In un’epoca sempre più segnata dal digitale, è necessario ribadire l’importanza non solo del patto fra autore e lettore, che assegna un’utilità psicosociale al piacere della lettura, ma anche del ruolo imprescindibile dell’editore, cui spetta inoltre il compito non semplice di ordinare e rendere utilizzabili i contenuti testuali che affollano la Rete.
Bisogna pur ammodernare la nostra idea di letteratura, di fronte all’avanzata epocale delle forme di intrattenimento ludico, supportate dalla tecnologia digitale con i suoi linguaggi multimediali. Un fenomeno che riguarda schiere così sterminate di fruitori esige di per sé che ce ne si occupi analiticamente, senza spocchia, in tutte le sedi disponibili e da tutti i punti di vista, innovativi o passatisti. D’altra parte in tutto il corso del Novecento si è constatato che neanche gli exploit più clamorosi dello sperimentalismo elitario e snobistico portano mutamenti significativi nelle relazioni fra letterati e lettori. Allora, la vera questione da porre oggi è un rilancio delle attività di scrittura e lettura, sulla base di una esaltazione dell’immaginario autoriale, votato alla creazione di prodotti testuali orientati a soddisfare le attese consapevoli o inconsapevoli di un destinatario collettivo, sia largo sia ristretto, sia culturalmente qualificato sia di scarsa competenza. Anche i videogiochi si collocano su questo sfondo istituzionale.
In una civiltà modernamente articolata e stratificata, i testi scritti chiedono di essere considerati come una categoria di beni immateriali dotati di una utilità psicosociale riconoscibile. Al contrario di quel che ritenevano gli antichi, l’arte non è otium ma negotium. Tra l’individualità dell’io scrivente e la pluralità degli io leggenti sussiste un patto di interesse reciproco: la nostra costituzione antropologica prevede l’aspirazione a compensare i limiti i guasti le pene dell’esistenza con il piacere della lettura. A offrirlo sono gli artefatti a stampa elaborati al fine specifico di costituire una occasione di rasserenamento dalle meschinità disordini fallimenti delle esperienze concrete di vita. Una evasione, dunque, per corroborare la sopravvivenza dell’essere attraverso la acquisizione di un benessere fisiopsichico.
Il compiacimento per l’offerta autoriale è tanto più pieno quanto maggiore è la consapevolezza della laboriosità dell’impegno creativo. Il prodotto testuale chiede gratitudine ai suoi destinatari fruitivi, dei quali l’autore coltivava dentro di sé l’immagine mentre scriveva, sperando di farli contenti: anche e proprio quando sfidava l’abitudinarietà delle loro esigenze con l’originalità della sua invenzione. Ogni scrittore idoleggia il suo pubblico, delineandone la tipologia attraverso i criteri di tecnica espressiva adottati: c’è chi sceglie i procedimenti più semplici e risaputi ma c’è chi si forgia gli idioletti più sofisticatamente estrosi.
Nel mondo delle lettere c’è posto per tutti, modesti mestieranti e gran signori della penna. Tutti partecipano di un grande compito: il soddisfacimento del desiderio universale di godimento dei doni della fantasia. Naturalmente a ogni scrittore va assegnato il posto che gli spetta, a seconda dell’elevatezza e complessità dei suoi metodi di lavoro: non avrebbe senso mettere Salgari al livello di Gadda, Tamaro a fianco di Morante. Resta tuttavia essenziale riconoscere che la modernità letteraria non comprende solo i libri che interessano e piacciono ai lettori specializzati, ossia poi i laureati in Lettere, ma anche a tutti gli altri leggenti, che hanno pieno titolo per ammirare le opere che hanno fatto provare loro le emozioni più vivide, si tratti dei Tre moschettieri o di Montalbano.
In ogni caso, il pregio in cui il libro, qualunque libro, viene tenuto dipende dall’apprezzamento che i lettori competenti ne hanno fatto, al rispettivo livello di autorevolezza. S’intende che le valutazioni più accreditate sono quelle provenienti dai lettori di professione, gli iperlettori, studiosi e critici, i quali ambiscono a proiettare le loro sentenze in un cielo empireo di perennità. Ma in realtà ogni giudizio di valore reca sempre impresso un marchio di origine storico-sociale: e ciò implica un destino di variabilità, discutibilità, contestazione. Persino l’immenso Dante ha potuto nei secoli essere reinterpretato. D’altronde è pur vero che la perfezione non è di questo mondo, e anche l’opera più impeccabile non può non avere qualche aspetto di fragilità, o di superfluità, così da indurre insoddisfazione alla lettura.
Resta poi normale che da una schiera di mestieranti anonimi possa staccarsi una personalità in grado di sopravanzare i colleghi imponendosi all’attenzione di tutti i frequentatori di un settore di mercato ben identificato: caso esemplare Liala, la regina del rosa, dotata di una capacità d’invenzione spudoratamente ultraromanzesca che ammalia le lettrici come nessuna delle colleghe e rivali è stata in grado di fare. Beninteso, il suo successo non basta a conciliarle la stima dei letterati doc: ma il primato che ha raggiunto comporta pur sempre il riconoscimento di una personalità non comune.
A ogni livello e in ogni circostanza, insomma, l’oggetto letterario viene messo in discussione e sottoposto a trattativa, giudicandolo al paragone con altri oggetti di tipologia analoga. Ciò è reso possibile dal fatto che il testo autoriale è stato pubblicato, trasformandolo in bene librario, cartaceo o elettronico che sia: processo indispensabile per socializzarlo, moltiplicandone le copie. Ma allora, esso è diventato materia di scambio in una dialettica di domanda e offerta. E dove c’è un rapporto di domanda e offerta, lì si costituisce un mercato.
Mercato è un termine impronunciabile nel linguaggio umanistico, peggio ancora del termine industria. Ma senza mercato librario, non c’è letteratura, ci sono solo delle risme di carta inchiostrata che ammuffiscono in uno scantinato. Il punto è che a reggere questo incontro di scambio si fa avanti una terza figura, insieme all’autore e al lettore: che è l’editore. A lui spetta il compito di commercializzare il risultato della creatività autoriale, ricavandone un prodotto concreto, con sistemi di lavorazione complessi e delicati e costosi, al temine dei quali viene stabilito un prezzo di vendita. Così il lettore acquista la fisionomia del cliente: non si può fare diversamente, almeno allo stato attuale delle cose…
Lo scenario della letterarietà assume allora configurazione di un mercato interminabile dove miriadi di offerte turbinano a gara per conquistare allargare prolungare il favore di una utenza in stato di ebollizione permanente. La concorrenzialità ineludibile eguaglia e diversifica i prodotti che si dispongono su innumerevoli scaffali, di continuo disordinati e riordinati. S’intende che nella competizione non è detto che sempre e subito vincano i migliori: ma nessuna vittoria è mai immotivata, e le ragioni di prevalenza vanno comprese senza mai vilipenderle.
I titoli che restano per maggior tempo nel godimento delle élite colte, dei detentori del gusto, assurgono al rango dei classici; quelli che ottengono il successo presso una utenza culturalmente subalterna sono più esposti alle variazioni della sensibilità estetica. L’insegnamento scolastico provvede a sancire la permanenza dei libri di elezione più indiscussa in una biblioteca empirea, concepita come il luogo supremo del disinteresse, della gratuità e infine della estaticità paradisiaca. Al di sotto di questo cielo delle stelle fisse, o presunte tali, c’è il regno delle convenienze, delle opportunità, dei condizionamenti, plausibili o dissennati, leciti o perversi. L’acquisto di un libro letterario si compie sempre in una prospettiva di economicità: che rimanda non solo al valore monetario indicato nel prezzo editoriale, di copertina, ma di là da esso al prestigio che al testo viene attribuito dai competenti, più o meno affidabili.
A commisurare il livello di eccellenza di un’opera provvede la maggiore o minor facilità di scambiarla con un’altra di tipologia analoga. Se sono disponibili molti oggetti della stessa specie, per esempio romanzi gialli di serie, il prestigio del testo in questione sarà limitato. In una civiltà letteraria bene ordinata trova posto una varietà di generi filoni tipi molto dissimili e tutti ben caratterizzati, in rispondenza sia con la natura diversa delle inclinazioni nutrite dall’utenza sia con la molteplicità dei gradi di competenza fruitiva dei quali avvalersi nella lettura.
La modernità letteraria ha reso più evidente la magmaticità dei processi di complicazione che hanno luogo nell’attività di scrittura e lettura. Il mercato è agito da un flusso continuo di impulsi operativi che si contrastano a vicenda eppure collaborano tutti a vivificare la dinamica dei rapporti fra produzione e fruizione, mediati dal sistema editoriale, e garantiti dalle istituzioni della letterarietà libraria. D’altronde tali istituzioni sono gestite in sinergia con quelle extraletterarie della civiltà di appartenenza: la letterarietà ambisce a influire su tutte le modalità convenute della vita associativa, mentre dall’universo dei riti e miti socioculturali provengono gli stimoli che fertilizzano l’operare autoriale.
Il gusto è il terreno ambiguo dell’incontro fra organicità fertile delle pulsioni creative ed esuberanza inquieta dei comportamenti di costume in evoluzione. Il criterio guida nella elaborazione funzionale dei testi è sempre in connessione, per consenso o dissenso, con la Weltanschauung dei gruppi e ceti sociali egemoni. La dimensione editoriale è quella in cui si decide la genesi del gusto, come sintesi di sensibilità fra estetico ed extraestetico, economico e diseconomico, originalità imprevedibile e istituzionalità inevitabile. La produttività del rapporto facile e difficile fra autore e editore riverbera su quella eventuale della relazione fra editore e pubblico.
L’editore non può ignorare sistematicamente i desiderata della sua clientela di riferimento, se non vuole portare al tracollo i bilanci aziendali. Da ciò l’importanza e la delicatezza delle attività di ricerca e selezione del nuovo, con il forte rischio d’impresa che caratterizza l’editoria. D’altronde la pura e semplice replicazione pedissequa di successi già esperiti non basta a garantire un consenso di pubblico senza fine: anzi. Quanto più un determinato modulo letterario ha fortuna, tanto più viene logorato dall’uso: e tanto più radicale quindi sarà la differenza di gusto portata dai nuovi prodotti, in antitesi con i precedenti. Nel Novecento alla diffusione immensa del romanzo sentimentale fece seguito una ondata senza precedenti di romanzi audaci. Risalendo di livello nella scala della letterarietà, alla asciuttezza assorta della poesia ermetica subentrò la drammaticità pugnace della prosa neorealista.
Va ribadito comunque che la formulazione del prezzo editoriale non può non avvenire sulla base delle complesse procedure di trasformazione del manoscritto autoriale in oggetto a stampa, atto alla propagazione del testo nello spazio e nel tempo. La fabbricazione del libro, nella sua consistenza materiale, prevede costi profitti e perdite, preventivi e consuntivi, investimenti vendite e ricavi. Nel mondo moderno questa attività ha promosso una acculturazione massiva, debellando irreversibilmente l’analfabetismo. In parallelo, si è avuto un ingigantimento delle strutture aziendali che ha portato allo sviluppo della cosiddetta industria culturale, come sede di prelettura e valorizzazione dell’elaborato mentale in vista della sua commercializzazione.
Questa operazione non è gratuita, esige che vi si investa del denaro: l’oggetto librario che se ne ricava non può non esser fatto pagare a chi lo acquista; è una merce, e come tale impone un costo a chi vuole comprarla. Ossia ha un valore di mercato. Ma distinguiamo bene tra prezzo e pregio ribadiamolo: il vero e proprio pregio del testo è stabilito ex post dalla valutazione che ne danno gli acquirenti, in specie quelli più competenti e autorevoli. La difficoltà peculiare dell’attività editoriale consiste nel margine elevatissimo di insuccesso dell’impresa di mercificazione di un prodotto dell’ingegno individuale, che chiede di essere confezionato come un bene di consumo senza dare garanzia della sua commerciabilità.
Ogni libro è un unicum il cui Dna mescola almeno qualche tratto di originalità peculiare, frammezzo alle riprese di elementi già esperiti con risultati variamente considerabili. Per avere il plauso più ambito, il libro nuovo chiede di apparire inconfondibile e inimitabile. Ma la sua destinazione d’uso ne tradisce la sorte: una volta che sia stato letto lascerà inevitabilmente il passo a un altro libro, analogo o diverso. Quanti più libri si leggono, tanti più altri si desidera leggerne. Il lettore unius libri non esiste: ogni libro ha sempre chi lo ha preceduto e chi lo seguirà. D’altronde il libro che sia una copia perfetta, senza alcuna variante, di un altro libro preesistente è solo una astrazione paradossale. Che nessun io leggente mai confermerà.
Non per nulla, il fascino vero del lavoro editoriale sta nella dose di intuizione che richiede, come capacità di prevedere gli orientamenti di sensibilità consapevole e inconsapevole determinanti per il buon esito dell’inedito da mandare in stampa. E non è detto che necessiti l’attrezzatura di una grande industria per selezionare i manoscritti più promettenti. Come in tutte le operazioni di disamina e valutazione qualitativa, in qualsiasi campo, nelle attività del mercato librario non tutto è riconducibile a criteri di razionalità impersonale.
La vera e propria missione dell’editoria contemporanea è di conciliare le istanze della letterarietà con quelle della leggibilità, dopo il lungo periodo di una conflittualità dissennata, quando i veri libri dovevano essere sofisticati, esoterici, astrusi: mentre gli scritti alla portata di tutti erano perciò stesso esclusi dal rango delle letture degne di rispetto o anche solo di considerazione attenta. Così è accaduto che la categoria dei lettori professionisti si sia rinserrata in un hortus conclusus, dove l’importante era non già aprire sempre più l’area degli oggetti meritevoli di studio devoto, ma al contrario restringersi al culto della sacralità di un canone librario da non contaminare.
E vero infine che gli sviluppi della tecnologia digitale stanno dischiudendo prospettive entusiasmanti e insieme ponendo problemi di portata epocale: basti pensare al dibattito planetario sulla questione dei diritti, così decisiva da ogni punto di vista. Ma l’essenziale è che sempre e comunque tra l’io autoriale e il destinatario collettivo non potranno non esserci delle figure di mediazione che riconoscano ordinino distribuiscano la quantità incommensurabile di oggetti librari sparsi nell’infinità della Rete: e li propongano alla lettura, rendendoli visibili, quindi utilizzabili. Con ciò stesso, il tema della responsabilità nella gestione dei rapporti fra domanda e offerta di beni creativi si ripresenta nella sua più inquietante evidenza.