Milano è sempre un gran Milan

Stretta tra progetti di dimensione sempre più internazionale (ma fattibilità sempre più faticosa) e tagli alla cultura, Milano resiste e rilancia. Nel cielo stellato della capitale morale non mancano le eccellenze: fondazioni e archivi editoriali, festival di musica e parole sempre più trasversali e capaci di fare rete sul territorio della città metropolitana, manifestazioni culturali con focus diversi (film, antiquariato, integrazione, design…) che testimoniano una rinnovata voglia di partecipazione; un accostarsi sempre più stretto tra cultura del fare, senso civico, solidarietà. Come dire, una sfida politica molto «ambrosiana».
 
Proveniamo da un anno contraddittorio, per usare un inadeguato eufemismo. Ancora risuona, implacabile e assurda, una frase del ministro Tremonti: «con la cultura non si mangia», pietra tombale sui finanziamenti pubblici al sistema culturale nazionale. Uscita piuttosto infelice, contestata da alcune reazioni scandalizzate, non troppe però, nonché da un efficace slogan di Umberto Eco che rimandava al mittente la sassata: «non si mangia con l’anoressia culturale». Come dire che quel pensiero è malato, striminzito, e dal destino mortuario.
D’altra parte, però, Milano, con le elezioni di primavera e il loro risultato antigovernativo, ha rilanciato. Con la vittoria della giunta Pisapia, le speranze hanno ripreso vita e ora tocca a Stefano Boeri, nuovo assessore alla cultura, il compito di far quadrare il cerchio. Il denaro pubblico scarseggia, ulteriori tagli saranno inevitabili, ma la città non potrà certo venir meno al suo tradizionale ruolo di faro civile e culturale, luce un po’ appannata negli ultimi anni. In vista c’è l’importante appuntamento dell’Expo del 2015. Il nuovo sindaco ha subito rivendicato per la cultura un ruolo portante, a quella data. Vedremo.
«Con i disastri che ci affliggono è inutile perdere tempo a discutere sulla migliore ubicazione del Quarto Stato di Pelizza da Volpedo» ha tagliato corto la critica d’arte Lea Vergine a proposito di alcune polemiche autunnali che hanno visto opposti il neonato Museo del Novecento e la Galleria d’Arte Moderna. Meglio pensare al «nuovo» e a valorizzare quello che c’è.
Intanto c’è una ritrovata «voglia» di cultura, bisogno che, peraltro, si percepisce in tutto il paese: un diffuso desiderio di cibi per la mente meno tight, e meno effimeri. Il consumo culturale, certo diversificato e multiforme, è aumentato, insieme alla consapevolezza di dover gestire risorse che debbono essere poche ma buone. E, se possibile, collettive: il rito di successo dei festival letterari dice anche questo.
Ma per cultura, a nostro avviso, s’intende, almeno a Milano, anche quello che potremmo definire un nuovo «pragmatismo», un ritrovato senso civico – un po’ sbiaditosi nella lunga ubriacatura degli anni della Milano da bere – che si esprime nei tanti comitati che vigilano e discutono su quello che succede in città.
Sono ben centottanta, infatti, le «assemblee» che, negli ultimi anni, si sono istituite all’uopo e che si occupano di tutto: dalla movida selvaggia ai parcheggi, dall’arredo urbano ai parchi da impiantare, per arrivare fino alle scritte su muri e portoni che vengono prontamente cancellate. Necessità concrete, bisogni quotidiani ai quali la nuova giunta dovrà rispondere, perché verosimilmente eletta anche da quei cittadini scontenti di un’amministrazione «lontana» e confusa nella progettualità.
In questa direzione, nell’intenso periodo che ha preceduto la svolta «politica» di Milano, ha avuto un ruolo importante l’iniziativa promossa dal «Corriere della Sera». Per tutto il 2010 il quotidiano, consapevole del proprio ruolo istituzionale in loco (e non solo, ovviamente) ha ospitato il Manifesto per Milano, articolato appello a cittadini e istituzioni, sottoscritto da moltissimi milanesi illustri che sono intervenuti su «cultura del fare, senso civico, solidarietà», tre elementi fondativi, valori si potrebbero addirittura chiamare, che si erano andati sfrangiando nel tempo.
E innegabile: negli ultimi due decenni la città è molto cambiata. Non è più solo grande, come diceva Gaber con ironico incantamento, ma globale e multietnica, complessa. Ed è inevitabile che fra i sentimenti contraddittori emergenti, insieme alle trasformazioni, siano state esse antropologiche o strutturali, si sia più volte insinuata la nostalgia per il bel tempo andato: la grande stagione del Piccolo, Strehler, la Milano del boom economico e quella del Pirellone, senza tralasciare il Derby e il primo Zelig, e via ripensando, con orgoglio e rimpianto, a ciò che era stato prodotto, in termini culturali, fra gli anni del dopoguerra e quelli del decennio più intenso di modernizzazione del paese.
Ma poi, dopo il made in Italy, le griffe e il rampantismo, c’era stata la globalizzazione, e, di conseguenza, l’affanno e l’agonia della piccola e media impresa (raccontata tragicamente dal Premio Strega 2011, Storie della mia gente di Edoardo Nesi, scrittore e industriale tessile in Prato, ma lo scenario poteva essere la vicina Como, messa in ginocchio dall’arrivo massiccio dei cinesi) e infine la violenta crisi di tutte le borse del globo che, ovviamente, non ha risparmiato la city milanese.
Ha ancora senso associarsi al coro dei nostalgici, quando anche la cultura del denaro ha già dovuto prendere atto dei propri limiti?
Meglio guardare a quello che c’è, ad alcune iniziative che si sono affermate nel decennio scorso, ancora vive e resistenti alla crisi in corso, almeno per ora: la più nota mediaticamente è la Milanesiana. Ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi, direttore editoriale della Bompiani, nasce insieme al nuovo Millennio, nel 2000. E, muovendosi dall’iniziale sede della Provincia in Palazzo Isimbardi, ha moltiplicato appuntamenti e spazi nel tessuto cittadino fino ad arrivare – passando per il Teatro Dal Verme, lo Spazio Oberdan, la Fondazione Corriere della Sera, il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia «Leonardo da Vinci», il Teatro di Verdura – alla Bovisa, agli Arcimboldi, alla Biblioteca Chiesa Rossa, al centro giovanile Barrio’s. Spostandosi dal Duomo alla periferia, quella più attraversata dal malessere. Con intenti interdisciplinari, letteratura, musica, cinema, scienza, a ogni edizione s’intrecciano in cortocircuiti postmoderni: «una finestra sul mondo», come lei li definisce.
Uno fra i suoi sostenitori, o sponsor che dir si voglia, la Fondazione del Corriere della Sera, si è segnalato per la continuità delle iniziative nel corso dell’anno. Più volte al mese, la Sala Buzzati o la Sala Montanelli si popolano di attenti uditori per seguire dibattiti, presentazioni di libri, incontri con personalità della cultura, umanistica, scientifica, economica. Ma c’è di più: la Fondazione, nata anch’essa all’inizio del decennio, nel 2001, con un lavoro ancor più strutturato approfondisce quella che è una delle vocazioni culturali più forti e sedimentate della città, epicentro dell’industria editoriale del paese.
Infatti, da qualche anno, sotto la presidenza di Piergaetano Marchetti e la direzione di Roberto Stringa, ha preso in carico non solo il considerevole patrimonio storico del quotidiano omonimo dal quale sono già usciti volumi dedicati alla Scala, al Piccolo Teatro, alla cronaca nera, all’epica dello sport, e altri sono in programmazione –, ma anche quello proveniente da altre testate del gruppo, nonché dai diversi marchi editoriali che afferiscono alla Rizzoli Libri: i preziosi archivi di alcune case editrici quali la medesima Rizzoli, Bompiani, Fabbri, eccellentemente catalogati e di facile accesso agli studiosi.
Del resto, tale opportunità era già stata avviata, e molto proficuamente, dalla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, che, sotto la competente direzione di Luisa Finocchi, da alcuni decenni è impegnata nella conservazione e catalogazione di numerosi giacimenti editoriali. Le mostre che tali archivi producono, ma anche il master per Redattore in Editoria libraria che la Fondazione promuove, in collaborazione con l’Università Statale e l’Associazione italiana editori, segnalano che è possibile lavorare sia sull’eredità del passato sia sulle trasformazioni contemporanee dei tanti mestieri editoriali.
La stessa università milanese, il cui rettore Enrico Deeleva è studioso di editoria, ha realizzato nel 2002 un Centro archivi della parola, dell’immagine e della comunicazione editoriale che ospita carte editoriali di diversa provenienza: parliamo di Apice, istituzione che raccoglie e conserva archivi di personalità della cultura letteraria e editoriale contemporanea, come Antonio Porta, Gina Lagorio, Alberto Vigevani, Valentino Bompiani, ma anche la casa editrice Scheiwiller.
Facendo ognuno la propria parte, istituzioni pubbliche e private concorrono al medesimo obiettivo: la salvaguardia del lavoro culturale.
Anzi, a mettere in fila il nome delle tre istituzioni milanesi, e a computare la ricchissima bibliografia di studi sull’editoria che da quegli archivi è scaturita, si può serenamente affermare che il decennio appena concluso abbia visto protagonista Milano e i libri, la loro storia.
Ed è bello segnalare che da poco le istituzioni culturali hanno imparato a fare rete, pensando al futuro dell’editoria, come dimostra la felice esperienza del «Pensiero digitale», ciclo di lectio magistralis e seminari internazionali promosso dall’inedita collaborazione tra Fondazione Corriere, Fondazione Mondadori e Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.
A sigla di tale centralità, è doveroso anche segnalare l’importanza crescente della fiera-mercato del libro antico, ormai alla ventunesima edizione, che si svolge ogni anno in marzo, per la cui funzione molto si sono impegnate la biblioteca di via Senato e la Fondazione omonima.
Non solo moda in città, dunque.
Anche ottima musica, per esempio. Si va sempre più irrobustendo, infatti, la forza penetrativa di MITO, eccellente rassegna musicale ormai alla quarta edizione – alla cui presidenza siede Francesco Micheli –, che vede collegate Milano e Torino, come se fossero un unico tessuto urbano. Per tutto il mese di settembre musica classica e contemporanea, più popolare e più colta, viene eseguita in molti luoghi delle due città, dagli Arcimboldi al Fingotto, dai castelli reali sabaudi alle basiliche meneghine.
Nel golfo mistico del sapere, tuttavia, sono immesse anche rassegne cinematografiche e innesti ecologici, film scelti con ritagliamenti tematici e scampagnate in cascina: «confluenze» vengono chiamate, a conferma che la cultura viene sempre più percepita, e proposta, a largo spettro. In questo senso Milanesiana e MITO sembrano sostenuti da analoghi intenti; e infatti hanno iniziato a collaborare, tenuti insieme da un’invisibile rete. Fa stessa che, concretamente, corrisponde alle rotaie ferroviarie che uniscono sempre più velocemente Milano e Torino.
In nome del ventaglio culturale ci piace segnalare altri quattro appuntamenti nei quale la città è coinvolta: il Milano Film Festival, dieci giorni settembrini, con diverse centinaia di proiezioni, anteprime e ospiti internazionali; ad aprile il Salone del Mobile che, con le novità del design, riesce a popolare le notti cittadine di giovani generazioni; a inizio maggio, invece, nei giardini di via Palestro si saluta l’annuale successo di «Orticola» – mostra-mercato dei fiori che si ispira al Chelsea Flower Show di Londra. Sotto la statua di Montanelli, le signore milanesi, pronte a piantumare nuovi terrazzi e giardini, si aggirano per i coloratissimi banchetti della mostra mercato sfoggiando cappelli enormi e très chic, composti con frutta e verdura di stagione.
Alla fine dello stesso mese, si fanno avanti i giorni di una recente iniziativa: Via Padova è meglio di Milano, kermesse di cultura multietnica sorta a salvaguardia di un quartiere ai cui problemi non si può rispondere solo con i cellulari della polizia. Così, abitanti e commercianti della lunga arteria che costeggia un bellissimo Naviglio hanno pensato a spettacoli etnici, concerti di band emergenti, musica da operette, balli di zarzuela, laboratori per bambini. Solo in tal modo, sollecitando gli abitanti della zona e le nuovissime generazioni del globo a convivere, è possibile affrontare quotidianità e futuro.
Là dove ci attende, anche, l’Expo del 2015.
Il primo a essere sotto milioni di sguardi sarà il Comune di Milano, la cui dismessa giunta ha consegnato, prima del responso delle urne, il Museo del Novecento, all’Arengario. Ma c’erano altre opere in cantiere e, al di là delle promesse elettorali, per alcune si erano già firmate le convenzioni, in collaborazione con la Regione e con altre istituzioni nazionali, ministero dei Beni Culturali e quello della Pubblica Istruzione compresi: l’apertura di una nuova grande biblioteca, un Museo della Moda, spazi sperimentali dedicati a videoinstallazioni e fotografia, un sito dedicato alle culture extraeuropee, la ristrutturazione del Castello Sforzesco, e infine la trasformazione della Pinacoteca di Brera in un nuovo grande polo museale (spesa prevista un centinaio di milioni di euro). Che fine faranno questi progetti di «dimensione internazionale» dopo i tagli alla cultura? Ce la faremo davvero a portare «Milano vicino all’Europa», come cantava Lucio Dalla negli anni ottanta?