Negli ultimi anni, il panorama composito del fumetto nazionale si è arricchito di numerose presenze femminili: illustratrici e sceneggiatrici che, spesso dopo una lunga gavetta, sono giunte a occupare posizioni rilevanti nei circuiti editoriali più rappresentativi dell’universo fumettistico. A loro si deve la creazione di eroine di carta accattivanti e anticonformiste, in grado di soddisfare i bisogni estetici e ricreativi delle lettrici attraverso una ricca offerta di generi e di storie: dalle vignette umoristiche alle vicende sentimentali, dalla satira di costume ai territori seminesplorati dell’erotismo al femminile, all’insegna di prospettive inedite e di una crescente sofisticazione tematica e formale.
Donne di carta, e delle più varie fogge, inclinazioni e fattezze, ce ne sono sempre state, fin dagli albori della storia ormai secolare del fumetto. Fenomeno assai più recente, ma via via numericamente e qualitativamente più rilevante, è invece il proliferare di eroine scaturite dalla fantasia e dalla matita delle fumettiste. L’ingresso delle disegnatrici nell’universo della produzione di comics, ben percepibile a partire dagli anni novanta, ha visto un incremento costante soprattutto negli ultimi lustri, in spiccata controtendenza rispetto alla riduzione del mercato della narrativa disegnata. Oggi le autrici del terzo millennio non solo partecipano al pari dei colleghi maschi a tutte le fasi di lavorazione del prodotto, ma si cimentano con duttilità disinvolta con le più diverse morfologie del genere. Premessa e corollario della femminilizzazione del linguaggio fumettistico è del resto un dato di fatto incontrovertibile: il numero di donne e ragazze che comprano e leggono fumetti è ormai equivalente a quello degli uomini.
Scorrendo le biografie professionali della gran parte delle autrici più affermate è possibile individuare, grossomodo, due percorsi paralleli. Da una parte, dopo gli esordi sulle riviste specializzate degli anni ottanta, quasi tutte approdano a un lavoro creativo ed editoriale ad ampio raggio, rivolto a un pubblico indifferenziato, combinando la sceneggiatura, il disegno, lo storyboard anche pubblicitario, la collaborazione intensa a periodici e case editrici grandi e piccole. D’altra parte, difficile non accorgersi che se a impugnare la matita è una donna, le mansioni tipiche del mestiere includono immancabilmente l’ideazione di protagoniste femminili, a beneficio delle lettrici.
Quanto alla straordinaria varietà degli esiti, sono lontani i tempi in cui le prime si facevano strada nell’ambito del fumetto tradizionale, destinato a un pubblico quasi esclusivamente maschile, come accadeva alle sorelle Giussani, oppure operavano, ancorché con risultati notevolissimi, nel recinto chiuso del disegno per l’infanzia – e qui va fatto il nome di Grazia Nidasio, madre, tra l’altro, di due eroine straordinariamente popolari come Valentina Melaverde e Stefi. Ormai, nessun genere sembra precluso all’estro delle fumettiste e alle loro creature di carta. E del resto, si capisce: l’ampliamento del pubblico femminile ha comportato, come sempre accade, una diversificazione dell’offerta tale da venire incontro a una più dinamica articolazione dei bisogni di lettura. Non sorprende dunque, che anche nella produzione delle disegnatrici la gamma delle morfologie praticate sia davvero composita: si va dalle storie avventurose, al giallo o al noir, dal disegno per l’infanzia all’illustrazione erotica, dalle vignette satiriche alla narrazione seriale fino al graphic novel di vasto respiro. Criterio unificante di una produzione eclettica e multiforme sarà però sempre l’invenzione di eroine che sollecitino i processi identificativi di un pubblico di ragazze più o meno cresciute.
Tra le apripista di una tendenza oggi dominante, non si può non citare il nome di Cinzia Ghigliano, che dopo gli esordi sulle pagine prestigiose di «Linus», alla fine degli anni settanta dà vita al personaggio di Lea Martelli, un’agguerrita ed emancipata procuratrice legale, significativamente nata sulle pagine di un periodico femminile ad alta tiratura come «Amica». A partire dal decennio successivo, la Ghigliano si cimenterà nel genere storico avventuroso illustrando in sei volumi le peripezie di Solange, bellissima mulatta di origini caraibiche vissuta a inizio secolo: nelle grandi tavole colorate che compongono questi album, costante è l’attenzione grafica per la sensualità elegante e spregiudicata della protagonista. Un’altra figura memorabile uscita dalla fantasia di una fumettista è la fatale Gilda, disegnata da Cinzia Leone per la prima volta nel 1983 su «Alter»: anche in questo caso, gli ingredienti principali della serialità fumettistica consistono in una ben dosata miscela di vicissitudini iper romanzesche e vistoso sex appeal della conturbante protagonista. Rispetto a queste esperienze anticipatrici, le disegnatrici affermatesi in epoca più recente si distinguono sia per una pratica più versatile di diverse opzioni stilistiche, sia soprattutto per la messa a punto di eroine cartacee più problematiche e sfaccettate, in grado di entrare in sintonia con la complessità delle attese delle lettrici.
Caso esemplare di una carriera equamente divisa tra produzione generalista e attenzione selettiva al coté femminile del fumetto è quello di Silvia Ziche, uno dei nomi più noti nella galassia in espansione delle illustratrici. Dopo gli esordi giovanili su «Linus» e «Cuore», collabora a lungo con «Topolino» con estese sceneggiature. Alle storie ad ampia diffusione di paperi e affini, che la portano a rinnovare i consolidati stilemi disneyani attraverso fortunate parodie, Ziche affianca fin da subito la creazione di donne di carta a spiccata vocazione umoristica. All’inizio degli anni novanta, per la rivista «Comix», dà vita al personaggio stralunato e ingenuo di Alice a Quel Paese, ma è nel 2004, con l’invenzione di Lucrezia, comparsa non a caso ancora una volta sulle pagine di un periodico femminile come «Donna Moderna», che la volontà di dialogo con le lettrici diventa esplicita. Lucrezia è una trentenne single, perennemente alla ricerca del principe azzurro: la sua figura riconoscibilissima, longilinea ma goffa, dalle vaghe sembianze anatresche memori dei palmipedi Disney, è un concentrato di difetti e nevrosi che ne accentuano i tratti di femminilità normale, quotidiana. L’effetto comico delle vignette sfrutta e aggiorna le situazioni narrative tipiche della chick lit, e scaturisce dal confronto, sempre perdente, tra la malmostosa protagonista e una serie di personaggi maschili inadeguati, pericolosamente eccentrici o semplicemente disastrosi. Il successo presso il pubblico femminile ha reso Lucrezia un personaggio tanto longevo quanto versatile, in grado di adattarsi sia al formato autoconcluso delle strisce settimanali su «Donna Moderna», sia a sceneggiature più ampie raccolte in volume: Amore mio (2004), Due (2006), San Francisco e santa pazienza (2007), Prove tecniche di megalomania (2009), fino al recente Lucrezia (2010), sintesi delle migliori puntate precedenti.
Anche Vanna Vinci ha alternato il lavoro sulle strisce seriali alla composizione di storie più articolate, fino ad arrivare al graphic novel vero e proprio; di norma quest’autrice riserva alle vignette un disegno naif e una latente intenzionalità umoristica, mentre utilizza un tratto più marcato e ricco di chiaroscuro nelle narrazioni lunghe in volume, a suggello di atmosfere caliginose e ambiguamente oniriche. Elemento comune ai due registri, entrambi praticati con assiduità, è la preminenza assoluta accordata alle protagoniste femminili. La gran parte dell’opera vignettistica dell’autrice si concentra attorno al personaggio della Bambina filosofica, comparsa per la prima volta in rivista all’inizio del primo decennio Duemila e da allora costantemente presente in libreria con una serie di titoli: Anatomia di uno sfacelo (2004 e 2010), Pensieri, parole, opere, omissioni (2006), Pillole di saggezza (altrui) (2007?, Pape Satàn aleppe (2008), tutti apparsi per Kappa edizioni. Saccente e nevrotica, sempre accigliata e ferocemente critica nei confronti del mondo, la Bambina filosofica unisce a un aspetto tipicamente infantile una disposizione intellettualistica adulta, con effetti di comicità buffa ma mai scontata. Le elucubrazioni cerebrali e le accensioni immaginative a cui il personaggio regolarmente si abbandona interrompono la serie ordinata dei riquadri che scandiscono le sequenze degli episodi, per espandersi a tutta pagina in disegni e didascalie tanto minuziosamente analitiche quanto gradevolmente assurde. Figure femminili assai più realistiche animano invece le sceneggiature estese di Vinci, apparse in una ormai nutrita serie di volumi, tra cui L’età selvaggia (2001), Aida al confine (2003), Sophia la ragazza aurea (2005), Sophia nella Parigi ermetica (2007), L’attrazione del buio (2009). Le protagoniste di queste storie sono sempre ragazze ventenni, spesso studentesse universitarie, attraenti ma mai bellissime, connotate da particolari fisiognomici che ne assicurino la riconoscibilità seriale e l’immedesimazione da parte del pubblico giovanile. Centro e motore della diegesi è di norma una storia d’amore, ma la vicenda sentimentale, allontanandosi dagli stilemi del rosa, si dipana attraverso un punto di vista obliquo, che privilegia l’interiorità inquieta delle eroine disegnate, con punte di onirismo acceso e una tecnica costante di ingrandimento dei dettagli oggettuali. Ne deriva una narrazione attenta alle situazioni di quotidianità consueta, anche grazie all’accuratezza realistica delle soluzioni grafiche, ma al tempo stesso incline ai temi del notturno e dell’occulto, deputati a movimentare i meccanismi d’intreccio.
All’insegna della pluralità dei generi praticati e della predilezione per le eroine anticonformiste si situa anche l’attività intensa di un nome ormai molto noto nel panorama fumettistico nazionale, Laura Scarpa. Dalla sua matita scaturisce una delle ragazze di carta più longeve del fumetto recente, Martina, nata alla fine degli anni ottanta su un settimanale per adolescenti all’epoca molto popolare, «Ragazza in», e infine riapparsa, dopo ripetute migrazioni su varie testate, nelle pagine dell’ultimo graphic novel dell’autrice, Amori lontani (2006). L’evoluzione della figura di Martina, che nel corso degli anni muta destinazione editoriale e cifra stilistica all’insegna di una crescente raffinatezza tecnica e narrativa, testimonia del resto assai bene le conquiste artistiche compiute dal fumetto al femminile. Il passaggio dalle tavole a colori delle brevi storie originarie all’impaginazione complessa del romanzo illustrato comporta uno svolgimento assai più mosso dei temi amorosi ed esistenziali e un’articolazione innovativa del sistema dei personaggi, mentre l’intreccio gioca sullo spaesamento spaziotemporale, reso attraverso l’alternanza di segni grafici difformi. Di analoga perizia tecnica Scarpa ha dato prova quando si è cimentata nel fumetto erotico, con le brevi storie raccolte in Cuori di carne (2003). Confrontate con i classici dell’erotismo disegnato, incluse le propaggini più scollacciate del fenomeno, queste tavole esibiscono una sofisticazione stilistica incomparabile. La novità più interessante di un approccio femminile al sesso fumettistico è tuttavia soprattutto di indole narrativa, e consiste nella scelta strategica di calare amplessi e accoppiamenti dentro una cornice di normalità quotidiana. Le eroine possono essere una ragazza disabile o una casalinga alle prese col sesso telefonico, l’intreccio mette indifferentemente in scena rapporti coniugali e incontri di una notte, ma sempre all’insegna di un realismo quasi dimesso, assai distante dalle sconclusionate peripezie e dall’inverosimiglianza del fumetto porno. Ciò non significa che la corporeità e gli appetiti carnali delle protagoniste non siano illustrati da Scarpa con spregiudicatezza liberatoria, e soprattutto con grande naturalezza di tocco. Va peraltro tenuto presente che Cuori di carne è esito di una frequentazione assidua del genere da parte dell’autrice, sia come disegnatrice in proprio, sia nelle vesti di direttore di «Blue», raffinato bimestrale di eros a fumetti chiuso di recente dopo una gloriosa esperienza ventennale; sempre sotto la direzione di Scarpa, nel marzo 2010 «Blue» è stato sostituito dal neonato «Touch». A conferma di una tendenza generalizzata, che vede il salutare abbattimento di preclusioni e barriere, andrà inoltre notato che il numero di donne dedite al fumetto erotico è in costante aumento, in una rosa sempre più affollata di nomi. Per limitarci all’esperienza assai feconda di «Blue» e dell’annessa collana «I classici dell’erotismo» lanciata da Coniglio editore all’inizio degli anni Duemila, andranno citati almeno i lavori di Giovanna Casotto, forse la più nota illustratrice erotica italiana (Femmine folli, 2004; Mia moglie è una santa, 2008) e di Cristina Fabris, affermatasi nell’universo dell’hard comic soprattutto con Fetish (2005). Rivisitazione illustrata di un classico dell’erotismo letterario come Histoire d’O, Fetish propone scene lesbo e sadomaso con un segno sinuoso e ricco di chiaroscuro, teso alla resa plastica dei corpi. Nel confronto con i «fumettacci» dei primi anni ottanta, che indulgevano nella rappresentazione delle più spinte pratiche amatorie attraverso l’umiliazione reiterata di procaci eroine, colpisce ancora una volta un certo realismo dell’ambientazione: la protagonista Vanessa conduce un’esistenza del tutto ordinaria, finché viene coinvolta in un rapporto sempre più eccitante di dominazione sessuale. Ma è soprattutto la conclusione della vicenda a ribaltare inaspettatamente canoni narrativi consolidati, rovesciando specularmente punti di vista e prospettive: dopo essere stata vittima di sevizie e giochi erotici di ogni tipo, Vanessa diventerà a sua volta dominatrice.