La semplificazione della scrittura imposta dal digitale può essere considerata non necessariamente come un impoverimento, quanto come una riscoperta delle «lezioni» di maestri del Novecento come Italo Calvino o Primo Levi, che hanno fatto della limpidezza della scrittura un proprio tratto distintivo. Raggiungere il grande pubblico virtuale vuol dire adottare questa la loro chiarezza espositiva.
Dal 1999, Luisa Carrada è online con il suo sito www.mestierediscrivere.com. Le poniamo alcune domande sugli effetti del digitale nei confronti delle attività di scrittura.
Ormai da oltre un decennio si parla di nuove forme di scrittura collegate all’ingresso di Internet nella nostra quotidianità. E-mail, blog, forum, microcontenuti, ipertesti, copywriting pubblicitario hanno inciso sul modo di fruire e produrre contenuti. Quanto secondo lei la scrittura (narrativa e informativa) è stata influenzata dalle nuove forme di scrittura digitali? E in che termini?
E sempre più difficile distinguere tra la scrittura «per la carta» e quella digitale. I confini sono fluidi, perché anche molti prodotti editoriali tradizionali – una brochure, un comunicato stampa, persino un libro – vengono spesso letti nel ristretto spazio di uno schermo, che ci mostra solo una piccola porzione di testo alla volta. Questo schermo può avere le normali dimensioni dello schermo di un pc, quelle un po’ più piccole di un tablet, quelle minuscole di uno smartphone. E questo soprattutto a rendere oggi molto diversa la lettura di un testo. Sullo schermo il testo diventa liquido, possiamo guardarlo a distanza, o ingrandirlo a dismisura, fino ad avere sotto gli occhi soltanto poche parole.
Per alcuni il digitale sta salvando la scrittura… Si è mai vista un’epoca in cui tutti hanno scritto così tanto? si chiedono. Per altri invece proprio la «democratizzazione» della scrittura attraverso i social media e gli SMS è all’origine di tanta imprecisione e sciatteria. Sì, scriviamo molto di più – ammettono – ma mai così male. E a dire il vero, la qualità di tanti testi, così come i risultati dei test sull’italiano dei nostri studenti, sembrerebbero dar loro ragione.
A me piace vederla in termini un po’ diversi, di ricchezza e di opportunità, magari non sempre facili da cogliere nel mezzo della rivoluzione che stiamo attraversando. Che la struttura dei testi – tutti i testi! – stia cambiando, è sotto i nostri occhi. Basta sfogliare i giornali di carta. Come sui nostri schermi, i pezzi diventano più brevi, più articolati e frammentati. Le pagine si riempiono di microtesti: titoli, sottotitoli, didascalie, altrettanti «punti di ingresso» al testo, che arretra, anche quantitativamente, rispetto alle immagini e deve trovare con loro un nuovo equilibrio.
Insomma, non abbiamo più solo il testo tradizionale «a correre», ma anche tanti testi più brevi e «combinabili» tra loro in modo nuovo, fatti per vivere in pagine più «plastiche» e vivaci, con molti elementi e più punti di ingresso. Queste pagine devono conquistare un lettore spesso frettoloso e distratto, che legge sullo schermo facendo contemporaneamente altre cose, magari in posti affollati e rumorosi.
Cosa consigliare allora all’autore disorientato difronte a tanti cambiamenti, e così veloci?
La scrittura informativa e di servizio deve farsi necessariamente più leggera, che non significa affatto piatta e ultrasemplice, ma capace di togliere al lettore un bel po’ di inutile fatica cognitiva. Per farlo, più che le fughe in avanti, serve piuttosto tornare ai fondamentali della scrittura chiara ed efficace: sintassi non troppo complicata, ordine delle informazioni dalla parte del lettore, lessico preciso, un buon ritmo. Rimpadronirsi di questi strumenti – pochi ma buoni – permette di scrivere bene e consapevolmente su tutti i media, dalla carta a Twitter, e di passare con disinvoltura dall’uno all’altro. E questo che intendo con «ricchezza». Non c’è nulla da reinventare, casomai da riscoprire. Grandi scrittori del Novecento come Italo Calvino e Primo Levi, con le loro scritture terse e limpide, si troverebbero perfettamente a loro agio nel mondo digitale.
Per la scrittura informativa, mi piace pensare che la «cura del web» faccia un gran bene anche ai documenti tradizionali su carta. Meno burocratese e aziendalese, più sintesi, più attenzione al lettore, migliore struttura e modulazione del testo. Per quanto riguarda la narrativa, posso esprimere soprattutto la mia impressione di osservatrice e di lettrice. E vero che i nostri tablet e e-reader si vanno riempiendo, ma soprattutto di racconti e romanzi dalla forma classica e chiusa. Almeno per ora, abbiamo messo da parte le utopie tardonovecentesche dei romanzi ipertestuali, dalla molteplicità delle strade percorribili e dai finali aperti. Quel che desideriamo è come sempre di immergerci nel mondo così reale e credibile che uno scrittore ha creato per noi e al quale non cambieremmo nemmeno una virgola.
Quando si scrive per il web bisogna aver chiaro l’obiettivo: farsi leggere da più utenti possibile o almeno dal proprio target di riferimento. Per centrare il bersaglio, quanto è utile ricorrere a tecniche ormai consolidate come le mappe mentali, che permettono di progettare un testo ancor prima di iniziare a scriverlo, oppure lo storytelling, che consente di esprimere un concetto o un contenuto narrandolo sotto forma di storia, o ancora la «piramide rovesciata», che suggerisce di iniziare con l’informazione più importante?
L’obiettivo dobbiamo averlo chiaro sempre, che scriviamo per la carta o per il web. Diciamo che nel mondo digitale è molto più facile ricordarsi dell’obiettivo, perché vi contribuiscono l’immediatezza e l’interattività. Se l’e-mail promozionale non viene nemmeno aperta, lo so subito, e con una certa precisione. Se ho scritto indicazioni poco chiare, qualcuno me lo fa notare, spesso sotto gli occhi di tutti.
Le tecniche aiutano a progettare e a scrivere bene un testo, e così i modelli, dallo storytelling alla piramide rovesciata, ma bisogna interpretarli con molta flessibilità, senza farne gabbie o feticci. La piramide rovesciata si addice alla scrittura informativa e di servizio, quando devo comunicare subito un’informazione importante, ma può essere fonte di grande prevedibilità e monotonia. Quando desidero tenere il lettore un po’ in sospeso, portarlo e persino trascinarlo con me, una storia può essere più adatta. Ma anche qui, attenzione: il materiale e lo spunto per una storia bisogna averli davvero, mentre oggi c’è la tendenza a «storytellizzare» tutto, anche le informazioni più banali.
In realtà i modelli per la struttura di un testo possono essere tanti, ben di più di quelli presentati nei manuali di scrittura. Se siamo lettori robusti e consapevoli, ne avremo introiettati un bel po’ nel magazzino della nostra mente. Al momento giusto sapranno dare forma ai nostri testi in modo naturale. Per la mia esperienza, spesso è meglio lasciar fare lo «scrittore interiore» invece che aggrapparsi ai modelli, e provare il gusto di riconoscere quel modello una volta che il testo è finito.
Nel web si parla di «usabilità delle parole»: ovvero le parole devono essere semplici, chiare, riconoscibili per avvicinarsi al modello mentale del lettore. In un momento in cui si osserva nella narrativa italiana un ritorno alla modulazione dei sentimenti, delle passioni, del sensazionalismo, sarebbe vantaggioso secondo lei usare anche su Internet parole o periodi capaci di risvegliare le emozioni del lettore, non per forza usabili?
Non credo che ci siano da una parte le parole semplici, concrete e usabili e dall’altra le parole – o i periodi – emozionali. Credo ci siano solo le parole precise per un determinato contesto e un determinato obiettivo comunicativo, nel senso che Italo Calvino dava alla precisione nelle sue Lezioni americane («la leggerezza per me si associa con la precisione, non con l’abbandono al caso»). Chiarezza ed emozioni non sono affatto in contraddizione, anzi. Senza suscitare emozioni, dal nostro utente-lettore non riusciremmo a ottenere un bel nulla. Né un acquisto, né l’iscrizione a una newsletter, né una donazione. Naturalmente emozionare non vuol dire affatto far dilagare sulla pagina sentimenti, puntini di sospensione e punti esclamativi. Le vere emozioni – nella letteratura come nella pagina web di un negozio online – possono nascere solo da una scrittura profondamente controllata e consapevole.
Scrivere per il web non significa solo scrivere un testo usabile e contestualizzato ma avere presente anche il luogo in cui quel testo apparirà sullo schermo, il layout della pagina e in generale l’architettura del sito. Come si comporta il lettore di fronte alla pagina sullo schermo e quali sono le ultime scoperte in termini di HCI (Human Computer Interaction) e eye-tracking?
Sì, oggi è essenziale scrivere considerando anche l’ambiente in cui le parole dovranno vivere. Un ambiente molto diverso dal foglio word che abbiamo sotto gli occhi mentre scriviamo. Sempre più spesso le parole vivono insieme alle immagini, e prendono forme e colori diversi. Tutte cose che ne possono esaltare, deprimere o mutare la forza espressiva. Un testo può apparire molto diverso se scritto in una font piuttosto che in un’altra. Se è solo nella pagina o se deve contendere ad altri l’attenzione del lettore. Questi chiede a chi scrive di ampliare le proprie competenze tradizionali e di guardare con attenzione e curiosità a campi diversi: la grafica, la tipografia, la fotografia.
Le ricerche sulla leggibilità e la lettura si sono moltiplicate negli ultimi anni, così come quelle sul «cervello che legge». Quel che può aiutare è sapere che oggi la lettura quasi sempre consiste in due fasi: quella «esplorativa», che avviene in pochi secondi, ad apertura di pagina; quella più tradizionale, sequenziale e profonda. Durante la prima gli occhi fanno su e giù lungo la pagina, esplorando rapidamente le prime parole dei capoversi, i titoli, i sottotitoli, i grassetti, gli elenchi, cioè tutti quei segnali testuali che possono offrire indizi sul contenuto e quindi sulla sua utilità per il lettore. Solo se questa prima lettura è soddisfacente, il lettore sarà disposto a proseguire nella lettura più attenta e profonda. Questo avviene sicuramente sul web, ma sempre più spesso anche sulla carta.
Secondo lei sono utili i corsi e le scuole per imparare a scrivere sul web o bastano solamente tanto esercizio, buona capacità di osservazione, curiosità e buon senso?
I corsi sono utili, soprattutto per il valore del confronto con i docenti e gli altri partecipanti. Ma non sono indispensabili e da soli, senza curiosità, desiderio di leggere e sperimentare, servono a poco.
Si può diventare ottimi autori e editor anche senza aver frequentato nemmeno una giornata di corso. Il web è uno straordinario luogo di autoformazione, pieno di testi, libri, opinioni di esperti, lezioni e corsi gratuiti. Nessuna generazione ha avuto tanto. Vale la pena di fare anche da soli, con pazienza, tenacia e curiosità. Perché nulla sarà così profondamente nostro quanto quello che abbiamo scelto, letto, annotato, osservato e sperimentato in prima persona.