Nonostante l’impegno di tutti gli attori coinvolti, i contenuti digitali integrativi non hanno finora goduto di grande riscontro nelle scuole italiane. Perché il cambiamento caldeggiato dall’ultimo decreto ministeriale si realizzi occorre una collaborazione virtuosa fra istituzioni, insegnanti e editori, davanti ai quali si profila un intenso periodo di sperimentazione.
A prima vista sembra un decreto come gli altri: lunghe premesse, sette articoli asciutti nei quali il ministero «fa il suo mestiere»: definisce tetti di spesa, fissa i prezzi di copertina dei libri, traccia un percorso, afferma il proprio ruolo. Ma nell’articolo 4, il D.M. 781 del 27/09/2013 sui libri di scuola rivela interessanti novità: forse questa volta i libri di scuola cambieranno davvero. Per carità, il decreto si inserisce con il dovuto garbo nel solco della continuità e non è certo la prima volta che leggiamo di un’offerta editoriale mista carta + digitale, di supporti per l’apprendimento, di infrastrutture e di digital divide. Questa volta però, l’articolo 4, o meglio l’allegato 1 al quale l’articolo 4 rimanda, esplicita le caratteristiche del sistema di offerta che il ministero si aspetta: che cosa è il libro di testo, che cosa sono e come sono in relazione con il libro i contenuti di apprendimento integrativi, che caratteristiche devono avere le piattaforme di fruizione, quali dispositivi possono essere utilizzati in aula e a casa.
Finalmente il ministero esprime ciò che intende quando parla di libro «nella versione digitale o mista». Il libro al quale eravamo abituati era fatto di contenuti che poggiavano su un supporto specifico, la carta. Se i contenuti sono digitali, il supporto è fatto da un dispositivo (un e-book, un computer, un tablet, uno smartphone…) e da una piattaforma che rende possibile la fruizione dei contenuti digitali. E quindi – spiega il decreto – sono dati tre possibili idealtipi di «libri digitali e misti»: libri su carta con contenuti digitali integrativi (tipo a, che ormai tutti gli editori hanno), libri su carta e digitali con contenuti digitali integrativi (tipo b), libri digitali con contenuti digitali integrativi (tipo c). Certo il cambiamento sarà graduale, però il decreto dice con chiarezza che «la modalità mista di tipo a) è considerata residuale e non funzionale all’esigenza di avviare in maniera diffusa la transizione verso il libro di testo digitale, promuovendo la relativa formazione e sensibilizzazione del corpo docente». Come dire: il cambiamento ci deve essere, e deve partire dal libro. L’innovazione di questa legge sta nel fatto che esplicita le aspettative del ministero e definisce i confini entro i quali l’iniziativa imprenditoriale delle case editrici può esprimersi.
Per gli editori si tratta di una sfida importante, perché tocca il cuore del loro mestiere e li costringe a un faticoso cambio di passo nel processo di innovazione. Nell’editoria tradizionale, gli insegnanti sanno come insegnare ai ragazzi, gli editori sono il referente degli insegnanti e degli autori e sanno come si fanno i libri. Autori, insegnanti e editori si sono da tempo posti il problema di come usare al meglio le tecnologie per accompagnare il percorso di crescita dei propri allievi, per realizzare prodotti moderni ottimizzando i tempi, i modi e i costi. Finora però molti degli esperimenti di libri digitali di tipo a) sono falliti, perché i contenuti digitali integrativi (il sito companion, il cd ecc.) non erano presi tanto sul serio: per gli autori erano ancillari al testo, per gli editori uno strumento di marketing o un fastidioso orpello per la redazione, per gli insegnanti un teorico nice to have perché in pratica le barriere di infrastrutture (a casa e a scuola) e le consuetudini non facilitano una didattica attiva. Per i ragazzi, erano prodotti che nascevano vecchi. E così i mercati per prodotti editoriali innovativi erano piccoli e sono restati piccoli e poco interessanti per molto tempo, creando un attendismo collettivo e condiviso fra scuola, ministero, editori, famiglie. Non stupisce che – lasciati a loro stessi – gli studenti ancora oggi studino come all’epoca di De Amicis e a casa i fortunati usino la Rete in modo opportunistico e non costruttivo.
Il decreto chiama dunque almeno gli editori a essere agenti di cambiamento. Non potranno essere soli: per realizzare un sistema di offerta sostenibile e incentivante di tipo b) o di tipo c) occorre indubbiamente lavorare anche sul contesto: bisogna che le infrastrutture ci siano (abbastanza dispositivi nelle scuole e nelle famiglie, abbastanza connessioni Internet a banda larga tanto per cominciare). Le dotazioni informatiche delle nostre scuole lasciano molto a desiderare, ma sono aumentate e cresce il numero di ragazzi che hanno tecnicamente la possibilità di accedere – a casa e a scuola – a contenuti digitali su base continuativa. Occorre anche che gli insegnanti modifichino la propria didattica: nell’immaginario collettivo l’insegnante non si caratterizza per orientamento al nuovo, ma sono moltissimi i docenti che sanno fare il loro mestiere, che si sono posti il problema di coinvolgere, motivare e far partecipare gli studenti, che sanno o intuiscono che le tecnologie digitali possono essere un alleato, che sono disposti a rischiare e a sperimentare. Il decreto riconosce che è compito del ministero occuparsi di infrastrutture e formazione degli insegnanti. Speriamo faccia la sua parte e dimostri di voler accompagnare questo importante processo di cambiamento; la decisione di far ripartire il paese dalla scuola sarebbe un gesto giusto, doveroso nei confronti dei nostri figli ed economicamente sensato, e un bel segnale.
E dal lato degli editori? La realtà della scuola italiana offre già oggi mercati pronti per una nuova offerta editoriale; sta a ciascun editore scegliere come caratterizzare la propria offerta e quanto scommettere sui prodotti di tipo b) o di tipo c). Per gli editori si apre quindi una stagione (breve ma intensa) di sperimentazione e di rischio. Breve, perché in un momento di transizione come questo si gioca la configurazione futura del settore; intensa perché le decisioni da prendere sono molte e tutte critiche. Ne evidenzio alcune.
Una prima categoria di decisioni riguarda la determinazione a restare nel settore. E ragionevole immaginare nel prossimo futuro un consolidamento nel settore stesso e un aumento medio dei costi e degli in vestimenti: quanti gruppi editoriali saranno presenti sul mercato fra cinque anni, date l’attuale situazione economica e la pressione competitiva? Chi ha e avrà la forza editoriale, economica e commerciale per spingere in questo momento? E siamo così sicuri che il mondo dell’editoria scolastica sarà sempre solo degli editori di libri? Nell’editoria universitaria alcuni atenei prestigiosi si sono consorziati per offrire piattaforme di pubblicazione di contenuti scientifici (prevalentemente riviste) o didattici (si pensi ai Mooc), e i loro concorrenti sono aziende non profit e non editori. Tecnicamente non si tratta di case editrici, è chiaro, ma anche loro offrono soluzioni al bisogno di condivisione di contenuti autorevoli e certificati. Già oggi alcuni attori della filiera del libro e più in generale gruppi media al di fuori dell’editoria scolastica stanno offrendo servizi e soluzioni per la scuola.
Un’altra importante categoria di scelte riguarda le attività da presidiare e quelle da affidare a terzi. Il libro è fatto, come è noto, di contenuto e di supporto e ai tempi della carta l’editore si occupava di entrambi e da entrambi traeva valore. L’esperienza negli altri settori dei contenuti e nello stesso settore librario (si pensi ad Amazon) ha reso evidente che il controllo della piattaforma crea vantaggi competitivi rilevantissimi nei settori digitali, ma il livello di investimento necessario, la rapidità di evoluzione tecnologica e le competenze richieste fanno ritenere che le possibilità per i singoli editori di appropriarsi di una parte significativa del valore creato dalle piattaforme di fruizione siano limitate. Peraltro, le generali raccomandazioni del ministero vanno nella direzione di limitare le possibilità di appropriazione di valore riguardo alla piattaforma. Dove cercare quindi gli alleati dentro e soprattutto fuori dal settore della scolastica?
Un gruppo di decisioni sicuramente «esclusive» per gli editori di libri riguarda la configurazione dei prodotti. Come è accaduto per i giornali, la digitalizzazione porta a una crescita esponenziale delle possibili configurazioni di un titolo, in funzione dei dispositivi di fruizione utilizzati; non solo, le diverse configurazioni permettono un allargamento dei possibili utilizzi della stessa base di contenuti (un esercizio risolto può essere parte di un eserciziario, di una prova di esame, di un sistema per l’autoapprendimento a seconda di come «è vestito»). Sta all’editore decidere come comporre il catalogo e come declinare la propria offerta di contenuti. Fino a oggi il libro di testo ha rappresentato la «parte nobile» dell’offerta editoriale; dal punto di vista dell’appropriazione di valore, non è detto che in futuro le cose stiano ancora così.