Il modernariato librario

Quella del «modernariato» non è semplicemente una categoria merceologica in opposizione all’«antiquariato»: è una ridefinizione, dai contorni peraltro piuttosto labili, dei concetti di riuso di un libro e di collezionismo.
 
È significativo che il sito eBay.it – ormai impostosi come uno dei più rilevanti spazi di mercato online, se non il maggiore – registri tra le «categorie del negozio» (secondo la definizione dello stesso sito) la voce «modernariato librario». Ed è altrettanto significativa, a conferma di un fenomeno che merita particolare attenzione, da un lato l’apertura, in varie città italiane (e prima di tutte Roma), di librerie che offrono titoli del Novecento recuperati, per lo più, da biblioteche private e pubbliche dismesse, e, dall’altro, la moltiplicazione – in librerie di novità e di libri usati, di libri antichi e di libri rari – di settori specifici di titoli novecenteschi pubblicati prima degli anni sessanta-settanta. Sono emblematici, per citare solo il nome di una catena di librerie dedicata al nuovo e all’usato, i negozi del Libraccio, in molti dei quali già nelle vetrine vengono messi in risalto i titoli di collane ormai «storiche», pubblicati prima degli anni settanta.
L’etichetta «modernariato librario», che in altri casi è sostituita da quella più denotativa «Letteratura del Novecento», sottolinea dunque la volontà di una distinzione specifica rispetto al tradizionale libro usato (anche se quasi solo di libri usati si tratta), senza che l’espressione «modernariato librario» possa essere ricondotta a una definizione particolare che ne indichi l’identità. Cosa distingue il libro usato dal libro di modernariato? Si potrebbe rispondere: solo la sua collocazione dentro un settore che, per convenzione, viene ormai isolato in una propria autonomia. I libri di modernariato non sono solo prime edizioni, e, a seconda dei venditori, non sono nemmeno solo titoli riconoscibili per un valore storico o culturale; si potrebbe arrivare a dire, paradossalmente, che il modernariato è l’antiquariato che riguarda il Novecento.
La nascita e lo sviluppo del termine «modernariato», appunto in opposizione ad antiquariato, sono del resto strettamente legati alla valorizzazione di un design di mobili, lampade, gioielli che, già moderno nella sua fattura, mostra comunque l’appartenenza a un’«altra epoca», sentita ormai lontana rispetto alla produzione del presente. Il recupero di oggetti messi sul mercato in un periodo compreso tra gli anni trenta e gli anni settanta del Novecento, e considerati di utilizzo comune alla loro uscita, più che in una dimensione di esclusivo riuso (come è sempre stato quando si potevano trovare dai soli «rigattieri») va collocato in un contesto che, attribuendo loro uno spessore artistico, li ripropone sotto una luce diversa e li arricchisce di valore aggiunto.
Ci si può subito chiedere in che modo si possa accostare a quanto appena detto il modernariato librario, distinto sia dai libri usati, sia da quelli nuovi offerti al 50% (basti ricordare che il negozio Mei outlet di Bologna ha in vendita 50mila libri usati e 60mila libri nuovi a metà prezzo), sia dai libri d’antiquariato (da sempre con un proprio mercato di collezionisti), sia dai libri rari (ricercati per il loro valore: tra i libri più costosi sul mercato c’è Il porto sepolto di Ungaretti, stampato in soli ottanta esemplari nel 1916, o una delle pochissime copie di 9 liriche di Lucio Piccolo, stampate nel 1954).
L’accostamento andrà individuato proprio nel valore aggiunto che alcuni venditori (ma non quelli del sito eBay.it, che si fonda solo su una valutazione cronologica, indipendentemente dal titolo offerto, che può essere un manuale tecnico come una raccolta dello «Specchio») attribuiscono ai libri che mettono su scaffali separati rispetto a quelli dell’usato, e distinguono anche dal punto di vista del prezzo: per entrarne in possesso occorre spesso pagare cifre alte (e non importa se, in altre librerie, lo stesso volume è esibito a un prezzo molto più basso in quanto considerato solo come «usato»).
Poiché anche il libro di modernariato è dunque stabilito dalle dinamiche dell’offerta e della domanda, la riflessione si sposta sugli acquirenti e sulle loro richieste.
E sempre esistito un collezionismo di libri del Novecento, ma era rivolto alle preziose edizioni d’arte, a tiratura limitata, con tavole serigrafate o colorate a mano; o ai materiali di movimenti culturali e letterari ormai consacrati, primo fra tutti il futurismo; o ancora a quei volumi destinati, fin dall’origine, al collezionista amante delle tirature limitate, con la composizione e il torchio manuali: oggetti di valore, prima che per qualsiasi altra ragione, per i loro aspetti materiali, e, a titolo d’esempio, basterebbe citare i volumi della stamperia Tallone, il contenuto dei quali spesso passa in secondo piano davanti alla preziosità della stampa.
Uno sguardo ai cataloghi del modernariato librario indica invece che ci si trova davanti a offerte del tutto diverse: titoli pubblicati in edizioni comuni, molti dei quali di basso valore mercantile alla loro uscita, e per questo gettati o dispersi nel corso degli anni. L’insostituibile Rarità bibliografiche del Novecento italiano. Repertorio delle edizioni originali, di Lucio Gambetti e Franco Vezzosi (riproposto dalla piccola casa editrice Sylvestre Bonnard ma ormai introvabile, per le difficoltà nelle quali versa l’editore, costretto di fatto alla chiusura nonostante la ricchezza del catalogo), permette di seguire la storia delle edizioni di molti titoli, e di avere prime informazioni sulla loro valutazione: ma non c’è dubbio che ormai il fenomeno dello scambio di libri novecenteschi è andato oltre, anche sul piano commerciale, l’attenzione accordatagli da Gambetti e Vezzosi.
In questa sede non interessa, tuttavia, approfondire gli aspetti economici del mercato, quanto interrogarsi sul perché dello sviluppo dell’interesse per libri del Novecento non più reperibili sui canali tradizionali.
Si potrebbe ricondurre le risposte a questa domanda a due ordini di riflessioni. La prima riguarda la nascita di un nuovo collezionismo, che, uscendo dall’ambito dei volumi preziosi per la loro storia tipografica o per la loro rarità (soprattutto se dei secoli passati), si rivolge a segmenti particolari della produzione, individuati per ragioni che, molto spesso, sono del tutto personali. Per questo è difficile dare anche alcuni esempi: si va da tutte le edizioni delle opere di un autore, scelto per predilezione individuale, a tutti i volumi con la copertina firmata dallo stesso disegnatore: è, quest’ultimo, il caso dei libri con la grafica e l’illustrazione di Giulio Cisari pubblicati tra gli anni venti e trenta da numerose case editrici: da Alpes a Formiggini a Mondadori, per indicarne solo alcune – che, raccolti nel corso del tempo da un collezionista, sono stati recentemente acquisiti dal Centro Apice dell’università degli Studi di Milano per essere messi a disposizione degli studiosi, soprattutto di grafica editoriale.
Particolare fortuna stanno ottenendo le collezioni che si rivolgono sia a specifiche collane novecentesche sia alla produzione di editori minori. Basti qui citare l’importanza della Biblioteca Universale Rizzoli, la cui raccolta pressoché completa (è difficilissimo trovare tutti i volumi) è ormai disponibile in varie librerie antiquarie e di modernariato; o ricordare l’«Universale economica» della Colip (fondata nel 1949 e dalla quale, a metà degli anni cinquanta, conservando il marchietto del «canguro», sarebbe nata l’«Universale economica Feltrinelli»). O, ancora, richiamare l’interesse che ha suscitato negli ultimi tempi la produzione «popolare» destinata alle bancarelle: per esempio i volumi delle edizioni Madella e delle edizioni Barion, pubblicati nei primi decenni del secolo, significativamente, a Sesto San Giovanni, una delle capitali dell’industria siderurgica italiana, attraversata ogni giorno da migliaia di operai e per questo definita, per lungo tempo, «città fabbrica».
Il valore dei volumi che entrano in collezioni come quelle appena citate è incrementato dall’accumulo dei significati storici, culturali, letterari cresciuti nel corso degli anni, non dalla qualità o dalla preziosità dell’oggetto materiale; anche la rarità degli esemplari dipende dalla loro scarsa conservazione, non dal tempo trascorso dalla pubblicazione. E, questo, un aspetto cui prestare attenzione, perché proprio su di esso si è trasformato il collezionismo novecentesco, contribuendo alla diffusione del modernariato librario.
Occorre tuttavia aggiungere un’ulteriore riflessione. I libri del Novecento – nelle loro prime edizioni o in quelle successive – non sono rientrati in un circolo mercantile, per quanto separato, solo per ragioni di collezionismo. A differenza degli oggetti del modernariato che interessano l’arredamento, il riuso di un libro può non essere collegato ad alcun arricchimento di valore determinato da ragioni esterne al testo. La ricerca e l’acquisto di un libro novecentesco – di narrativa o di saggistica – sono spesso dettati, dunque, dalla necessità o dalla volontà di leggere e studiare autori e titoli da decenni assenti dai cataloghi, entrando direttamente in possesso di volumi che solo le biblioteche (e non tutte) hanno conservato.
In questo senso anche il modernariato, come le più consuete vendite di libri usati, è un aiuto contro la dispersione dei testi; e anche per questa ragione merita di essere guardato con particolare interesse, in anni in cui sembra che la marginalizzazione di molta cultura umanistica, soprattutto letteraria, spinga all’eliminazione della riproposta editoriale di quei libri che, per quanto importanti e dalla tiratura già esaurita, non potrebbero mai raggiungere un grande successo di vendite.