È cronaca del 2010: siccità e incendi attorno a Mosca, piogge monsoniche che allagano il Pakistan, colline che franano in Cina. I climatologi ripetono da decenni che le attività umane causano un pericoloso riscaldamento globale dovuto alle emissioni di gas da effetto serra: per questo hanno ricevuto il Nobel per la pace, condiviso con Al Gore. Di contro, una sistematica campagna di discredito vuole instillare il dubbio che l’allarme sia solo una truffa ordita da scienziati miscredenti, incompetenti, disonesti e/o venduti a una lobby miliardaria – cui apparterrebbero anche Greenpeace e il WWF – capeggiata dall’ex vicepresidente Usa. Dove sta la ragione?
Sull’uscio della grotta di Altamira, qualcuno guardava tornare le rondini mentre i giorni erano ancora corti e le ombre lunghe e pensava «sta per arrivare il caldo?». Probabile. In tutte le lingue, il rosso di sera, i cieli a pecorelle e altri detti prevedono il tempo sperato o temuto. La climatologia traspone rondini e pecorelle su una scala temporale e geografica più vasta. Dal Settecento ricostruisce le ere geologiche, dalla fine dell’Ottocento si chiama proprio così e prova a leggere il futuro prossimo, le siccità e le carestie, i monsoni e le malattie che preoccupano gli imperi coloniali e i finanzieri che hanno investito nel canale di Panama. Da mezzo secolo – mondialmente dal 1995 con il I rapporto dell’International Panel on Climate Change (Ipcc) – ripete che le attività umane causano un riscaldamento globale dovuto alle emissioni di gas da effetto serra, a cominciare dall’anidride carbonica.
E piuttosto ambizioso per una scienza – un insieme di discipline, in questo caso – che non può controllare tutte le variabili dell’atmosfera, delle terre emerse e dei mari, ricrearle in laboratorio e sperimentarle su un pianeta identico al nostro. Quindi fa simulazioni che evolvono nel tempo per vedere se combaceranno con il clima che farà. Però dall’invenzione del termometro dispone di sistemi di rilevamento, di serie lunghe e ininterrotte estrapolate da carote di ghiaccio o di sedimenti marini e lacustri, dagli anelli nei tronchi degli alberi e nelle stalagmiti, dall’usura delle rocce, dalla dieta dei Neandertal e dei mammut (per esempio dai frammenti di cibo rimasti nei denti dei primi, dagli escrementi lasciati dai secondi), di altre serie ancora.
L’11 dicembre 1895, alla Real Accademia delle Scienze di Stoccolma, il chimico Svante Arrhenius spiega l’alternarsi di ere glaciali e temperate (la conferenza sarà pubblicata nel gennaio 1896 con il titolo Influenza dell’acido carbonico nell’aria sulla temperatura al suolo, dove acido sta per anidride). Ha calcolato «l’aumento medio delle temperature quando l’acido carbonico varia dal valore medio attuale K= 1 aK=0,67,1,5,2,2,5 e 3 […] per ogni decimo parallelo e per le quattro stagioni dell’anno. La variazione è riportata nella tabella VII».
Il termine «effetto serra», dice Arrhenius, è stato usato da Fourier nel 1827 e da allora sappiamo «che alcuni gas contribuiscono in maniera più o meno efficiente all’assorbimento atmosferico del calore solare». Cita il lavoro dei predecessori, elogia i chimici più degli altri, e arriva a Le cause dell’era glaciale, «memoria premiata dal Regio Istituto Lombardo», pubblicata a Pavia pochi mesi prima «dall’eminente meteorologo italiano Luigi De Marchi». Ha fatto un bel lavoro: «Ha esaminato in gran dettaglio le varie teorie proposte fin qui, astronomiche, fisiche o geografiche […]». Come Arrhenius, «Giunge alla conclusione che quelle ipotesi vadano tutte respinte», soprattutto la tesi di un certo Croll che «dal punto di vista della climatologia o meteorologia, è inaccettabile nei princìpi e nelle conseguenze». Arrhenius ci si sofferma «perché piace agli inglesi ai quali fornisce una cronologia naturale», ma è campata per aria. Pretende che ogni era glaciale nell’emisfero sud coincida con una temperata nell’emisfero nord e vice versa, ma le osservazioni lo smentiscono. Quanto all’eminente De Marchi, per cui il passaggio da un’era all’altra sarebbe causato da cambiamenti nella trasparenza dell’aria dovuti a variazioni dell’umidità, se avesse fatto bene i conti si sarebbe accorto che nell’era glaciale la sua umidità raggiungeva valori tra il 101 e il 105%. Bocciato anche lui.
La tabella VII di Arrhenius resta valida. Con qualche ritocco, la sua correlazione tra aumento delle temperature e l’aumento di CO2 in atmosfera corrisponde a quella misurata dal 1950 in poi. Con qualche ritocco, le teorie respinte dal De Marchi si ritrovano nei modelli odierni, raccolti nel IV rapporto dell’Ipcc, uscito a febbraio 2007, quasi 3.000 pagine in tre volumi, i cui caporedattori – una settantina – ricevono un premio Nobel per la pace condiviso dal divulgatore Al Gore. Un trionfo.
La vendetta dei meteorologi.
Un mese prima del vertice sui cambiamenti climatici di Copenaghen, nel dicembre 2009 scoppia lo scandalo noto come Climategate. Su Internet compaiono un migliaio di e-mail scambiate nell’arco di quindici anni dai ricercatori che avevano coordinato il IV rapporto dell’Ipcc. Rubate da hacker, selezionate fra circa 15mila, rimbalzate da un sito russo a uno arabo a uno americano. Meteorologi e a volte presentatori del bollettino serale, politici, portaborse, giornalisti e altri bastian contrari che si definiscono «scettici», le usano per denunciare l’inaffidabilità delle ricerche sul clima, con lo stesso modus operandi dei creazionisti. Il riscaldamento globale è una truffa ordita da scienziati miscredenti, incompetenti, allarmisti, disonesti e/o venduti a una lobby miliardaria formata da organizzazioni ambientaliste come Greenpeace e il WWF, da loschi industriali dei pannelli solari e capeggiata dall’ex vicepresidente Al Gore. Vuol distruggere il capitalismo e imporre la dittatura mondiale dei Verdi, complici i rossi giunti a Washington con il presidente Barack Hussein Obama (mai dimenticare il secondo nome) nato in Kenya, e le Nazioni unite, un governo mondiale i cui tentacoli sono le agenzie contro la fame, per lo sviluppo del terzo mondo, la sanità e ovviamente il controllo del clima come il truffaldino Ipcc. Dopo un lavoretto di taglia e incolla, le mail rubate ne sono la prova.
Da allora le invettive sono diventate più stridenti, i candidati repubblicani alle elezioni di mezza legislatura promettono di processare i climatologi per falsi in atto pubblico e abuso di fondi federali, e il senatore James Inhofe consegna al Congresso l’elenco di 17 scienziati che a suo avviso hanno violato le leggi statunitensi, rubato i soldi dei contribuenti e tradito la patria, tra i quali due inglesi che lavorano in Gran Bretagna finanziati dalla Commissione europea.
Gli «scettici» sono organizzati da professionisti. La campagna contro i climatologi è cominciata nel 1993, quando le multinazionali del petrolio e del carbone hanno rilevato istituti di pubbliche relazioni la cui missione era di «costruire la controversia» sugli effetti cancerogeni delle sigarette. Il personale si è presto riciclato, dal fisico nucleare Frederick Seitz, noto per aver posato con camice da medico per la pubblicità «Doctors prefer Carnei» al collega Fred Singer, oggi 86enne e sempre arzillo promotore dell’idea che più CO2 emettiamo e meglio stiamo, come ha fatto in agosto al convegno di Erice organizzato dal caro amico Antonino Zichichi. Negli Stati Uniti, in Canada, in Australia e in Gran Bretagna, la campagna comprende minacce di morte inviate ai ricercatori, cadaveri di cani lasciati nottetempo davanti a casa loro. In Italia, dov’è partita solo nel 2007, si svolge a parole, più sui media che nei libri, ed è quasi invisibile in libreria.
I saggi di disinformazione si vendono soprattutto on line e sono pubblicizzati dai siti web e dai blog dell’autore o in sintonia con il suo pensiero. I prezzi sono convenienti. Per 75 euro invece di 93, porto a carico dell’editore 2 Imo secolo, è possibile procurarsi otto volumi di o consigliati da Franco Battaglia, docente di Chimica ambientale all’Università di Modena. Su temi affini al clima ha una singola pubblicazione scientifica sui temporali nella valle del Po, e molte diatribe sul «Giornale» e sui canali Mediaset, essendo lo «scienziato preferito» dal primo ministro Silvio Berlusconi, il quale ogni tanto gli concede una prefazione che dovrebbe essere spiritosa. Autore di articoli dai titoli eloquenti come Il Racket ecologico degli ambientalisti («Il Giornale», 24 gennaio 2003), Battaglia ha anche dato un contributo imprecisato a La Natura, non l’attività dell’uomo, governa il clima (2008), che sintetizza i pareri di un sedicente Comitato Internazionale Non-governativo sui Cambiamenti Climatici. Ideato da Frederick Seitz poco prima di morire a 97 anni, curato dal suo socio nel business delle sigarette Fred Singer, vanta la partecipazione di quaranta lobbisti, politici dell’estrema destra repubblicana e luminari del rango di Battaglia. Volontari come gli autori dei rapporti Ipcc? C’è un motivo per dubitarne. Nel gennaio 2007 infatti, centinaia di persone tra cui un’occasionale cronista della ricerca per «Il Sole 24 Ore» – tramite un collega inglese in vena di scherzi – hanno ricevuto da una fondazione di Washington l’offerta di 10mila dollari più le spese, per un articolo di 1.500-2.000 parole che dicesse peste e corna del IV rapporto Ipcc. Nemmeno per quella cifra stroncherei il libricino dei Seitz & Singer, sebbene il titolo sia meno felice di quello originale e la traduzione laboriosa. Per chi ha qualche ricordo di termodinamica è ricco di sorprese. Nonostante il nome dell’editore italiano, è proiettato verso il passato. Difende una visione dello sviluppo economico legato a energie del Settecento come il carbone, dell’Ottocento come il petrolio e di metà Novecento come il nucleare. Ogni scoperta posteriore alla fissione atomica, nel 1938, non ha futuro perché il libero mercato si fonda sull’inquinamento.
C’è una visione più contemporanea dell’energia e dello sviluppo in Clima, è vera emergenza (2009) di Nicholas Stern, l’economista al quale il governo britannico aveva chiesto di esaminare i costi di una limitazione dei gas serra. Ma il ponderoso Stern Report del 2007 non era esattamente un thriller. L’autore è riuscito a riassumerlo per profani e a suscitare le stesse polemiche. S’è particolarmente infuocato Nigel Lawson, vicepresidente di una fondazione di cui non indica le fonti di finanziamento sebbene sia registrata come «charity», che contava su una vittoria netta dei Tory per tornare al Tesoro da titolare, non da sottosegretario come ai tempi della signora Thatcher. In Nessuna emergenza clima (2009), il barone Lawson of Blaby accusa il barone Stern of Brentford e i suoi sostenitori di ecofondamentalismo, anticapitalismo, paracomunismo e altre nefandezze perché «La natura, non l’attività dell’uomo, governa»… il clima. Purtroppo per lui il nuovo governo del Regno Unito s’è privato delle sue incompetenze: David Cameron è un ecofondamentalista.
Angelo Rubino, dell’università di Venezia, e Daniele Zanchettin si scagliano anch’essi contro i catastro-comunisti. Non sono dei dilettanti e qualche ricerca l’hanno pubblicata, affondata dai colleghi forse perché attribuiva all’attività solare, invece che alla Luna, certi moti nella laguna veneta. Di recente hanno prodotto Riscaldamento globale: La Fine. Gli ultimi mesi: Ritorno al passato o addio per sempre? (2010). Malgrado la punteggiatura variegata, il titolo è ambiguo. La conclusione è univoca: la bufala del riscaldamento globale è morta e sepolta. Ricopiata con solerzia la teoria americana del complotto e le diffamazioni seguite al Climategate, risulta che «La natura, non l’attività umana»… ecc. Come il meteorologo televisivo e tenente colonnello dell’Aeronautica Guido Guidi, ritengono che circa diecimila scienziati in tutto il mondo si siano inventati tutto, a cominciare dalla temperatura media.
E «la media in natura non esiste», come ama dire il tenente colonnello, responsabile di Climate Monitor, il sito web che ospita le bufale americane più appariscenti. A suo avviso, un effetto può avere un’unica causa: se millenni fa un aumento delle temperature non era dovuto a quello della CO2 ma, per esempio, a una maggiore attività della corona solare, ammesso e non concesso che oggi faccia più caldo dev’essere per l’identico motivo. Quindi la Seconda guerra mondiale non c’è stata perché nel 1939 nessun arciduca è stato assassinato a Sarajevo. Il problema per il tenente colonnello e le sue truppe è che da trent’anni l’attività solare è in lieve calo e addirittura ferma dal 2007, eppure sono i più caldi registrati dal 1850 e ogni decennio è stato più caldo del precedente. Si tratta di una quisquilia anche per due collaboratori del tenente colonnello, i meteorologi Luigi Mariani dell’università statale di Milano e Teodoro Georgiadis del CNR. Assistiti dal giornalista e fervido creazionista Mario Masi, in No Slogan: l’eco-ottimismo ai tempi del catastrofismo uscito nell’aprile 2010, profetizzano un futuro roseo puntualmente smentito dagli «eventi meteorologici estremi». A giugno dal Golfo persico al delta del Gange sono stati superati per settimane i 45 °C, a luglio canicola e siccità incendiavano le pianure attorno a Mosca, ad agosto i monsoni trasformavano un terzo del Pakistan in un fiume di fango, in Cina occidentale colline franavano a valle e per la prima volta dal Settecento, nel mare Artico erano aperti sia il passaggio a Nord-Est che quello a Nord-Ovest. Eventi simili ci sono sempre stati, è vero, ma l’energia aggiunta all’insieme del clima li rende più disastrosi. Innanzitutto per i poveri, ma basta che coltivino il loro giardino con piante geneticamente modificate dall’unica scienza non «corrotta», dicono i dottori Pangloss, e non diano retta ai mistificatori, le organizzazioni umanitarie e ambientaliste che esagerano per vocazione, e gli scienziati che truccano i dati com’è emerso dallo scandalo Climategate. Peccato che grazie al pandemonio provocato dall’estrema destra americana e dai baroni inglesi, ci siano state otto commissioni d’indagine sulle presunte falsificazioni del IV rapporto Ipcc, e otto commissioni d’indagine hanno concluso che di falsificazioni non ce n’era neppure una. Qualche riferimento bibliografico sbagliato, quello sì, e un errore madornale, segnalato in seconde bozze da un esperto, rimasto inascoltato. L’errore è quello citato dagli «scettici» per chiedere la testa degli allarmisti, ma con tagli che lo privano di una sua certa comicità surreale. E in un paragrafo sui ghiacciai dell’Himalaya, i quali hanno attualmente una superficie di 30mila chilometri quadrati, viene detto nella prima frase. Ecco cosa capita loro nella penultima, cara agli «scettici»: «Se continuano a ritirarsi al tasso attuale, la probabilità che spariscano entro il 2035 è molto alta e forse prima se la Terra continua a riscaldarsi al tasso attuale». Un disastro? Macché: «E probabile che la sua (sic) superficie totale si ridurrà dagli attuali 500.000 chilometri quadrati a 100.000 entro il 2035».
Svaniranno del tutto o si ridurranno a un quinto per cui alla stessa data saranno triplicati? La riposta è nello stesso rapporto trecento pagine a monte, nel capitolo sui ghiacci terrestri, a quanto pare non sono previste grandi modifiche prima del 2350-2400 e questa volta la bibliografia è corretta.
Contro gli scienziati del clima, i meteorologi hanno alleati di tutto rispetto. Sul mensile «le Scienze» del gennaio 2010, il professor Enrico Bellone ricopiava un articolo dell’«Avvenire» copiato da un blog, per accusare le vittime del Climategate di malefatte, paragonare a «untori» e «donne possedute dal demonio» chi non condivideva le sue opinioni. En passant, dimostrava di non sapere bene di cosa stesse parlando. Nel criticare i modelli, inaffidabili ovviamente, confondeva «scenari» – vediamo come cambiano le temperature nel 2050 se dal 2020 al posto del carbone usiamo il nucleare, per esempio – e «proiezioni» – dal 1970 la banchisa artica diminuisce in media del 7,6% all’anno, vediamo quando resteranno aperti i passaggi a Nord-Est e Nord-Ovest. Stranamente, visti i numerosi climatologi italiani che nel tempo libero hanno lavorato gratuitamente per l’Ipcc, il professor Bellone presume che abbiano scelto quella professione per «procurarsi notorietà e fondi». A fine febbraio gli veniva in soccorso sul «Corriere della Sera» il prof. Giulio Giorello, che per contestare il «consenso» della comunità scientifica messo in dubbio dall’amico, avanzava concetti stravaganti quali «il meccanismo climatico è così complesso che nessuna componente può essere considerata isolatamente» e «l’emissione del calore del Sole cambia secondo schemi ciclici» e «può indebolire la temperatura estiva allontanandosi dall’equatore».
Vanno di moda le opinioni, però ne esistono di ben informate. In Tempeste. Il clima che lasciamo in eredità ai nostri nipoti, l’urgenza di agire (2010) James Hansen, che dirige dal 1981 il Goddard Institute for Space Studies, smette di essere l’esperto neutrale che lascia parlare le cifre per parlare lui, da nonno preoccupato com’è in privato. I meteorologi non glielo perdonano, ma è abituato alle persecuzioni. Per distinguere i fatti dalle insinuazioni occorre fare un in vestimento, purtroppo. Insieme ai colleghi più quotati nelle diverse discipline, il portavoce dell’Ipcc Sergio Castellari e Vincenzo Artale hanno scritto I cambiamenti climatici in Italia: evidenze, vulnerabilità e impatti (2010), ed Emanuela Guidoboni, Antonio Navarra ed Enzo Boschi Nella spirale del clima: Culture e società mediterranee di fronte ai mutamenti climatici (2010). Nessuno degli autori prende i lettori per idioti. Dopo le certezze semplicistiche dei meteorologi, si apprende così che nel bacino Mediterraneo il clima è stato, è, sarà complicato, mosso, incerto e che se non ci sono dubbi sugli sconvolgimenti già iniziati, ne restano parecchi sui rischi per un territorio degradato dall’incuria, dagli abusi e dall’impunità di chi li commette. Diversamente da quanto scrive il professor Bellone infatti, Castellari et al. non hanno barattato il rigore scientifico e l’onestà con la fama.