L’esplosione della comunicazione digitale in rete ha aumentato il rischio di inattendibilità delle informazioni: per rimediare occorrono poche precauzioni normali, ma soprattutto un mutamento generale di prospettiva sui criteri tradizionali con cui una fonte viene giudicata autorevole.
Sul web non ci si può fidare nemmeno di se stessi? A prima vista no: uno scrittore di primissimo piano come Philip Roth nel settembre 2012 è stato protagonista di una vicenda paradossale. Avendo constatato che l’articolo dedicato su Wikipedia al suo La macchia umana conteneva un’importante inesattezza a proposito della fonte d’ispirazione della figura del protagonista, Roth ha seguito la strada più classica: ha scritto alla redazione chiedendo la rettifica dell’informazione sbagliata. Gli è stato cortesemente risposto che, nonostante la sua ovvia autorità in materia, la sua dichiarazione non era di per sé motivo sufficiente a modificare l’articolo. Grave scandalo dell’autore, che ha denunciato l’insensatezza in una lettera aperta a Wikipedia pubblicata il 7 settembre 2012 sul «New Yorker», con conseguenti commenti – in rete e non – a livello planetario.
Parrebbe la ciliegina sulla torta dei giudizi negativi su Wikipedia, l’enciclopedia «scritta dai lettori» la cui affidabilità si fonda su basi statistiche: essendo le modifiche al testo sempre possibili e aperte a tutti, in un lasso di tempo variabile ma non infinito la «moneta buona» delle informazioni vere dovrebbe scacciare la «moneta cattiva» delle informazioni false. Probabilità che per altro appare fondata su basi etiche (volontaristiche, anzi calviniste), mutuate dal mondo della ricerca e molto più problematiche se si scende nel mondo confuso e ambiguo del web, dove convivono paritariamente democrazia e prevaricazione, follia pura e preziose scoperte, informazione e marketing.
Che cos’è l’affidabilità?
La stessa area semantica della parola «affidabilità», riferita a un sito web, sembra spostarsi rispetto all’accezione comune nel resto del mondo: più orientata alla tecnica (affidabile è il sito che è sempre consultabile perché non si guasta [quasi] mai) oppure al commercio (affidabile è il sito che spedisce un acquisto al prezzo dichiarato, con garanzia di restituzione se il prodotto non è soddisfacente). Affidabile è soprattutto, per le aziende, il sito che garantisce un crescente numero di «contatti» (cioè di potenziali acquirenti dei suoi prodotti), in un sistema di comunicazione complesso che integra più media, anche non digitali.
«Comunicazione & Marketing» nel gergo delle imprese sono due parole inscindibilmente legate (la politica ha qualche esitazione a adottare esplicitamente questa espressione, ma in sostanza si muove sulle stesse linee). Anche gli editori, migrando nel mondo digitale con i loro sistemi di comunicazione, si vanno orientando verso un modello nuovo: tramontata definitivamente la preminenza della quarta di copertina (saggio in miniatura legato all’incontro in libreria tra il lettore e il critico-direttore editoriale, che si fa sintetico testimonial dell’affidabilità dei contenuti), prevale il modello che segue passo passo per via telematica il potenziale lettore: chiunque abbia acquistato anche un solo libro (a stampa o digitale) da Amazon, da Bookrepublic o da iTunes riceve quotidianamente offerte di titoli «analoghi» a quelli già acquistati: tutte però fondate sulla dimensione commerciale del lettore, non sui suoi interessi in fatto di contenuti che restano, almeno per ora, noti solo superficialmente, a livello di genere editoriale e di fama dell’autore.
Fidarsi di qualcuno è necessario
Sul web, insomma, definire «affidabile» chi «dice cose vere» è un caso relativamente raro. Eppure l’affidabilità è una questione fondamentale non solo per chi fruisce delle informazioni ma anche per chi (editoriali e giornalisti) ha il bisogno/dovere professionale di controllarle. Wikipedia e i siti web hanno preso il posto dei dizionari e delle enciclopedie («universali») che troneggiavano trent’anni fa sulla scrivania di ogni redattore editoriale. Ma alla maggiore duttilità e tempestività (l’ultima accezione di un termine di slang, prima introvabile senza un amico newyorchese, o le date precise di una certa mostra aperta in una sperduta località svizzera solo due anni fa) corrisponde un maggiore rischio di errore: il marchio dell’editore come primo pegno dell’affidabilità di un libro va sbiadendo, e l’affidabilità di un sito è in costante discussione.
Ancora più incerta è la partita che si gioca nel giornalismo: smascherare la falsità di una notizia è una lotta quotidiana da cui non sempre (per non dire raramente) i professionisti dell’informazione riescono vincitori. Ricche antologie di notizie false sono per esempio sui blog di Paolo Attivissimo e, con un taglio più attento alla quotidianità, di Luca Sofri. Il primo (che gestisce da lungo tempo un «servizio antibufala» [bit.ly/NFOaUu]) filtra l’attendibilità delle catene di Sant’Antonio che piovono nelle caselle di posta elettronica, ma anche quella delle grandi leggende scientifiche dei nostri giorni: dalle scie inquinanti dei jet alla veridicità dello sbarco sulla Luna. Sofri compila con costanza impietosa e salutare una rubrica intitolata «Notizie che non lo erano» [bit.ly/hDhlóo] dove indica informazioni (in materia di politica, di sport, di transazioni economiche) comparse su media «autorevolissimi» e poi rivelatesi platealmente false.
La quantità diventa qualità
Il punto è proprio questo: il rischio di inattendibilità connesso con l’enorme aumento degli attori sul campo dell’informazione ha contagiato anche i media tradizionali. La chiave del problema è banalmente imponente: la quantità, come spesso e inavvertitamente accade, si trasforma in una diversa qualità. E il caso di arroccarsi, compilando un canone di siti e di professionisti di qualità cui prestare fede? La precauzione è efficace, ma non risponde al cambiamento sostanziale: il web elimina radicalmente la barriera tra due ruoli classici, quello dei produttori e quello dei fruitori delle informazioni. Nell’oceano di informazioni del web non solo peschiamo tutti, volenti o nolenti, ma siamo contemporaneamente pescatori e pesci, lettori e autori (Facebook e Google sono «società per azioni per cui lavoriamo tutti», come nota il saggista e filmmaker Joshua Simon). E quindi forse il primo passo per risolvere la questione dell’attendibilità sta nell’imparare a pescare meglio.
Il che richiede fatica fisica e cambiamenti radicali di prospettiva. C’è chi non intende farlo (Umberto Eco da sempre benedice il web perché dirotta dalla sua scrivania i postulanti letterari, ora liberi di sfogarsi in rete; ma la qualità è sempre quella di una volta, e resta cosa di pochi). Gli editori italiani adottano pragmaticamente i nuovi strumenti di web marketing, ma reagiscono ad altri, ineliminabili aspetti generali del fenomeno web con un riflesso di autodifesa della loro funzione storica di mediazione culturale: sottolineano la bassa qualità letteraria favorita dal self-publishing, per non parlare delle radicali minacce economiche del prezzo libero dell’e-book – stabilito dall’autore e gestito dal distributore/editore digitale – e delle implicazioni del diritto d’autore. E lì tendono a fermarsi.
Navigare, anzi: tuffarsi
Posizioni entrambe comprensibili, ma che rischiano l’Aventino culturale: la marea della quantità sale, possiamo sederci su uno scoglio ad aspettare un improbabile calo delle acque… Non sarebbe più produttivo invece imparare a nuotare (e forse farci crescere tutti, come lettori, delle ragionevoli branchie professionali)? Un primo passo è assumere in proprio l’onere del controllo di affidabilità, fin dalla scuola. Diventare investigatori, come suggerisce con garbo uno spiritoso sito inglese destinato agli studenti (Internet Detective, [bit.ly/jaPEwz]) e fare ciò che prima facevano solo i professionisti: controllare la presenza di indicazioni di legge e date di pubblicazione, la frequenza degli aggiornamenti, l’origine istituzionale e geografica delle informazioni; la competenza specifica dell’autore e la sua competenza linguistica; la coerenza dei contenuti e la trasparenza dei riferimenti; cercare conferme da fonti non web. Nulla che non sia già noto a chi fa ricerca.
In particolare per le notizie, se tutti diventano giornalisti, occorre diffondere la pratica del controllo delle informazioni e l’etica della professione anche a chi non farà mai parte dell’Ordine ma si limiterà a intervenire sui blog per informare la collettività ed esserne informato. Lo fa in Italia un gruppo di giornalisti riuniti sotto il nome di Timu (timu.it) accoppiando all’informazione la divulgazione degli strumenti pratici ed etici per diffonderla.
Se non ci si può più affidare alla parola che scorre sullo schermo con la stessa fiducia che si accordava inconsciamente alla parola stampata, se la mediazione scompare, si può rimediare arricchendo la consapevolezza critica personale. È (o dovrebbe essere considerata) una componente fondamentale dell’alfabetizzazione informatica, che non è solo confidenza gestuale con il mouse e con la tastiera. Non è poco, ma il gioco vale la candela e, se si impara a pinneggiare nel web con relativa disinvoltura, anche le reazioni della redazione di Wikipedia alla lettera di Roth possono apparire meno platealmente ottuse.
Come sottolinea Maurizio Codogno, portavoce di Wikimedia Italia e blogger ([bit.ly/RNv5nb]; significativi anche i commenti sul sito del quotidiano web «Il Post»: [bit.ly/QUT4OD] ) il punto non è che l’autore non sia affidabile in merito alla propria opera, ma che Wikipedia non intende essere (come le enciclopedie tradizionali) un’autorità diretta: è una rassegna di fonti indirette che traggono autorevolezza dalle reciproche conferme, a giudizio del lettore. Nessuno è tenuto a credere a Wikipedia, ma tutti hanno (tendenzialmente) a disposizione materiali da confrontare per farsi un’opinione. E infatti la pagina di Wikipedia sulla Macchia umana è stata modificata dando conto della polemica suscitata da Roth.
Ovvero: Dio (l’autorevolezza) è morto, il che non ci fa sentire troppo bene; ma cavarsela umanamente da soli, con tutti gli errori, le lacune e le trappole potenziali che ciò comporta, non è una prospettiva disperata né spregevole.
Corrispondenza tra le URL brevi citate e le URL originarie:
bit.ly/jaPEwz = http://www.vtstutorials.ac.uk/detective/
bit.ly/NFOaUu = http://attivissimo.blogspot.it
bit.ly/hDhlóo = http://www.wittgenstein.it/category/cartastampata/gazzetta-dello-sport/
bit.ly/RNv5nb = http://voices.telecomitaliahub.it/2012/09/per-wikipedia-non-sono-io-quello-che-sa-di-piu-di-me/
bit.ly/QUT4OD = http://www.ilpost.it/2012/09/10/ancora-sul- caso-philip-roth-e-wikipedia/#comments