Storie di vite vere a fumetti non ce riè mai state così tante in circolazione, dalle nostre parti. Ma l’apporto del fumetto non è ancillare rispetto ai mostri sacri del divismo cronistorico o alle formule più sperimentate della storiografia professionale. L’interesse biografico rivolto anzitutto all’esistenza travagliata di intellettuali e artisti è indizio di una fondamentale rivendicazione di autorialità. Il gusto dell’esperienza vissuta e dell’immedesimazione suggestiva vi appare ben temperato dal diaframma critico connesso all’icasticità essenziale della stilizzazione.
Il racconto biografico è uno dei generi attraverso cui le tendenze realistiche del fumetto contemporaneo hanno trovato campo di applicazione eminente. In effetti, le fortune del graphic novel coincidono in buona misura con l’impegno da parte degli autori a rappresentare la realtà con un gusto per la verosimiglianza, con una sottigliezza di strumenti psicologici e sociologici, quali non si erano dati comunemente lungo la storia più che secolare del fumetto. Nel corso di un simile processo il graphic novel ha badato a mutuare dalla letteratura romanzesca quanto potesse tornare a esso più utile in termini di assetti di genere, rispecchiamento dell’esperienza storica e scandaglio dell’interiorità soggettiva.
Il racconto di una vita, a raccordo tra la fantasia da romanzo e la ricostruzione documentaria propria dell’indagine storiografica, è una delle modalità privilegiate dal fumetto attuale, sotto specie di graphic novel, per elaborare una nuova capacità di presa sul reale e riscuotere un diverso concorso di interessi tra i lettori dell’editoria libraria. Le suggestioni riconosciute nella voga contemporanea alle storie “vere”, che siano basate su reperti originali di “realtà” e su “fatti” effettivamente accaduti – qualunque cosa ciò possa significare secondo lo statuto intrinsecamente revisionistico del sapere storico –, trovano nel racconto biografico una sede esemplare di incubazione e sviluppo. L’ambivalenza tra verità storica e artificio di finzione fumettistico, anzitutto per quanto attiene agli aspetti grafico-visuali della narrazione, è d’altronde originaria e fondativa, se un prototipo rinomato del graphic novel qual è Maus può essere lecitamente letto come la biografia del padre dell’autore, Vladek Spiegelman, sopravvissuto ad Auschwitz.
Il racconto di vite, in quanto genere tradizionale e illustre della scrittura storiografica, reca con sé sin dalle primizie classiche, da Plutarco a Svetonio a Vasari, un suggello di letterarietà che assicura alla sua reinterpretazione fumettistica odierna i connotati della cultura legittima più prestigiosa. Nell’ambito dei generi storiografici, del resto, in età contemporanea la biografia si distingue per una vocazione divulgativa che la avvicina, più di ogni altra forma di anamnesi scritta e obiettiva del passato, alla concretezza sensibile del miglior senso comune e alle esigenze dell’immediatezza comunicativa.
I successi plurimi di Corrado Augias, Gianni Granzotto, Arrigo Petacco o Daniela Pizzagalli sono lì a dimostrarlo. E la mitografia divistica dei veri eroi contemporanei dà luogo a stime quantitative davvero impressionanti, se nei cataloghi delle più fornite librerie online possiamo trovare in lingua italiana, originali o tradotte, all’incirca 7 opere biografiche dedicate a Lady Diana Spencer, 19 a Jim Morrison, 31 a Garibaldi, 38 a Che Guevara, 70 a Giovanni Paolo II, 108 a padre Pio di Pietrelcina. La fama letteraria di simili personalità pare accrescersi in proporzione allo slittamento dalla biografia verso l’agiografia, dalla lettura laica alla contemplazione venerante.
Ma la biografia a fumetti del nuovo secolo, in confronto con la biografia storiografico-letteraria e con l’agiografia di maggior fortuna, pare incline a una scelta più avveduta dei propri eroi e a una meditazione problematica sui motivi stessi per cui proprio quelli siano in qualche modo da additare come figure esemplari. Il fumetto non sminuisce la scioltezza divulgativa del biografismo letterario, anzi la accentua in virtù della drammatizzazione mimetica propria del linguaggio misto verbovisivo. In pari tempo, tuttavia, la consapevolezza realistica degli autori di fumetti biografici consente loro di muoversi con maggior disinvoltura tra le coordinate di interesse e di valore accertate dalla coscienza storica ufficiale.
Essi richiamano pertanto all’attenzione del pubblico le vicende di personalità non già pacificamente consacrate dalla memoria collettiva, ma capaci di sollecitare una rivisitazione dei processi storici con cui si siano intrecciati i loro casi peculiari, di protagonisti marginali, mortificati o malamente riconosciuti. Non i Carlo Magno e le principesse Sissi, non i Karol Wojtyla e i D’Annunzio dell’intrattenimento biografìco-letterario long selling, allora, ma piuttosto esponenti contristati della ricerca artistica o scientifica, sperimentatori di nuove forme di comunicazione, estrosi organizzatori di cultura, pionieri dell’immaginario.
Per esempio, l’Alan Turing di Tuono Pettinato e Francesca Riccioni: padre della cibernetica, candido omosessuale vittima della castrazione chimica di Stato, a dispetto del geniale contributo da lui fornito all’intelligence britannica in funzione antitedesca durante la Seconda guerra mondiale; l’Alexandre Campos Ramirez (alias Alejandro Finisterre) di Alessio Spataro: editore letterario, agitatore politico perseguitato dalla polizia franchista in mezzo mondo, inventore non riconosciuto del biliardino, da adibire a succedaneo del calcio calciato per gli invalidi della guerra di Spagna; la Feda Rafanelli di Sara Colaone, Euca De Santis e Francesco Satta: tipografa, editrice, scrittrice anarchica, musulmana orientalista, il cui astro libertario risplende soprattutto tra belle époque e avvento del fascismo; il Fats Waller di Igort e Carlos Sampayo: prolifico musicista jazz di origini statunitensi, vittima bizzarra del proprio successo e tuttavia capace tra le due guerre di aggregare gusti cosmopoliti e popolari in opposizione al razzismo nazifascista.
Fa fama massmediatica già riecheggiante dei biografati non impedisce d’altra parte che l’assetto del racconto possa insistere proprio sugli oneri della notorietà e sui cortocircuiti del narcisismo provocatorio: come accade con il Signor Pasolini, sosia mitomaniaco del poeta di Casarsa, intervistato da Davide Toffolo; con la Frida Kahlo di Vanna Vinci o con quella di Marco Corona, l’una impegnata in un carnevalesco dialogo con la morte all’insegna dell’umorismo nero, l’altra al centro di una allucinata e vitalistica via crucis. All’inverso, lo «sweet» Salgari di Paolo Bacilieri si professa campione di laboriosità piccoloborghese, dispensatore di esotismo avventuroso sullo sfondo del decollo capitalistico italiano, infine sopraffatto dalla legge della giungla insita nel movimento espansivo di un mercato culturale moderno.
Nell’individuazione dei propri protagonisti i biografi a fumetti sembrano orientati a privilegiare gli interpreti delle arti o del pensiero creativo, quasi che da questa scelta possa derivare, per proprietà transitiva, un surplus di riconoscimento dell’autorialità fumettistica stessa. E come se nel raccontare i travagli di inventori scienziati artisti, attraverso le tinte del Kunstlerroman, la biografia a fumetti diventasse un po’ anche autobiografia del fumetto: rappresentazione indiretta degli stenti paraletterari di un modo espressivo a lungo sottovalutato, ma insieme rivendicazione di una dignità autoriale del tutto analoga a quella coltivata presso le tradizioni poietiche ed epistemiche più robuste.
Se poi ci si vuole attenere al canone dei grand’uomini carismatici, Altan proponeva la sua versione dei Nostri antenati. Tre biografie non autorizzate. Colombo, Franz, Casanova, già sul finire degli anni settanta, in età non sospetta di graphic novel e tuttavia capace di anticipare, anche attraverso la mediazione del genere biografico, istanze del racconto a fumetti che sarebbero state riconosciute al graphic novel solo con il nuovo secolo. Gli obiettivi di Altan convergono verso una impietosa demistificazione satirica, non solo a scanso del rischio, sempre incombente sul genere biografico, di monumentalizzare i propri protagonisti, ma rispetto alla stessa mitizzazione del genio nazionale, posto che i suoi navigatori santi poeti mostrano la stoffa dei peggiori maneggioni egomaniaci e fraudolenti. Nel confronto polemico con i prodotti coevi dell’intrattenimento didascalico a fumetti, come la serie storico-avventurosa Un uomo un’avventura (1976-1980) dell’Editoriale Cepim (poi Bonelli), che poteva annoverare tra gli autori i nomi di Dino Battaglia, Hugo Pratt, Sergio Toppi, Guido Crepax, Attilio Micheluzzi, era qui conclamata la volontà di abbattere gli idoli della tribù e impedire l’uso di ogni piedistallo.
Assunte invece con slancio edificante, le lusinghe del racconto di una vita sono impareggiabili. E questo il modo in cui propendono a interpretare il genere biografico i fumettisti degli anni duemila, senza rinunciare a un fertile problematicismo. Quanto alla fisionomia della composizione, l’unitarietà della vita umana funge da struttura portante del racconto. Le convenzioni o illusioni soggettivistiche imperniate sul principium individuationis, che si presume intrinseco all’esistenza biologica del singolo, offrono i presupposti idonei a tracciare una salda tramatura narrativa: quella stessa offerta da vita morte miracoli del biografato. Nel racconto di una vita a fumetti trova inoltre amplificazione il fascino che contraddistingue la personalità pubblica, magari già intravisto ma non adeguatamente disaminato dalle perlustrazioni storiografiche specialistiche.
Vi si possono dispiegare, ancora, le curiosità sui retroscena privati del protagonista di vicende celebri e ufficiali; ma vi attecchiscono pure le curiosità riguardo alle pieghe dissimulate o segretate della storia pubblica più controversa, che possono essere riscoperte alla luce dell’itinerario individuale di colui che vi ha preso parte decisiva. Nella storia della vita di una persona viene tratteggiato il chiaroscuro di cause e conseguenze che si sfrangia tra sfera pubblica e sfera privata.
La rinnovata fiducia nella sensatezza dell’individualismo soggettivistico sorregge l’intelaiatura e la tenuta del modello narrativo biografico. Ciò trova naturalmente ulteriore appoggio in un clima politico-ideologico come quello odierno, proteso a magnificare le prerogative dell’io particolaristico atomizzato. E vero poi che il racconto biografico deve fare quasi regolarmente i conti con la morte del protagonista, spesso dovuta a cause innaturali o comunque contornata di straordinarietà. Ma piuttosto che ricavarne un senso del limite imposto allo stesso individuo d’eccezione, riconducendolo alla comune norma umana, ne deriva una ratifica della sua distinzione, per il modo traumatico o comunque agonistico in cui egli esce di scena e per l’eredità auratica che lascia in dote alla rammemorazione dei posteri.
Nella lettura del racconto biografico convivono, a ben vedere, la tendenza all’immedesimazione narcisistica sublimante nei confronti del protagonista, arruolato preferibilmente entro la cerchia dei talenti di spicco, e il bisogno di normalizzazione uniformante, secondo cui proprio il talento spiccato meglio rivela la comunanza dei bisogni e delle risorse di ognuno con l’umanità intera. Viene da chiedersi se non avesse davvero torto Hegel, quando asseriva che «certamente non c’è eroe per il proprio cameriere, ma non perché l’eroe non è eroe, bensì perché il cameriere è cameriere».
La biografia a fumetti contemporanea, associando per così dire il punto di vista del cameriere e il punto di vista dell’eroe, mette a fuoco quanto di comune, equivoco, spurio possa trovarsi nei casi degli eroi, senza che per questo siano meno meritevoli di racconto e di riguardo partecipe. Beninteso, ogni anelito epico di marca tradizionalistica si ridimensiona, anche perché spesso si tratta di eroi senza camerieri o grosso modo di camerieri eroi, nei quali eccessi e approssimazioni rendono tanto più commisurabile alla nostra empatia la statura della grandezza.
Per altro verso la centralità narrativa del personaggio, nel genere del graphic novel biografico, si riallaccia alla funzione archetipica ed eponima che l’eroe-testata assume nel fumetto seriale, proiettato in una dimensione di immutabile permanenza: da Mandrake a Superman, da Tex Willer a Dylan Dog, da Paperino a Rat-Man. Benché per solito dalla serialità resti esclusa ogni prospettiva di sviluppo ed esaurimento della parabola vitale del protagonista, il modo di leggere il fumetto seriale classico, incentrato sulla mitizzazione del personaggio eroico, ha diversi aspetti in comune con il modo di leggere la narrativa biografica: a cominciare proprio dal ruolo cardinale del personaggio e dal determinarsi dei suoi tratti fisiopsichici nel confronto-scontro assiduo con un ecosistema sociale e con una serie variegata di comprimari. Di qui, verosimilmente, trae ulteriore spunto l’approccio biografico nell’ambito del graphic novel e del fumetto documentaristico contemporaneo: da una consuetudine di lettura, ben anteriore al graphic novel, che inclina ad avvalorare la prosopopea antropomorfa delle creature fatte di nuvole e inchiostro.
L’eroe del fumetto seriale classico tuttavia soggiace a un destino, ritorna costantemente uguale a se stesso, monolitico; viceversa, il protagonista di una biografia si distingue per l’originalità del suo carattere e del suo percorso di vita, attua scelte e disegna un autonomo progetto esistenziale, urtandosi con circostanze e condizionamenti tutt’altro che prevedibili, men che meno governabili, come individuo soggetto al mutamento. Tanto più laddove la narrazione si sofferma con speciale indugio sul fulcro evolutivo discriminante di ogni esistenza moderna, vale a dire sul processo di formazione giovanile e sull’urto conflittuale con l’età adulta: ciò che trova intensa proiezione drammatica nelle biografie duemillesche più riuscite, a cominciare da Enigma. La strana vita di Alan Turing composta da Francesca Riccioni e Tuono Pettinato, nella quale si tratteggia con grazia ironica la rigidezza bacchettona delle istituzioni inglesi, scolastiche ed extrascolastiche, di contro all’entusiasmo speculativo dello scienziato in erba e al tenero struggimento della sua love story, stroncata dalla tubercolosi del compagno Christopher.
All’opposto degli eroi seriali consacrati dal fumetto novecentesco, il referente attuale del graphic novel e del fumetto biografico d’inchiesta richiama alla “storia vera” e all’esperienza vissuta. La verosimiglianza vi appare convalidata dall’approssimarsi all’autentica verità psicologica e storica del protagonista; allo stesso tempo essa vi appare superata dall’insinuarsi dell’immaginazione affabulatoria là dove nessuna ricostruzione veritativa del dato storico può far valere le sue ambizioni di obiettività: i recessi della sensibilità soggettiva più intima e le minuzie evenemenziali del quotidiano.
Nella biografia a fumetti, come nella biografia storiografico-letteraria, il gusto di immergersi nella vera esperienza vissuta è criticamente sostenuto da presupposti filologico-documentari. Esso coesiste a ogni modo con il gusto, già distintivo del fumetto seriale e tutt’altro che estraneo alla biografia letteraria, di elevare l’individuo protagonista, dal profilo più o meno ammirevole, a un livello d’eccezione.
E qui che, rispetto a qualunque rischio di esaltazione spontaneistica o idoleggiamento devoto, nel graphic novel biografico interviene un correttivo di natura estetica, che rimanda alla duplicità fondamentale del dispositivo di rappresentazione-narrazione, commisto di figure e parole. La stilizzazione del linguaggio fumettistico, nel momento di sceneggiare una vicenda proposta e mostrata come veritiera, ma insieme ricondotta visivamente alle formalizzazioni espressive più essenziali proprie dei cartoon, crea un campo espressivo di ambiguità irriducibile: è artificio artistico ma insieme è documento probante: suggerisce, amplifica, scorcia, emblematizza, ma insieme riproduce, esibisce, riscontra e attesta.