col suo sergente Studer progenitore di tanti altri investigatori “umanistici” firma una dozzina e più di libri editi dalla casa editrice. Poi nel 1990, titolo 215, è la volta di un investigatore nell’Italia fascista, il commissario De Luca, di un autore esordiente destinato a diventare un maestro e a fare scuola: Carlo Lucarelli. Nel 1994, quindi, la casa editrice palermitana pubblica il primo giallo “siciliano” di un autore del quale aveva già pubblicato tre titoli nella collana verde di storia isolana, La strage dimenticata, La stagione della caccia e La bolla di componenda: è La forma dell’acqua, protagonista un certo Salvo Montalbano, del sessantanovenne Camilleri. Ed ecco il diluvio… 41 titoli con il commissario più amato di tutti i tempi dalle italiane e dagli italiani, che corrispondono a un 40% dello stupefacente carniere di 101 novità che lo scrittore di Porto Empedocle ha rovesciato dal ’94 sui tavoli di via Siracusa vendendo solo in Italia più di 20 milioni di copie (e intanto elargendo altri titoli a Mondadori come a Chiarelettere). Tradotto in una quantità di lingue della quale è difficile tenere il conto. Oggi il commissario ha una collana tutta per sé.
«Sono convinto che la nostra, per tradizione, fosse la casa editrice ideale per lanciarlo. L’impronta che Leonardo Sciascia aveva dato al nostro catalogo era l’humus perfetto in cui poteva prosperare. Ma stiamo parlando di un gigante tale che avrebbe avuto stesso successo con qualunque altro editore» commenta Antonio Sellerio. Cresciuto nel triangolo di via Siracusa – casa editrice e appartamenti dei due genitori –, per lui un tutt’uno, con la sorella Olivia (jazzista) ha ereditato il marchio dopo la morte di Enzo Sellerio (2012) e di Elvira Giorgianni (2010). Certo alla Sellerio Camilleri è “a casa”. Se non altro perché il suo commissario deve il nome a uno scrittore, tradotto dalla stessa editrice, di cui lui, Camilleri, si proclama devoto: Manuel Vàzquez Montalbàn, padre di Pepe Carvalho. Il catalano Montalbàn, nella collana blu, con il suo Assassinio al Comitato centrale con Pepe C. è oggetto di uno di quegli apparentamenti che piacevano a Elvira Giorgianni Sellerio e al suo amico Sciascia: in fila subito dopo ecco Notturno indiano di Antonio Tabucchi.
Ma appunto: il fatto che l’etichetta palermitana non abbia tuttora una collana dedicata al solo poliziesco ma continui a mescolare i suoi autori di questo genere popolare con Sergej Dovlatov o Alexander Langer è un elemento importante della sua filosofia. Tutto avviene nel segno di un elegante understatement. Ma tutto, poi, procede col ritmo di un’impresa vera. E così che a via Siracusa hanno inventato la versione italiana del genere che oggi sostiene economicamente l’editoria planetaria: il giallo appunto. Da Sellerio fenomeno del “giallo all’italiana” è poi esondato altrove: Stile Libero Einaudi e giù per li rami…
Spiega ancora Antonio Sellerio: «Mia madre sino dalla fine degli anni ottanta ha creduto che il genere potesse diventare un elemento importante della narrativa italiana. Successivamente abbiamo puntato anche sulla serialità, non tanto e non solo perché, se scritta e pubblicata bene, può portare buone vendite, ma soprattutto perché permette all’autore di approfondire un personaggio nel tempo e contemporaneamente di concentrarsi in ogni singolo romanzo sulla storia che intende raccontare».
Così mentre fino a una ventina d’anni fa dire poliziesco significava dire America («i lettori forti conoscevano tutto del sistema giudiziario americano» commenta Antonio Sellerio; e poco o nulla sapevano del nostro, aggiungiamo noi), oggi da noi dire giallo significa dire Italia. Di più: significa dire Sicilia, Toscana, Milano, Val d’Aosta…
Carlo Lucarelli è stato, dicevamo, l’iniziatore del genere. Ma, dopo di lui, Camilleri con Salvo Montalbano ha fatto scuola su un altro versante: la connotazione geografica. Come Montalbano, siciliano è il Lorenzo La Marca di Santo Piazzese, toscano è il barista Massimo di Marco Malvaldi, milanese l’autore televisivo Carlo Monterossi di Alessandro Robecchi, romano ma esiliato ad Aosta il commissario Schiavone di Antonio Manzini, barese l’avvocato Guerrieri di Gianrico Carofiglio. Piccoli-grandi detective regionali crescono. Altri eroi locali si aggiungeranno, come in una commedia dell’arte gialla? Arriveranno in versione poliziesca l’equivalente di un Gianurgolo calabrese, un sior Anzoleta friulano, un Cagnet marchigiano? Il successo di un’invenzione si misura dai tentativi di imitazione. Basta il “giallo ligure” che qualche anno fa lanciava la genovese Fratelli Frilli?
Intanto, le “maschere” che già esistono diventano congegni di macchine multimediali che macinano spettatori e profitti: non solo il Montalbano di Luca Zingaretti, ma il BarLume di Malvaldi, per esempio.
Ma la Sellerio sa lavorare anche al contrario: sa attrarre, cioè, nella “periferica” Palermo autori stranieri. Colin Dexter, Penelope Fitzgerald, Margaret Doody e su tutti, quanto a vendite, Alicia Giménez-Bartlett con la sua Petra Delicado sono i nomi. A margine, notiamo che tra gli stranieri le donne sono in preminenza, mentre tra gli italiani non appaiono…
Esiste una formula per il “giallo-blu” Sellerio? «Né violenza né sesso gratuiti, ma solo quel tanto che serve allo sviluppo della storia. E personaggi “normali”, né eroi senza macchia né super-detective» spiega Antonio Sellerio. A condire il tutto, si direbbe, quella fede illuminista nel potere della Ragione – ragione applicata a omicidi e rapine – di cui Leonardo Sciascia ha lasciato l’impronta.
Sellerio ha chiuso il 2016 con 20 milioni di fatturato e una crescita del 30%. Senza calcolare i dati di autogrill e supermercati, dove i suoi gialli-blu vendono a quintalate. Sellerio poggia tuttora sul lavoro di 15 persone. Così continuerà a fare, perché il figlio di Enzo ed Elvira è convinto che in questa tenace “piccolezza” dell’impresa risieda una delle ragioni del successo. Per la regionalità dei suoi investigatori e per le vendite sui mercati esteri, ma anche per la tenacia con cui coniugano lavoro artigianale e fatturati milionari, alla Sellerio sembrano insomma decisi a sperimentare quelle formule sulle quali scrivono saggi i sociologi della globalizzazione. Sapete? Quel modello per cui quando in città apre l’ipermercato le botteghe di prossimità muoiono, ma sopravvive quella che ha specialità che la grande distribuzione ignora, ha quel salume, quel cioccolato figlio di una tradizione di decadi, e quel cioccolato, quel salume, sa farsi conoscere, finisce nei “deli” newyorchesi e nei Delikatessen di Francoforte e la bottega che ne detiene il marchio sbanca…