L’incomparabile celebrità di cui gode Joseph Ratzinger e la storia che racconta, nota a chiunque (eloquentemente i due risvolti del volume sono bianchi), fanno di Gesù di Nazaret un libro che sembrerebbe rivolgersi a tutti. D intenzione di Ratzinger non è però «scrivere una “Vita di Gesù”» d’autore né tantomeno ricorrere all’appeal del racconto a effetto, quanto mai adatto alla miracolosa storia di Cristo: il discorso si organizza piuttosto per episodi e temi, nella forma del commento interpretativo condotto con chiaro intento divulgativo e padronanza degli stili comunicativi, in modo da coinvolgere il lettore meno esperto ma soprattutto di soddisfare i fedeli più colti.
Come il precedente volume di cui costituisce il seguito, Gesù di Nazaret. Dall’ingresso a Gerusalemme fino alla risurrezione (2011) di Joseph Ratzinger è un libro complesso e affascinante, che mette a profitto molto bene la «rendita di posizione» di cui il papa gode, l’eccezionale autorevolezza del suo dire. Lo confermano anzitutto i dati di vendita di entrambe le opere: se Gesù di Nazaret. Dal Battesimo alla Trasfigurazione (2007) entra subito nelle classifiche dei bestseller (oggi è alla sesta edizione nell’economica Bur) ed è tradotto in ventitré paesi (spagnolo e inglese le lingue con il maggior numero di ristampe), la seconda «puntata» del dittico sembra destinata a ottenere un successo ancora maggiore. Considerate le prenotazioni, la tiratura prevista di 400mila copie viene raddoppiata e rapidamente le edizioni si susseguono fino alla settima, per un totale di oltre 1.200.000 copie vendute (il solo giorno dell’uscita gli acquisti toccano quota 50mila). Già tradotto in sette lingue, uscirà in altre venti, fra cui il catalano, il ceco, l’ucraino.
Certo, l’incomparabile celebrità di cui gode Ratzinger in quanto sommo pontefice e la storia che racconta, nota a chiunque (eloquentemente i due risvolti del volume sono bianchi), fanno di Gesù di Nazaret un libro che sembrerebbe rivolgersi a tutti. Invece, il tenore complessivo del discorso (pur «lasciando agli specialisti i problemi particolari») seleziona un pubblico ampio sì, ma non certo universale. Per dire meglio: considerando l’impostazione e i contenuti, il libro si rivolge anzitutto al mondo dei credenti colti: le alte gerarchie ecclesiastiche ma anche i parroci (come non acquistare il libro del papa su Gesù?), gli studiosi e accademici (soprattutto teologi) con i quali l’autore dialoga e i catechisti – grande famiglia di lettori elettivi individuati in diverse recensioni –, fino al più largo mondo dei fedeli, meglio se buoni conoscitori delle Sacre Scritture, visti i frequenti riferimenti del tipo: «non vi risuona forse Esodo 3,14?». Per raggiungere questa ampia e stratificata platea Ratzinger allestisce un libro difficile sì, ma organizzato in modo efficacemente funzionale allo scopo.
Dal punto di vista metodologico e disciplinare, Gesù di Nazaret mobilita conoscenze molto varie: con puntuali richiami bibliografici a opere di studiosi internazionali opportunamente selezionati, dialogano fra loro filologia, semantica storica, ermeneutica del testo, storia, comparatistica, teologia e filosofia; il metodo storico-critico si alterna ad altre prospettive d’analisi, quella cristologica, quella escatologica, l’esegesi canonica e l’approccio ontologico. D’altronde, come il papa chiarisce sin dall’inizio, sua intenzione non è stata «scrivere una “Vita di Gesù”» d’autore, e perciò nessun ricorso al biografismo e all’autobiografismo, né tantomeno all’appeal del racconto a effetto, quanto mai adatto alla miracolosa storia di Cristo. Sullo sfondo di una fitta rete di rinvìi testuali che hanno al centro il Vecchio e il Nuovo Testamento, ma anche alcune encicliche e diversi classici (da Platone a Sant’Agostino, e poi gli storici latini), Ratzinger organizza il discorso per episodi e temi (si va dal primo capitolo, Ingresso in Gerusalemme e purificazione del tempio, al nono, La risurrezione di Gesù dalla morte), nella forma del commento interpretativo condotto in modo da soddisfare il lettore colto ma anche di coinvolgere quello meno esperto.
L’atteggiamento divulgativo emerge anzitutto dalla struttura dell’opera, che si apre con una premessa metodologica in cui il pontefice dichiara subito le proprie intenzioni (qui sì compare qualche efficace allusione all’esperienza personale), e che si conclude con una sintetica bibliografia opportunamente ragionata, invito ad approfondimenti futuri per lettori di buona volontà. Il testo conferma e sviluppa questa esigenza di trasparenza comunicativa, accompagnato com’è da una serie di «aiuti alla lettura» di carattere metadiscorsivo: se un argomento non interessa, l’autore lo dice («ma non dobbiamo qui entrare in questa discussione, in definitiva secondaria. Fermiamoci semplicemente ad esaminare quella piccola vicenda che…»), se invece affronta una questione particolarmente complessa ecco alla fine un utile riassunto esplicativo («con uno sguardo retrospettivo sull’insieme del capitolo della lavanda dei piedi possiamo dire che…»), o la riproposta del medesimo argomento in termini diversi: «detto ancora in altre parole». Per rendere evidente l’impianto del discorso sono frequenti sia i richiami a osservazioni precedenti («come abbiamo già visto») sia le anticipazioni di argomenti successivi («gettiamo pertanto fin d’ora un rapido sguardo su questi due testi»), con tanto di previsione dell’impianto argomentativo futuro: «lo si farà in quattro sezioni. In primo luogo […] In secondo luogo […] In terzo luogo […] Infine, nella quarta sezione». Molto spesso il fuoco del testo è sottolineato tramite l’individuazione esplicita dei «singoli temi», trattati all’interno di paragrafi autonomi o a serie di paragrafi separati da un salto di riga in modo tale da conferire al ragionamento uno sviluppo scandito con evidenza anche grazie a questo espediente tipografico. Il soccorso al lettore diventa poi esplicito nei pochi casi in cui compaiono parole peregrine o accezioni specialistiche di termini meno rari: «consacrare nella terminologia sacerdotale vuol dire: abilitare al culto».
Dato questo impianto, l’autore ha naturalmente ben presente il destinatario del suo lavoro: la parola «pubblico» si legge già nella frase che inaugura il libro, e l’ultima pagina della Premessa del primo volume su Gesù contiene un appello significativo: «chiedo solo alle lettrici e ai lettori quell’anticipo di simpatia senza il quale non c’è alcuna comprensione». È proprio sulla base della consapevolezza del ruolo del pubblico che Ratzinger imposta una dialettica fra l’«io» che parla, «tu» (il «lettore di oggi», «il lettore moderno»), «noi» e, molto meno presente per la distanza che presuppone, «voi». Ma il gioco di richiami è possibile solo grazie a un’opzione fondamentale, da cui discende l’intera sceneggiatura adottata: con quest’opera il papa non intende porre un atto magisteriale (dunque Gesù di Nazaret non è «il» libro su Gesù, ma è «il mio libro su Gesù»), e con ciò colloca il testo nell’ambito dei discorsi non definitivi. Alla rinuncia a uno status autoriale supremo corrisponde la richiesta più volte espressa di ricevere osservazioni e critiche, nell’ottica di una discussione fra pari, di un’aperta disponibilità al dialogo con altri studiosi: «ho trovato la chiave per la giusta comprensione di questo grande testo nel già menzionato libro di Feuillet». La ridotta distanza fra chi scrive e chi legge è ribadita dall’immagine portante del libro, che si propone come un «cammino» comune, un percorso condiviso scandito in tappe: «cerchiamo di raggiungere una visione d’insieme di tutto ciò che finora abbiamo incontrato», perché «come pellegrini andiamo verso di Lui; come pellegrino Egli ci viene incontro».
Su un piano non certo di parità ma nemmeno di incolmabile lontananza, il pontefice si rivolge al lettore in modo duttile, con atteggiamenti diversi e variazioni di tono: usa espressioni dubbiose («di che cosa si tratta? Non esiste una risposta assolutamente sicura»), manifesta cautela («mi sembra, tuttavia, che non ci sia una differenza decisiva») ma esprime anche certezze con piglio perentorio: «non c’è dubbio che una tale parola risalga a Gesù stesso, ed è altrettanto ovvio che essa vada collocata nel contesto della purificazione del tempio». Quanto al «noi» – «la prima persona plurale, tipica del parlare biblico di Dio» –, accomuna nel nome del Signore chi scrive e chi legge: «“ho sete”: questo grido di Gesù è rivolto a ciascuno di noi». Autore e lettore condividono non solo la stessa condizione umana, ma anche lo stesso contesto storico – discende da questa consapevolezza l’impegno militante espresso dal libro –, e allora «tutto ciò per noi oggi è difficile da capire».
L’efficacia comunicativa del colloquio così impostato fra l’autore e il suo pubblico è infine corroborata da una scrittura limpida. I periodi sono spesso brevi e, quando il discorso si articola, ecco una serie di espedienti anaforici e comparativi («tanto… quanto», «così… come», «da una parte… dall’altra») che ne rendono evidente l’architettura, spesso scandita da domande retoriche con funzione riepilogativa. Il lessico presenta di rado termini «difficili» (per esempio «pericope») e ricorrono locuzioni colloquiali, come «menar le mani», «una faccenda religiosa» e persino l’espressione metaforica di derivazione informatica «l’accesso a Dio è libero». Ma colpiscono anche il riferimento un po’ irriverente alla resurrezione come «cosa paradossale» ed espressioni del tipo: «l’auto-donazione di Dio in Cristo non è una cosa del passato».
La scommessa metodologica di Ratzinger è espressa chiaramente all’inizio del libro: «se la esegesi biblica scientifica non vuole esaurirsi in sempre nuove ipotesi diventando teologicamente insignificante, deve fare un passo nuovo come disciplina teologica, senza rinunciare al suo carattere storico […] Tale esegesi deve riconoscere che un’ermeneutica della fede, sviluppata in modo giusto, è conforme al testo e può congiungersi con un’ermeneutica storica consapevole dei propri limiti per formare un’interezza metodologica». L’integrazione proposta, in sostanza quella fra un approccio razionale e uno irrazionale attraverso categorie di difficile definizione come quelle di «connessione interiore», «struttura interiore» e «collegamento interiore», si realizza efficacemente a partire proprio dalla dimensione logica, di gran lunga privilegiata: il discorso si articola in ragionamenti sia deduttivi («ciò che in ogni caso si può dedurne»; «da tutto ciò deriva quanto segue»), sia induttivi: le considerazioni svolte muovono spesso da «tracce», seguono e interpretano «piste». In questo modo le affermazioni improntate a un atto di fede sono implicate in una serie di informazioni storiche dotate di evidenza e in ragionamenti interpretativi governati da razionalità e buon senso, sono per così dire «circondate» da un’impostazione metodologica «scientifica». Con il risultato di conferire loro un riflesso di verità non solo rivelata, e di renderle perciò ancora più affascinanti.