Se resta ancora ampiamente da interpretare l’effettivo impatto della crisi finanziaria globale e della conseguente stagnazione economica sul mercato librario nazionale, il dato certo, nello scorrere le classifiche di vendita e i piani di pubblicazione delle case editrici italiane dell’ultimo anno e mezzo, è che l’editoria è stata tutt’altro che indifferente al tema, trasformando anzi una contingenza in una vera e propria tipologia di offerta editoriale, variamente declinata e spesso di notevole successo.
Finanza canaglia, recessione, decrescita, palingenesi spirituale dell’homo oeconomicus occidentale: nel momento in cui si scelga di assumere lo «sboom» economico-finanziario globale come la lente attraverso la quale verificare la progettualità e l’efficacia della proposta editoriale italiana dell’ultimo anno, è giocoforza non solo prendere la rincorsa un po’ più da lontano, ma anche operare da subito una scelta di campo, che è poi quella dell’ambito saggistico. È indubbio infatti che il fenomeno – l’emergenza o l’opportunità editoriale rappresentati dalla crisi economica globale – sia stato esplorato per lo più dalla non fiction già a partire dal secondo semestre del 2009 (anche se alla luce del recente premio Campiello 2010 va registrata almeno la pronta riproposta in libreria del primo libro di Michela Murgia, uscito per Isbn nel 2006 e intitolato Il mondo deve sapere, sorta di tragicomico e preconizzatore romanzo-verità sui disastrosi effetti della precarizzazione del lavoro). Fin da allora infatti l’editoria italiana proponeva una serie di titoli di autori talora esordienti, più spesso di portafoglio se non addirittura di catalogo, come strumenti di riflessione e di indagine sulla crisi in corso. Sotto questa luce, e partendo dai piani più alti delle classifiche, è interessante osservare per esempio la contiguità editoriale di libri apparentemente diversi tra loro come La fortuna non esiste. Storie di uomini e donne che hanno avuto il coraggio di rialzarsi di Mario Calabresi e Slow Economy. Rinascere con saggezza di Federico Rampini, entrambi per i tipi di Mondadori. L’uno si presentava infatti al suo robusto parterre di lettori (a suo tempo raccolto con il vivido e commovente memoir Spingendo la notte più in là) come una galleria di storie esemplari di resistenza quotidiana. Rampini invece, dopo avere affrontato negli anni precedenti con grande successo il fenomeno dei mercati emergenti di Cina e India, proponeva un saggio dedicato a un nuovo e necessario modello di sviluppo, alla luce dei profondi cambiamenti economici, sociali e ambientali del pianeta. Accanto a questi due casi particolarmente eclatanti di ben meditata rifocalizzazione editoriale di autori di bestseller, tra il secondo semestre del 2009 e l’avvio del 2010 è da registrare in realtà tutto un fermento di iniziative editoriali che a vario titolo e con esiti differenti, sia qualitativi sia commerciali, stanno a dimostrare la non occasionalità di una tendenza destinata a diventare per lo meno di media durata. Volendo muoverci in un settore più popolare, ugualmente sintomatico risultava per esempio lo spostamento di ambito impresso alla propria opera da un altro giornalista, Antonio Caprarica, per solito votato a un garbato chiacchiericcio in merito a usi e costumi dei nostri vicini di casa europei (da Dio ci salvi dagli Inglesi… o no!? a Com’è dolce Parigi… o no!?, editi da Sperling & Kupfer) e che invece con I Granduchi di Soldonia (sempre Sperling), citando il testo di bandella, si proponeva di intraprendere «un itinerario […] in un mondo molto lontano dalla Terra, dove “le proteste dei disoccupati e i cigolìi dei cancelli delle fabbriche che chiudono sono solo rumori di fondo”». Con la medesima ambizione di cogliere le curiosità e i timori di un pubblico ampio, e senza lesinare sui toni a metà tra la denuncia e lo scandalistico, Newton Compton si affacciava invece in libreria con il titolo di Klaus Werner-Lobo Il libro che le multinazionali non ti farebbero mai leggere, secondo una formula ormai collaudata (quella appunto dei «libri che non vogliono farti leggere») che, dopo i libri-scandalo sul Vaticano e sulla camorra, cerca evidentemente di fare leva (e successo) sul clima di incertezza generalizzato, agendo sul pessimismo venato di complottismo cospirativo di un certo tipo di pubblico. D’altra parte, guardando al corno diametralmente opposto dell’offerta editoriale nazionale, un interessante indizio in merito alla trasversalità culturale di quella che è evidentemente una preoccupazione collettiva è ben rappresentato dal sapiente repechage di casa Adelphi della lezione universitaria di John Keynes dal titolo Possibilità economiche per i nostri nipoti, letta in controluce da Guido Rossi. E sempre nell’ottica di un tentativo di analisi tanto implacabile quanto costruttiva si proponeva per i tipi di Feltrinelli La crisi non è finita di Nouriel Roubini e Stephen Mihm, ricostruzione analitica dell’attuale crisi finanziaria con l’intento di mettere l’uomo occidentale in grado di prevederne la ricorsività. E ugualmente sintomatico d’altra parte, tornando agli ultimi mesi dell’anno, che la parabola intellettuale e professionale di Edmondo Berselli si sia chiusa, all’indomani della sua scomparsa, con un breve testo intitolato L’economia giusta (Einaudi) che, nei modi propri dell’acuto saggista, affronta il tema di un’inevitabile diminuzione di risorse a cui tutti quanti dobbiamo abituarci. Quanto ad altri ritorni ben posizionati, non c’era miglior momento per l’uscita di Comune (Rizzoli), terzo volume, dopo Impero e Moltitudine, della coppia di autori Antonio Negri e Michael Hardt, i quali affrontano lo scenario di immedicabile crisi globale del mondo capitalistico attraverso il concetto, appunto, di «bene comune» come unica risposta al solipsismo egoistico e fallimentare delle società liberiste. Allo stesso modo assistiamo al ritorno in libreria di Muhammad Yunus, padre del concetto di «microcredito» e già autore del fortunato Il banchiere dei poveri, con Si può fare! Come il business sociale può creare un capitalismo più umano (Feltrinelli), titolo curiosamente meno «esotico» e distante del precedente, come a ribadire che la povertà è oggi un problema che assilla tutti.
Se da un lato dunque l’offerta libraria si è declinata ad ampio spettro nel cercare di offrire più risposte possibili alla domanda «che cos’è la crisi?», può essere altrettanto interessante soffermarsi sui libri che in vario modo e a vario titolo abbiano cercato di dare risposte a un’altra impellente domanda, ossia «come si affronta la crisi?». Su questo versante l’offerta in libreria spazia enormemente, dai libri di tecnica del risparmio al vero e proprio «how-to» ai manuali di auto-aiuto. Per quanto attiene al tema dell’economia domestica, con particolare riguardo all’aspetto del cibo, è senz’altro da registrare il successo commerciale incassato dall’ironica rivoluzione attuata dal Gambero Rozzo (Newton Compton), provocatorio ribaltamento della filosofia (e dell’ossessione) della ricercata e spesso elitaria enogastronomia militante, pubblicazione di recente tramutatasi in Mangiarozzo (edizioni 2009 e 2010), a ribadire l’importanza di proporre in libreria una filosofia della proposta del mangiare bene, genuino e soprattutto economico. Tuttavia il fenomeno librario da questo punto di vista in assoluto più rilevante è senza dubbio rappresentato da Cotto e mangiato di Benedetta Parodi (Vallardi), magistrale caso di «cristallizzazione» sul medium cartaceo di un format televisivo di grande successo e di altrettanta estemporaneità, e che sembra andare perfettamente incontro ai bisogni di una nuova tipologia di italiana in cucina, divisa tra cronica mancanza di tempo, esigenze di qualità e sguardo attento al portafoglio.
Rivolgendo l’attenzione dal cibo ai trasporti, non può non fare riflettere l’uscita, per forza di cose posizionata su un pubblico assai più di nicchia ma culturalmente molto reattivo, di un testo come Il bello della bicicletta di Marc Augé (2009), che dopo aeroporti e metropolitane, appunta la sua attenzione sul mezzo di locomozione per eccellenza sinonimo di lentezza ed ecocompatibili – tà, cui è seguito nel secondo semestre del 2010 i Diari della bicicletta di David Byrne (Bompiani), già carismatico leader del gruppo dei Talking Heads convertitosi al mezzo a pedali in una chiave evidentemente affine alla «filosofia del rallentamento», sulla scorta forse della progressiva familiarizzazione dei lettori occidentali con quel concetto di decrescita, inaugurato anche in Italia dal Breve trattato sulla decrescita serena di Serge Latouche (Bollati Boringhieri), seguito da La scommessa della decrescita (Feltrinelli).
Spostandosi poi dall’ambito meramente descrittivo-teorico o da quello rigorosamente pratico, colpisce la fioritura, e a volte il notevole successo, di iniziative editoriali più direttamente interessate a sviscerare la dimensione esistenziale del concetto di crisi, quando non decisamente volte a fornire risposte o proporre filosofie o punti di vista spirituali utili ad affrontare con successo momenti di difficile ma necessario cambiamento. Su base nazionale uno degli esempi più significativi, anche da un punto di vista generazionale, è certo rappresentato dal libro di Simone Perotti Adesso basta. Lasciare il lavoro e cambiare vita. Filosofia e strategia di chi ce l’ha fatta (Chiarelettere), testo che, uscito nel 2009 e forte di una permanenza ai piani alti della classifica di saggistica per parecchi mesi del 2010, ha fatto del «downshifting», del «cambiare marcia», un vero e proprio manifesto laico per i trentenni italiani che, decisi a sottrarsi ai meccanismi brutali della ricerca e del mantenimento di un lavoro sempre più precario e insoddisfacente, decidano di praticare una sorta di volontaria «decrescita» individuale, mettendo radicalmente in discussione la validità delle ambizioni professionali e materiali della generazione che li ha preceduti.
La legittimità di un percorso individuale che oltre che professionale e pratico diventa anche filosofico e spirituale si riflette poi puntualmente in editoria attraverso una serie di offerte o riproposte che, pur certamente assai diverse per pubblico di riferimento e spettro di analisi, non possono ancora una volta non colpire per la loro tempestività e contiguità sugli spazi della libreria. Si fa in questo senso notare la ricomparsa di quel Nassim Taleb, autore del saggio Il Cigno nero che qualche anno fa metteva in guardia l’uomo occidentale dalla mancanza di presa di coscienza dell’imprevisto, e che oggi con Robustezza e fragilità. Che fare? Il Cigno nero tre anni dopo (il Saggiatore), punta con maggiore forza il dito sulla cecità di futurologi ed esperti di scenari finanziari, pervicacemente ciechi di fronte ai «cigni neri», ossia ai fattori imprevedibili, dell’economia. Allo stesso modo tuttavia vanno registrati con interesse i successi, talora fragorosi, di proposte editoriali che a partire da un’esigenza diffusa di un rinnovato controllo dell’esistenza, propongono veri e propri percorsi di self-empowerment, da molti anni assai comuni nell’editoria anglosassone, ma che ancora rivestono caratteri di vera e propria novità su scala nazionale, tanto è vero che il bestseller assoluto in questo ambito è frutto non di un grosso e scaltro gruppo editoriale bensì di un piccolo editore, come spesso avviene per gli «apripista» di un genere inedito o poco praticato. Si sta parlando ovviamente di Fhe Secret di Rhonda Byrne (Macro Edizioni), titolo incastonato in classifica praticamente da tre anni, vero e proprio vademecum spirituale che in realtà, grazie ai princìpi insegnati da una serie di «maestri del mondo moderno», mira a fornire gli strumenti atti alla conquista di una serenità che è interiore nella misura in cui è anche saldamente materiale. A questa pubblicazione molte altre si sono affiancate, omologhe o concorrenti, da Thè Meta Secret (Tea), alla serie cosiddetta delle Leggi dell’attrazione di Esther e Jerry Hicks (Salani-Tea) che annovera tra i suoi titoli anche un – a dire il vero assai poco ascetico – Il denaro e la legge dell’attrazione.
Se qualcuno dovesse storcere il naso di fronte a questa pletora di palingenesi spiritual-esistenziali sotto la forma editoriale di breviari religiosi alternativi o rapidi – e forse semplicistici – manualetti di self-help in salsa New Age, potrà sempre laicamente consolarsi nel vedere il discreto ma rivelatorio ritorno ai piani alti delle classifiche 2010 di un libretto che a suo tempo, pubblicato nella collana «Millelire» di Stampa Alternativa, aveva incarnato una vera e propria piccola rivoluzione nelle modalità dell’offerta libraria ad alta tiratura. Con buona pace delle passate (e ormai ampiamente dimenticate) sperequazioni sul cambio di valuta, quelle 1.000 lire sono diventate oggi 1 euro e a quel prezzo, con rinnovato e più che mai sintomatico successo, si ripropone in libreria quella Lettera sulla felicità di Epicuro che forse, per titolo e prezzo, è l’epitome migliore degli incerti tempi che stiamo attraversando.