Le parole sono importanti per spiegare la paradossale dittatura di un formato che sta rivelandosi dominante, tanto da fagocitare tutte le potenziali alternative. Graphic novel, in buona sostanza, significa libro a fumetti. E una definizione dai confini incerti che può accogliere contenuti molto diversi – storie uscite nel passato e ormai oggetto di collezionismo, traduzioni di lavori provenienti da ogni parte del mondo, novità italiane realizzate da autori esordienti – ma riesce a indicare con grande precisione uno specifico «spazio delle merci», inedito fino agli anni ottanta e capace di imporre la definizione di un nuovo settore nelle librerie, nuove modalità di offerta, un nuovo profilo di pubblico. E magari persino nuove figure professionali, e modi di produzione editoriale.
Graphic novel è una locuzione altisonante. Profuma della nobiltà del romanzo, appena contaminata dalla praticità delle arti applicate, e consente ai molti che avrebbero difficoltà a dire che leggono fumetti di sfogliare pagine fitte di parole e immagini, senza sentire il morso dei sensi di colpa.
Queste due parole inglesi piacciono molto ai librai, agli editori grandi e piccoli e alle pagine culturali della stampa periodica che mai, come nell’ultimo lustro, ha riservato così tanto spazio al fumetto.
E una definizione dai confini incerti che riesce però a indicare, con grande precisione, uno spazio delle merci. Un graphic novel (ma anche sul genere grammaticale c’è incertezza, qualcuno preferisce declinarlo al femminile) è un libro a fumetti, composto da oltre cento pagine, di dimensioni che si aggirano intorno ai 21 cm di base per 27 cm di altezza. Un graphic novel è un libro: dentro ci può essere un’unica storia lunga o molte storie brevi; può contenere racconti seriali o autoconclusivi; può aderire pienamente a un genere tipico del fumetto o veicolare istanze autobiografiche, storiche, giornalistiche. Graphic novel, in buona sostanza, significa libro a fumetti. Anche se la definizione viene talvolta appiccicata a libri illustrati, raccolte di cartoon e vignette, o anche, in modo un po’ fantasioso, a singole pagine a fumetti pubblicate su un periodico, come talvolta denuncia Art Spiegelman, che quel formato ha contribuito a inventare.
La storia di un formato è sempre difficile da tracciare. Benché nulla abbia mai inizio è utile identificare un punto di discontinuità tale da poter essere indicato quale Big Bang, momento notevole da cui tutto abbia avuto origine.
Un anno in particolare, il 1986, ha visto negli USA l’uscita di due libri che hanno modificato la percezione del fumetto, in un modo tale da rendere necessaria la definizione di un nuovo spazio nelle librerie e di nuove modalità di offerta per prodotti che dovevano trovare un loro pubblico. Durante quell’anno sono usciti due libri per molti versi straordinari: la prima parte di Maus di Art Spiegelman, raccolta di memorie di un padre ebreo che sanguina storia e ricorda, con il distacco terribile e feroce che può essergli garantito dalle fattezze di un topo antropomorfo, i tempi bui vissuti nel lager di Auschwitz; Batman. Il ritorno del cavaliere oscuro di Frank Miller, Klaus Janson e Lynn Varley che si concentra sulla vecchiaia di Batman in un mondo fascistizzante che ha preso ad assomigliargli troppo.
Questi due libri, mentre indicano chiaramente, con il loro successo commerciale, l’esistenza di un pubblico interessato a fumetti autoriali e ambiziosi, definiscono chiaramente fin da subito la duplice natura del formato che sta per nascere. Da un lato Maus, in cui un racconto non seriale tocca la storia e la memoria di un popolo e le ossessioni di un autore, ed è capace di esprimere con i codici più elementari del fumetto (il bianco e nero, le espressioni stereotipate, gli animali antropomorfi) una grande narrazione novecentesca. Dall’altro Il cavaliere oscuro, ultima storia (tanto finale quanto definitiva) di un personaggio seriale, solidamente incistato nell’immaginario collettivo, che tutti credevamo immutabile e infinito. Da un lato l’idea della grande opera prodotta da un individuo che, con le pagine che ha scritto e disegnato nella solitudine del suo studio, muove rabbia e amore; dall’altro la revisione radicale di un prodotto industriale che però non riesce a dimenticarsi dell’industria che lo ha generato, mantenendo tanto il marchio editoriale (DC Comics) quanto la segmentazione dei mestieri nel processo industriale (Il cavaliere oscuro è opera di Frank Miller, ma si avvale degli inchiostri di Klaus Janson, dei colori di Lynn Varley e del lettering di John Costanza).
Da quel momento tanto l’editoria dei fumetti quanto quella della letteratura cercano una via per far conquistare a questi prodotti emergenti un proprio spazio nelle librerie generaliste. E, sempre da quel momento, gli studiosi del fumetto cercano di retrodatare le origini del graphic novel: si risale all’uso della dicitura sulla copertina di un libro di Will Eisner (Un contratto con Dio, del 1978) e a prodotti, a volte interessanti e altre quasi imbarazzanti, commercializzati, in forma di libro, decenni prima.
In Italia il graphic novel ha un’esplosione progressiva a partire da metà degli anni zero. Ma lo shock causato dall’alienità di quei prodotti è sedato da una presenza continuativa di libri a fumetti a partire dagli anni sessanta del XX secolo, grazie all’attento lavoro di alcuni autori e editori. Una ballata del mare salato di Hugo Pratt, in cui compare per la prima volta il marinaio Corto Maltese, e L’astronave pirata di Guido Crepax, fumetto di fantascienza pubblicato direttamente in volume, sono storie lunghe e articolate, romanzesche nel formato e nella vocazione.
Oggi, tutte le librerie hanno un’area, a volte anche molto grande, dedicata al fumetto. È uno spazio espositivo che continua a mantenersi prossimo alla cultura divertente, ben lontano dai romanzi classici e contemporanei. Tutt’attorno possono esserci gli insignificanti libri dei comici e quelli dedicati al cinema e alla musica pop (aree del sapere e dell’intrattenimento che su carta possono sì essere analizzate, ma non godute appieno). In alcuni sporadici casi si rilevano prossimità con i libri per ragazzi (quasi a indicare un infantilismo da cui il fumetto non è riuscito, fortunatamente, a liberarsi) o con i racconti di genere (giallo, femminile, erotismo, fantascienza e fantasy: gli unici segmenti narrativi cui le librerie riservano attenzione quasi fossero le sole sottoculture capaci di identificare pienamente il proprio pubblico).
Un’osservazione superficiale della scaffalatura riservata al graphic novel può produrre poche sorprese. Essa presenta libri di formato omogeneo, la cui copertina resta esposta per poche settimane, privilegiando quei titoli attorno alla cui ambiguità può essere costruito un caso di interesse giornalistico, per poi scomparire nella sommaria e incongrua distesa di volumi che i librai tengono di costa fino a quando, per ragioni non sempre predicibili, vengono resi.
Sfogliare invece, con attenzione, quei libri è per molti versi sorprendente. L’occasione offerta dalla presenza di un formato capace di contenere i fumetti più disparati offre agli editori l’opportunità di pubblicare prodotti diversissimi: storie pubblicate nel passato e impossibili da trovare oggi a meno di non scandagliare bancarelle e aste on line; traduzioni di lavori provenienti da ogni parte del mondo; e novità italiane, realizzate da autori, spesso esordienti, che si confrontano con quel formato.
Se, da un lato, il graphic novel fornisce la possibilità di accedere a materiali tanto diversi, dall’altro lascia intravedere la paradossale dittatura di un formato che sta rivelandosi dominante e, in quanto tale, è capace di elidere o fagocitare tutte le potenziali alternative. Questo vincolo uniformante agisce su tre piani, abbattendosi, con uguale violenza, sulle opere pubblicate, sul lavoro degli autori e sul processo editoriale e redazionale.
Osserviamo, innanzitutto, gli effetti prodotti sulle opere. Per essere ricondotti a graphic novel, fumetti che non erano stati pensati per quel formato devono essere ridotti o, peggio, rimontati. Si prendano, per esempio, due libri pubblicati, nel corso del 2011, da Rizzoli Lizard. Scelgo due esempi di questo editore, che pubblica spesso prodotti ineccepibili, perché è stato nel corso dell’anno il più presente nelle librerie italiane tanto per la gamma di libri pubblicati e volumi di vendita quanto per la vastità di offerta capace di spaziare tra i generi e gli stili di racconto più diversi. I due libri, per quanto importanti, hanno visto l’attenuazione del proprio potenziale narrativo a causa della formattazione del racconto.
Il primo esempio è il secondo volume delle Straordinarie avventure di Adele Blanc-sec di Jacques Tardi, una serie francese che gioca con gli stilemi &A feuilleton ottocentesco, mettendoli in pieno contrasto con la poetica dell’autore che è fatta di modernità del segno, costruzione articolata della pagina e un ritmo del racconto che è, per molti versi, debitore della lezione di Hugo Pratt. In occasione dell’uscita del film tratto dal fumetto, Rizzoli Lizard ha pubblicato in due volumi i primi otto albi della serie francese. Originariamente usciti come album BD (albi cartonati a colori, che contengono quarantotto pagine di grande formato), per la nuova edizione italiana è stato scelto il formato graphic novel. Il respiro di quelle pagine, una volta compresse e ridotte, è stato significativamente attenuato: le ampie aree di colore, contrapposte alle larghe campiture nere, si sviluppano in quella edizione su una superficie che non consente il movimento dell’occhio accuratamente progettato dal disegnatore francese.
Sorte anche peggiore è occorsa a Zazie nel metro, riduzione a fumetti del romanzo di Raymond Queneau a opera di Clément Oubrerie. Anch’esso, originariamente uscito in grande formato, è stato ridotto e rimontato, in modo da avere tre strisce per pagina in luogo delle quattro dell’edizione francese. Se, da un lato, questa operazione ha consentito di aumentare il numero di pagine da settantadue a oltre cento, rendendo il libro più simile a un graphic novel, dall’altro ha completamente scardinato i ritmi visivi del racconto. Una pagina di fumetti è un elemento grafico unitario, progettato per garantire una vista di insieme armonica e per accompagnare la traiettoria dello sguardo. La lettura di un fumetto prevede che, al termine di ciascuna pagina, ci sia una pausa (breve se si deve passare da sinistra a destra, più lunga se si deve sfogliare). Il rimontaggio delle strisce distrugge i ritmi di lettura voluti dagli autori e annulla la coerenza cromatica delle tavole che, in quel lavoro, era particolarmente ricercata. Il libro è ora del formato normale, ma il lettore è stato privato del livello di fruizione più elementare del fumetto: il gusto per la pagina.
Guardiamo, in secondo luogo, il rapporto tra gli autori e questo formato che richiede loro lunghi tempi di lavorazione. Realizzare un graphic novel prevede, tranne in casi eccezionali, che un autore lavori a lungo, spesso per anni, a un fumetto di molte pagine per cui riceverà solo un anticipo. Quel denaro non giustifica in alcun modo il tempo trascorso nella realizzazione e la sola speranza di una giusta retribuzione è nelle royalties future, che però, nella quasi totalità dei casi, non arriveranno mai. Di conseguenza, i graphic novel sono di solito realizzati da persone che si dedicano a una professione prevalente che garantisce loro una fonte sicura di guadagno. Talvolta un lavoro connesso al disegno e all’illustrazione, talaltra un mestiere completamente estraneo.
Il fumetto lungo non è necessariamente nelle corde di tutti gli autori, e gli editor possono non essere preparati a sorreggere il processo creativo e utilizzare i mestieri del fumetto. Un fumetto di centinaia di pagine richiede adeguati materiali narrativi, dominio dei ritmi del racconto e capacità di tenere a lungo una concentrazione stilistica: un lavoro che, specie se svolto nei ritagli di tempo lasciati da un altro mestiere più redditizio, può richiedere tempi lunghissimi. Non tutti gli autori hanno la materia narrativa, la capacità grafica e compositiva e la determinazione necessaria a rimanere così a lungo su una storia e, in assenza di altri formati, gli esordienti si ritrovano costretti a confrontarsi, impreparati e immaturi, con storie che non riescono a dominare.
E, infine, anche il processo editoriale e redazionale, che per il fumetto in Italia ha una storia lunga e articolata, subisce gli impatti di quel formato, pagandone vincoli e imposizioni. Per entrare nel mercato del graphic novel, le case editrici devono affrontare la progettazione di prodotti editoriali che hanno modelli e ritmi di produzione diversi da quelli offerti tanto dalla narrativa letteraria quanto dalla serialità a fumetti. In questo contesto è molto difficile che le case editrici abbiano internamente personale capace di guidare e correggere il processo creativo del fumetto. Per supportare un autore nella realizzazione di un fumetto, è necessaria una sensibilità che permetta agli editor di evidenziare agli autori le carenze di racconto che, prima di essere narrative, devono essere visuali e grafiche.
La costruzione di una pagina di fumetto richiede il design di un equilibrio, visivo e narrativo, che, a ogni intervento redazionale, rischia di essere smontato. Quando un editor richiede una modifica a un qualsiasi elemento, iconico o verbale, rischia di rompere quell’equilibrio e, nel caso di pagine ben costruite, di esigere rilavorazioni complesse.
La maggior parte dei graphic novel realizzati direttamente per il mercato italiano mostra chiaramente i segni dell’assenza di una guida redazionale. Il lavoro editoriale richiede preparazione professionale, cultura e sensibilità. Queste sono doti difficili (e costose) da mantenere, che l’industria editoriale tende a sopprimere. Un formato che, come il graphic novel, l’industria frequenta da poco, e che peraltro richiede professionalità differenti da quelle consolidate, risulta pesantemente svantaggiato.
Il graphic novel ha dunque offerto una visibilità insperata al fumetto, garantendogli spazi espositivi nelle librerie e adeguata presenza nei luoghi in cui si parla (e si scrive) di consumi culturali. Allo stesso tempo, la fortuna di un formato dominante per il fumetto si è tradotta in una forma di reclusione coatta per opere e autori. I grandi movimenti letterari partono dall’assunto che il paradigma entro i cui confini si muovono sia un sistema di vincoli che accresce la creatività.
Il graphic novel come formato unico sta nascondendo i fermenti ancora possibili per il fumetto. Esistono altri modelli di racconto, altri processi di produzione e altri moduli di pubblicazione. Ma sono altrove, fuori dalle librerie. E per riuscire a scovarli i lettori devono maturare competenze non banali, che in questo momento sono possedute da un’esigua minoranza, a rischio di estinzione.