La tecnologia e i processi formativi possono cambiare l’esperienza di lettura e con essa la natura del testo e la forma-libro: la cultura del tablet e la scuola di domani ci stanno portando verso il libro transmediale, perché i tecno-ragazzi hanno fame di nuovo, e crescono in fretta.
Quando la tecnologia e la scienza non ci danno le risposte che vogliamo, c’è sempre qualcuno disposto a farlo, come chi ha sostenuto le tesi più estreme sulla smaterializzazione del libro, oggi sempre più digitale, e sulla fine dell’editoria, messa in scacco dalla disintermediazione autore-pubblico. Eppure c’è qualcosa di più radicale che sembra essersi già messo in moto e che può contribuire a interpretare la crisi del libro e della lettura. Ovvero la mutazione dei processi cognitivi alimentati dall’entertainment, dalla tecnologia e dalla pratica della comunicazione digitale, e da una svolta nei processi educativi-formativi che stanno mettendo in dubbio il primato del testo lineare: non il libro in sé, ma l’organizzazione e la natura dei contenuti, la sua forma.
Saranno la tecnologia e i processi formativi a cambiare l’esperienza di lettura e con essa la natura del testo e la forma-libro, almeno per come l’abbiamo comunemente intesa?
Il tipping point dell’era gutenberghiana è adesso il tablet o quello che potrebbe diventare nel giro di una manciata di anni, una volta completato l’abbraccio con lo smartphone, là dove i tablet diventano sempre più piccoli e gli smartphone sempre più grandi, alla ricerca del punto di equilibrio per un nuovo device che integrando tutte le funzioni di telefono, computer, schermo, console e, va da sé, reader, possa essere per molti l’unico aggeggio elettronico «personale».
In soli tre anni il tablet è diventato uno standard condiviso, un device che ha sparigliato l’elettronica di consumo, semiaffondato l’idea del computer portatile e imposto un nuovo pattern cognitivo. Eppure il tablet sarebbe un pezzo di legno senza le aziende che ne hanno sviluppato la tecnologia, i sistemi operativi e, soprattutto, le piattaforme che veicolano e commercializzano ogni genere di contenuti. Sono Apple, Amazon, Google, Samsung (e in subordine Microsoft, Barnes & Noble, Kobo, insieme a tutta l’industria della telefonia in banda larga) gli artefici della nascita di una «tablet culture» che vede la convergenza sui tablet dei prodotti dell’industria creativa dei contenuti (musica, cinema, tv, news, videogame), della comunicazione e dei servizi (Internet, e-mail, App di ogni tipo fino alle varie declinazioni dei social media), oltre alle funzioni banali ma fondamentali delle nostre abitudini quotidiane: scattare foto, prendere appunti, gestire un’agenda, acquistare un biglietto, prenotare una visita medica. E leggere un libro, ovvio. Anche se tanto ovvio non era fino a pochi mesi fa. Tutto questo converge sul tablet.
Il mercato dell’e-book registra ancora ottimi tassi di crescita, in realtà è un mercato allo stesso tempo sia «emergente» sia «maturo» (Aptara, 2012) e con esso gli e-reader in e-ink. Ci si aspettava che l’Europa continentale, il Giappone e tutti gli altri mercati editoriali dove l’e-book sta iniziando a decollare avrebbero sancito l’epoca della lettura digitale su inchiostro elettronico come un nuovo standard planetario, ma la prospettiva potrebbe essere un’altra. Nei mercati maturi, come quello statunitense (di fatto l’unico ampio mercato, insieme a quello UK, del libro elettronico), la prima generazione di lettori digitali {e-readers first adopter) si è già spostata sul tablet in una misura pari al 37% circa di tutti i lettori di e-book (BISG, 2012). La percentuale è destinata ad aumentare velocemente anche con l’arrivo sul mercato di nuovi modelli di tablet come Google Nexus, Kobo Are, iPad mini e di vari modelli Samsung Galaxy, perché ogni nuovo modello – in un mercato lontano dalla saturazione – porta nuovi utenti di tablet. Con tablet meno ingombranti e a prezzi sempre più abbordabili e con il grande miglioramento dei display è scomparso anche l’handicap della scarsa leggibilità degli schermi retroilluminati. Al tempo stesso, con l’approdo dell’e-book sui tablet il libro tradizionalmente inteso come un testo lineare entra direttamente in competizione – sullo stesso device – con tutti gli usi del tablet e in particolare con tutti i prodotti di entertainment per i quali è stato concepito. In un’epoca che vede sempre più in crisi le capacità cognitive di leggere e comprendere testi lunghi (OCSE Pisa, 2012), e quelle necessarie per poter andare «oltre il testo» e farlo quindi proprio (Wolf, 2010), la concorrenza sullo stesso device di video, film, serie tv, game, social media e tutto quello che si trova «one click away» diventa sempre più temibile per il libro, anche perché le dinamiche neurobiologiche che presiedono alla gratificazione sembrano essere le stesse per un buon romanzo, una buona fiction tv o un videogame partecipativo, e noi umani scegliamo sempre l’opzione meno faticosa. Inoltre anche la concorrenza di un video su YouTube, di una e-mail, dello sfogliare il proprio album di fotografie e di un acquisto su Amazon diventa sempre più forte perché è sullo stesso device, e su un device che potenzialmente ci portiamo sempre appresso, catalizzatore del tempo libero interstiziale.
A riprova, i contenuti visivi che passano in rete sono il segmento preponderante: già nel 2010 erano più del 50% di tutto il traffico di Internet.
Oltre alla concorrenza di altri prodotti deU’entertainment, nel futuro del libro c’è un’ulteriore variabile legata all’uso estensivo dei tablet: i comportamenti multitasking e la lettura multitestuale, che inducono alla creazione di una nuova testualità in un nuovo ambiente, ovvero qualcosa che parte dalla multimedialità per inoltrarsi nei nuovi territori del transmedia.
Infine, sull’e-reader in bianco e nero possiamo leggere solo testi correnti, integrati al massimo da disegni, ma se il testo ha bisogno di immagini, animazioni e interattività dobbiamo per forza leggerlo su un tablet o uno smartphone.
Il transmedia, detto in forma semplificata, è al crocevia di multimedia, crossmedia e social media. Un prodotto transmediale integra contenuti diversi ma coerenti veicolati da piattaforme differenti. Per esempio, nel documentario transmediale Défense d’afficher (France tv), su un sito web dedicato e interattivo si integrano otto capitoli video sui writers nelle varie città del mondo, alcune animazioni, testi, file audio e un’App per iPhone che guida con un geolocalizzatore verso le opere migliori. Per restare nel campo della non fiction transmediale la pluripremiata TAc Waste Land (Faber & Faber/Touch Press) è un’App dedicata al poema di T.S. Eliot, con un set realizzato ad hoc per una star del teatro come Fiona Shaw, che lo legge integralmente, altri contenuti video, interviste, il testo completo, note critiche, file audio, link esterni e pagine social. Nella fiction gli esperimenti che più premono sul pedale del transmedia prevedono thriller con filoni narrativi multipli su differenti piattaforme (web, App, social) e con differenti punti di ingresso nella storia giocati tra testo, video, graphic novel, game, file audio e fotografie come è nel caso di Thè Numinous Place o di Angel Punk. I progetti transmediali già realizzati e di successo ruotano tuttavia su serie di libri già editi, come è il caso di Pottermore, legato ai libri di Harry Potter e gestito direttamente dalla Rowling, e di Thè 39 Clues realizzato sulla omonima serie di short stories che ha venduto nove milioni di copie. In tutti e due i casi il transmedia è innestato su storie che raccontano mondi «chiusi», già descritti attraverso i libri e rivolti a un pubblico di ragazzi già abituato ad accedere a giochi e contenuti speciali su più piattaforme. Si tratta quindi di complesse operazioni di marketing – delle quali il transmedia ricalca spesso la dinamica dei rimandi, alla ricerca di un’audience più vasta – orchestrate per lo più attraverso game e contenuti aggiuntivi, e che oggi sono applicate anche ad altri prodotti deU’entertainment extraeditoriale. Per esempio, le serie tv Homeland e Dexter, come molte altre, hanno App dedicate con trivia e game, tramite web e Facebook/Twitter, che permettono di accedere a contenuti inediti, di scoprire particolari nascosti della trama e dei personaggi, e di condividere il tutto sui social network.
Per tutti si parla sempre più intensamente di storytelling transmediale, ovvero dello sviluppo di nuove tecniche narrative modellate sui new media e capaci di prendere per mano il lettore, offrirgli un’esperienza gratificante e scantonare i vicoli ciechi caratteristici dell’ipertestualità, funzionale alla consultazione di un reference ma incapace di offrire un flusso narrativo che tenga agganciato il lettore.
E dunque facile capire come il tablet e gli smartphone siano device ideali anche per i prodotti transmediali più vicini ai libri. Possiamo chiamarli ancora libri, per quanto transmediali? La risposta è aperta, anche se è molto difficile che l’editoria libraria ci si butti in tempi brevi, mentre non ha ancora digerito la svolta dell’e-book e non sembra avere mezzi e attenzione per affrontare anche a livello sperimentale (com’è oggi) la realizzazione di «opere transmediali»: progetti che hanno un iter produttivo più simile a quello cinematografico, costi spesso elevati, perdita dell’autorialità (qualità spesso centrale nel business librario tradizionale) a favore di un lavoro collettivo, flussi narrativi che chiedono una forte attitudine alla multitestualità, al multitasking e al game, aperti verso la realtà aumentata e l’ARG {alternate reality game, dove lo scenario narrativo è la realtà e la scrittura è collettiva) e uno storytelling spesso frammentato, cosa che molti lettori di fiction e non fiction tradizionale – per quanto con un buon grado di alfabetizzazione digitale – potrebbero sentire troppo estraneo.
In alcuni convegni si è avanzata l’ipotesi che siano gli sceneggiatori o gli artisti visivi, più che gli scrittori, a dover impugnare il transmedia per produrre fiction. Lo stesso si potrebbe dire per i lettori: quali categorie possono essere più sensibili al transmedia? Saranno loro il pubblico che testerà per primo il libro del futuro?
Per rispondere a queste domande bisognerebbe guardare invece che ad altre forme d’arte non letterarie, all’evoluzione della trasmissione del sapere in ambito scolastico, ovvero là dove si stanno formando quelle capacità e quelle sensibilità al multitasking e al multimediale che potrebbero essere il reale incubatore per la nascita sia di un pubblico transmediale sia di nuovi autori, capaci di «scrivere» direttamente pensando a uno storytelling multipiattaforma.
E per questo che il transmediale – per quanto possa apparire come un caravanserraglio dove specie digitali differenti si accoppiano senza inibizioni ora per interesse (marketing) ora per amore (creatività) – è il laboratorio più interessante per indagare il destino del libro e dei contenuti librari, esposti all’ibridazione con il mondo dell’entertainment da un lato e le dinamiche del digitale dall’altro.
Guardiamo quindi alle zone più avanzate dell’educational digitale e a come il tablet sia ancora il protagonista di un modo totalmente nuovo di trasmettere i contenuti anche fuori dai consueti percorsi lineari.
Nel 2015 tutti gli studenti sudcoreani (i più bravi del pianeta secondo Pisa e OCSE) studieranno su un tablet. Il progetto quinquennale finanziato dal ministero dell’istruzione con 2,4 miliardi di dollari ha buone possibilità di rispettare i tempi. L’esempio coreano va oltre l’abolizione del libro di testo e dei materiali cartacei: il tablet è infatti lo strumento centrale di un programma educativo che prevede l’accesso a tutte le forme di contenuti, la possibilità di condividerli, l’interazione con insegnanti e compagni anche via tablet che diventa non un mezzo ma una vera e propria piattaforma didattica, sempre aggiornata, con un flusso di informazioni, test ed esperienze di apprendimento che nulla toglie alla classe e al rapporto con i professori.
L’obiettivo del programma è soprattutto quello di introdurre una nuova didattica modellata sulle opportunità offerte dal digitale e che prende molto sul serio come stanno cambiando la sensibilità e le modalità percettive dei giovani.
«L’apprendimento deve essere ubiquo, continuativo e flessibile» dice Sang-Hyun Jang, direttore di Global Futures in thè Korea Education & Research Information Services. «La ripetizione aiuta a memorizzare, ma non è efficace per applicare le conoscenze acquisite a un processo creativo, ed è la competenza creativa il principale obiettivo dell’educazione. I new media, come dimostrano studi recenti, hanno un impatto positivo sull’apprendimento scolastico: promuovono la metacognizione, l’esplorazione delle informazioni, il problem solving e inducono all’autoriflessione e a una autoregolamentazione dell’apprendimento.»
L’esperimento sudcoreano, avanguardia di altre sperimentazioni già sui banchi delle scuole di molti paesi (dalla Finlandia agli Stati Uniti, dal Giappone all’Australia, passando per l’india che ha appena annunciato un tablet da 40 dollari destinato agli studenti), ha una evidente matrice transmediale costruita intorno al tablet e ai comportamenti multitasking dei ragazzi. Negli Stati Uniti, dove l’industria è molto spesso coinvolta nei programmi educativi, Apple ha realizzato iBooks Author il primo programma per assemblare libri di testo e dispense multimediali per tablet già predisposte per un alto livello di interattività, mentre Amazon con KF8 (Kindle format 8) e Google stanno mettendo a punto programmi simili con l’identico scopo di Apple: entrare con i propri tablet e le proprie piattaforme nel mercato dell’educational che sta diventando il vero laboratorio delle dinamiche transmediali e dei processi cognitivi legati al digitale.
È quindi in questo ambito che, ragionevolmente, si sta formando il lettore del libro futuro e, cosa altrettanto interessante, l’autore-scrittore transmediale: è tra questi studenti «nativi transmediali» che potrebbe nascere la mappa del futuro del libro. E proprio per non confondere la mappa con il contenuto, è l’editoria scolastica digitale il vero laboratorio per il futuro del libro, là dove tecnologia, transmedia e multitasking sono vicini più di qualsiasi altro ambito culturale alle prossime generazioni di lettori. Del resto, l’obiettivo del transmedia oggi è quello di fornire un’esperienza di lettura più profonda e coinvolgente rispetto a quella offerta dalla lettura lineare: un aspetto che l’educational sta affrontando con molta serietà nel campo ben più complesso della trasmissione del sapere. Dunque, in una manciata d’anni, la lettura transmediale potrebbe essere un’attitudine già sviluppata durante il processo formativo, ed essere uno scivolo naturale verso le nuove frontiere dell’immersive entertainment, dove l’editoria di fiction e non fiction dovrà giocare una partita molto importante.
Quella stessa partita che sta già impegnando l’editoria per ragazzi e ancor più l’educational. Perché i tecnoragazzi hanno fame di nuovo, e crescono in fretta.