A fronte del ridimensionamento della produzione Usa – persino Dan Brown non è più quello di prima – avanzano gli italiani del poliziesco meridionalizzato e delle peripezie romanzesche di personaggi in formazione. Nella non fiction, si conferma l’effetto trascinante del divismo d’autore di professionisti dell’informazione, voci dissonanti della cultura cattolica e testimoni di emblematiche vicende personali: le scelte etico-culturali vincono sui fatti di attualità, e la denuncia del potere della criminalità organizzata conquista i lettori più del dibattito politico.
I confini tra successo e insuccesso sono per loro natura variabili, e si spostano sotto la pressione delle attese che un prodotto è in grado o meno di suscitare. A questa legge non sfugge neppure Il simbolo perduto di Dan Brown, terzo volume del ciclo di Robert Langdon: la novità più attesa della stagione appena trascorsa.
Preceduto da una massiccia campagna promozionale giocata sulla studiata alternanza di segretezza e parche anticipazioni, il libro dopo reiterati rinvìi approda infine nelle librerie italiane il 23 ottobre 2009. Nella classifica del 31 ottobre è subito in testa, davanti a La rizzagliata di Andrea Camilleri, schiacciato a 30 punti. Nel campione di sole librerie consultato dall’istituto Demoskopea per conto di «Tuttolibri», il buon esito corrisponde a 50mila copie vendute nella prima settimana: a esser precisi, nei primi tre giorni, dal momento che la rilevazione è stata condotta tra il 19 e il 25 ottobre.
Il 7 novembre l’impresa si ripete: Dan Brown è di nuovo primo, Camilleri secondo con 23 punti. Le copie vendute dal nordamericano s’aggirano sempre attorno alle 50mila. Anche alla terza settimana, i cento punti se li aggiudica Il simbolo perduto, ma questa volta il valore delle vendite si dimezza, scendendo a 25mila copie. Sale di conseguenza lo score del secondo classificato: Che la festa cominci. Autore Niccolò Ammaniti, punti 62. Passano altri sette giorni, e il distacco s’assottiglia ulteriormente. Alle spalle del Simbolo perduto s’affaccia Emmaus di Alessandro Baricco con 85 punti. Ai cento punti del primo classificato corrispondono 15mila copie vendute. Stabile la situazione il 28 novembre: Baricco è a 80 punti, Brown a cento (pari ora a circa 12mila copie).
A poco più di un mese dall’uscita, il 5 dicembre Il simbolo perduto cede il posto d’onore a Il tempo che vorrei di Fabio Volo, assestandosi subito dietro con 38 punti (pari a 10mila copie, a fronte delle 30mila dell’italiano). La forza propulsiva suscitata dall’attesa si è ormai esaurita, né intervengono circostanze esterne a ravvivarla: i media, che per un anno e mezzo avevano riservato alle ardite tesi del Codice da Vinci una moltitudine di servizi e tavole rotonde, non si sono dimostrati altrettanto reattivi alla provocazione su cui si regge il soggetto del nuovo romanzo, il ruolo sotterraneo svolto dalla massoneria nella storia degli Stati Uniti.
Nelle settimane seguenti, fatta eccezione per qualche sporadica risalita ai vertici, il libro si mantiene nelle posizioni di media o bassa graduatoria. Finché il 6 febbraio esce definitivamente dalla top ten, e il 6 marzo dalla classifica scorporata della narrativa straniera. A stagione conclusa, sommati i risultati settimanali, lo troviamo al sesto posto con 866 punti. E tanto o poco? In termini assoluti, si tratta ovviamente di un piazzamento di tutto rispetto. Ma il giudizio cambia se si considera lo scarto fra pubblico potenziale e pubblico effettivamente raggiunto. Il dato che più risalta infatti è questo: Dan Brown ha perso lettori. La nuova avventura del professore di simbologia religiosa a Harvard non ha persuaso quanti avevano entusiasticamente apprezzato l’intrigo criminalesoterico ambientato sullo sfondo parigino, forse perché frastornati dall’affollamento di personaggi e sviluppi secondari che grava sul suo congegno narrativo.
D’altro canto, la stagione è stata poco soddisfacente per tutta la narrativa nordamericana che, a parte Dan Brown, non riesce a piazzare nessuna novità fra i primi venti classificati. Al dodicesimo posto, incontriamo bensì Zia Marne di Patrick Dennis, pseudonimo di Edward Everett Tanner III (719 punti), ma si tratta di un testo edito a metà degli anni cinquanta che va ad aggiungersi alla lista delle felici riscoperte postume di Adelphi. Dopo Il simbolo perduto, il primo titolo d’annata made in Usa è il Libro delle anime del newyorkese Glenn Cooper, trentaquattresimo con 386 punti: un giallo a sfondo storico pubblicato da un marchio di nicchia quale l’Editrice Nord.
A trarre vantaggio dal ridimensionamento della produzione nordamericana sono i nostri connazionali, che dominano quasi incontrastati la top ten. Eccola. Al primo posto si piazza con 1.446 punti Le perfezioni provvisorie di Gianrico Carofiglio, seguito da Il tempo che vorrei di Fabio Volo (1.280 punti), Cotto e mangiato di Benedetta Parodi (1.275 punti), Il peso della farfalla di Erri De Luca (1.013 punti) e La caccia al tesoro di Andrea Camilleri (940 punti). Alle spalle del Simbolo perduto, troviamo Acciaio di Silvia Avallone, settima con 865 punti, il long seller Ineleganza del riccio di Muriel Barbery (798 punti), Il nipote del Negus ancora di Camilleri (763 punti) e, infine, l’edizione tascabile di un altro successo di lungo corso, Inombra del vento di Carlos Ruiz Zafón, 756 punti. (I dati sono ricavati dalle graduatorie pubblicate dal settimanale «Tuttolibri» fra il 12 settembre 2009 e il 28 agosto 2010.)
L’elenco rende conto anzitutto della progressiva meridionalizzazione del poliziesco italiano che allo scetticismo per i destini del Sud del paese, espresso con caustica ironia tanto da Camilleri quanto da Carofiglio, non esita ad affiancare un modello positivo, addirittura eroico di umanità, rappresentato da due figure istituzionali: un commissario e un avvocato penalista. A tutt’altra couche appartiene l’Alligatore, detective privato senza licenza con un passato da carcerato, della serie del veneto Massimo Carlotto (262 punti con L’amore del bandito), dalla quale affiora una concezione privatizzata della giustizia, che risente dell’influsso delle saghe degli eroi vendicatori.
Ma è tutta la variegata galassia del poliziesco a incontrare i favori del pubblico dei bestseller, e ciò in virtù soprattutto di una versatilità che ha consentito a questo genere di dar origine a tanti sottofiloni narrativi e allo sviluppo di robuste tradizioni nazionali ben diversificate tra loro. In particolare, accanto ai buoni risultati della compagine francese, rappresentata dall’immancabile Georges Simenon e dalla scrittrice Fred Vargas (la quale porta in classifica due titoli, Prima di morire addio e Scorre la Senna), spicca la buona accoglienza riservata alla new wave svedese, vero e proprio fenomeno delle ultime stagioni. Sull’onda lunga dei successi postumi di Stieg Larsson, che con Uomini che odiano le donne (ventisettesimo con 458 punti) e La regina dei castelli di carta (370 punti) si conferma uno degli autori più amati dal pubblico italiano, ben sei altri polizieschi scandinavi entrano infatti in classifica: La principessa di ghiaccio di Camilla Lackberg (569 punti), L’ipnotista di Lars Kepler (514 punti), Tre secondi di Anders Roslund e Borge Hellstrom (188 punti), La dea cieca di Anne Holt, Il bambino della città ghiacciata di Olle Lonnaeus e L’uomo sul tetto di Maj Sjowall e Per Wahloo (quest’ultimo un classico della narrativa gialla, edito nel 1971).
L’altra tipologia di prodotti premiata dal mercato è quella che focalizza l’attenzione narrativa sulla ricostruzione della vita interiore di un Io chiamato a confrontarsi con gli ostacoli che il mondo frappone ai suoi progetti di appagamento. Banco di prova preferenziale su cui verificare la portata dei conflitti che oppongono l’individuo all’altro da sé è la dimensione affettiva, alla quale s’improntano testi per altri versi molto eterogenei come Il tempo che vorrei di Volo, Il ultima riga delle favole di Massimo Gramellini (595 punti), Il vincitore è solo di Paulo Coelho (502 punti), Un giorno di David Nicholls (276 punti), L’isola sotto il mare di Isabelle Alien de (238 punti).
Nondimeno, per il folto numero di titoli, l’interesse maggiore lo suscita un sottogruppo di testi che racconta le peripezie di personaggi in formazione che, a causa delle costrizioni dell’ambiente in cui è toccato loro in sorte di vivere, faticano a tradurre la propria ansia vitale in una matura condotta di vita. In tale raggruppamento, assieme a Emmaus di Baricco (333 punti), Noi di Walter Veltroni (249 punti), Nel mare ci sono i coccodrilli di Fabio Geda (245 punti) e Sotto cieli noncuranti di Benedetta Cibrario (152 punti), si inseriscono due fortunati quanto controversi romanzi d’esordio: Acciaio (865 punti) della biellese Silvia Avallone, classe 1984, e Fianca come il latte, rossa come il sangue (599 punti) del trentatreenne palermitano Alessandro D’Avenia. Entrambi appaiono caratterizzati dalle concessioni alle tinte forti del melodramma nonché da una certa acerbità linguistica. Ma mentre D’Avenia ripropone i modi di una narrativa intimistica abbastanza convenzionale raccontando i turbamenti di un liceale diviso fra senso di smarrimento ed eccitazione passionale, la Avallone ha il merito di inquadrare la storia della formazione mancata delle sue giovani creature su uno sfondo sociale più articolato e complesso (i quartieri operai di Piombino) di indole realistica.
Terzo raggruppamento: l’umorismo, letterario e no. Il testo più rappresentativo di questa categoria è il già citato Zia Marne, una sorta di romanzo a episodi legati da un tenue filo conduttore che, attraverso il resoconto delle camaleontiche metamorfosi della protagonista femminile, l’eccentrica Marne Dennis (la zia del titolo, tutrice del giovane narratore rimasto orfano di entrambi i genitori), traccia un affresco bonariamente critico ma non privo di efficacia icastica della società nordamericana fra l’epoca del proibizionismo e gli anni cinquanta. Al confronto, molto più pallida appare la verve dei due romanzi della britannica Sophie Kinsella, La ragazza fantasma e La compagna di scuola (quest’ultimo pubblicato con lo pseudonimo di Madeleine Wickham), che non si distanziano dai modi di una prosa spensierata all’insegna del buonumore. Per apprezzare una ribalda spigliatezza satirica che trova nell’esuberanza delle invenzioni verbali il suo motivo di forza, bisognerà semmai inoltrarsi nelle ibride terre della Varia, dove ritroviamo i duetti di Luciana Littizzetto e del conduttore di Che tempo che fa raccolti in Che Litti che Fazio (con doppio dvd).
A questo titolo, per il comune intento di prolungare il successo della fortunata trasmissione a cui s’ispira, s’affianca il manuale di fast food della Parodi, Cotto e mangiato, terzo nella classifica assoluta. Nell’era del consumo intermediale, sarebbe del resto utopistico pretendere che le classifiche dei libri più venduti rimangano impermeabili all’influenza della comunicazione audiovisiva. Ma sarà il caso di distinguere fra i campioni d’incassi concepiti senza troppa fatica per sfruttare un format di successo già sperimentato e quelle opere che, nate da uno sforzo di creazione letteraria, traggono vantaggio dalla notorietà acquisita dall’autore in altri campi, com’è per il conduttore radiofonico Fabio Volo, i registi Paolo Sorrentino e Cristina Comencini, il giornalista Massimo Gramellini, il cantautore Francesco Guccini (trentaseiesimo con Non so che viso avesse, punti 372).
È tuttavia la Saggistica a risentire più di ogni altro settore merceologico dell’effetto trascinante del divismo d’autore. In quest’area, i vertici della classifica sono infatti tutti occupati da volti arcinoti del piccolo schermo: si tratti di conduttori come Bruno Vespa o Gad Lerner o di ospiti più o meno abituali dei talk show di prima serata, come il teologo Vito Mancuso, l’astrofisica Margherita Hack, il matematico Piergiorgio Odifreddi, il filosofo Umberto Galimberti, i giornalisti Marco Travaglio, Eugenio Scalfari, Giampaolo Pansa, Gianluigi Nuzzi, Antonio Socci, Filippo Facci. A facilitare la penetrazione nel mercato delle loro opere è probabilmente un duplice fattore: la familiarità del lettore-spettatore con il sistema di valori e i modi di linguaggio dell’autore e l’ufficialità che la frequentazione degli studi televisivi, interpretata come garanzia di autorevolezza, contribuisce a conferirgli.
Figura non meno popolare è anche il sacerdote genovese don Andrea Gallo, primo classificato fra i saggisti con Cosz in terra, come in cielo (428 punti). In questo caso, tuttavia, alle motivazioni all’acquisto s’aggiunge una componente ulteriore di solida efficacia: il fascino romantico per il ribelle, l’anticonformista, il prete di strada che preferisce la compagnia dei diseredati a quella dei potenti e che su molte questioni spinose non ha timore di assumere posizioni in contrasto con quelle della Chiesa.
Fatto sta che, dopo la stagione dell’accomodante spiritualismo della New Age e di quello più torbido dei Templari, sono proprio le diverse quanto dissonanti voci della cultura cattolica a spartirsi anzitutto i favori del pubblico della Saggistica. I testi di maggiore impegno intellettuale sotto questo profilo sono quelli di due teologi «progressisti»: La vita autentica di Vito Mancuso (secondo, con 415 punti) e C/ó che credo del dissidente svizzero Hans Kung, il primo proteso a difendere le prerogative della libertà e il «primato della vita contro ogni dogmatismo dottrinale», il secondo a delineare un modello di ascetismo che non si sottrae al confronto con le grandi tematiche della nostra epoca: il multiculturalismo, l’intolleranza religiosa, il rapporto tra morale e ricerca scientifica.
Da un punto di vista più pragmatico, sui problemi della contemporaneità, e in particolare «dell’Italia del nostro scontento», si sofferma anche In cerca dell’anima, scritto a quattro mani da Franco Scaglia e dal vescovo Vincenzo Paglia, consigliere spirituale della Comunità di Sant’Egidio.
Antonio Socci e Paolo Brosio, rispettivamente in Caterina. Diario di un padre nella tempesta (206 punti) e A un passo dal baratro. Perché Medjugorje ha cambiato la mia vita, propongono invece la testimonianza di una loro emblematica vicenda personale: l’uno l’esperienza dell’angoscia provata al capezzale della figlia maggiore entrata in coma dopo un arresto cardiaco, l’altro le circostanze della propria conversione avvenuta nel momento del massimo successo coincidente con quello della massima disperazione. Molto più istituzionali, al confronto, appaiono La grande storia di Gesù di Sandro Mayer e Osvaldo Orlandini, e Perché è santo di Saverio Gaeta e monsignor Slawomir Oder, quest’ultimo consacrato alla vita di papa Giovanni Paolo IL
A tale gruppo di testi di ampio spettro tematico, che investono le scelte etico-culturali che governano il destino collettivo, si contrappongono i saggi dedicati all’approfondimento dei fatti d’attualità. Il dibattito politico che infiamma le cronache dei quotidiani ha tuttavia riscontri isolati nelle classifiche librarie: seA<7personam. 1994-2010. Cosi destra e sinistra hanno privatizzato la democrazia di Travaglio si insedia con 210 punti all’undicesimo posto della graduatoria della Saggistica, il manifesto Il futuro della libertà di Gianfranco Fini non supera i 72 punti e A riveder le stelle. Come seppellire i partiti e tirar fuori l’Italia dal pantano di Beppe Grillo, sorta di documento programmatico del Movimento 5 Stelle, si ferma ad appena 64.
A polarizzare l’interesse dei lettori sono piuttosto le preoccupazioni per il perdurante potere della criminalità organizzata che è al centro di tre saggi di forte richiamo: La malapianta (362 punti), in cui il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri racconta al giornalista Antonio Nicaso la sua lotta contro la ’ndrangheta; La parola contro la camorra, libro più dvd di Roberto Saviano (256 punti); e, infine, Don Vito (244 punti), nel quale Francesco La Licata raccoglie la testimonianza di Massimo Ciancimino, penultimo dei cinque figli del boss corleonese, su quarantanni di relazioni segrete fra Stato e Cosa Nostra.