E-book, che sia la volta buona?

Molti segnali fanno pensare che anche i libri dovranno affrontare gli stessi problemi che hanno investito l’industria musicale, quella televisiva e più di recente i quotidiani, con una riconfigurazione complessiva della filiera. Anche se non è così scontato che gli e-book saranno destinati a sostituire in tempi brevi i libri di carta, di certo fatti i device, bisogna immaginare prodotti davvero innovativi attorno a una base di contenuti testuali. Per gli editori, si tratta di affrontare una inedita complessità gestionale e organizzativa, e almeno due terreni di sperimentazione: la configurazione dei nuovi libri e l’elaborazione di strategie di prezzo articolate.
 
Intorno al 2000, gli e-book sono stati oggetto di grande attenzione; per dare un’idea di quanto le aspettative fossero ottimistiche, nel 2001 un’autorevole società di consulenza specializzata in media digitali aveva stimato per il 2005 un mercato di 28 milioni di device dedicati negli Stati Uniti e un fatturato di 2,3 miliardi di dollari dalla vendita di titoli in formato digitale. Come i lettori fedeli di Tirature ricorderanno, all’epoca io ero invece fra gli scettici, poiché ritenevo che non ci fossero le condizioni di contesto e di filiera che rendessero ragionevole lo sviluppo di questo business. Adesso sono pronta a cambiare idea.
In questi dieci anni, la filiera del libro è riuscita a resistere agli attacchi della digitalizzazione, mantenendo quasi invariate le regole del gioco, che vedono i diversi attori competere per fattori artificialmente scarsi nella produzione e nella distribuzione di prodotti di carta. Certo, la vita in alcuni segmenti – come per esempio le enciclopedie e l’editoria scientifica – non è più la stessa da alcuni anni, ma il prodotto «libro di carta» ha affrontato con successo gli attacchi dei primi e-reader e di Microsoft, consentendo agli attori tradizionali di proteggere i propri margini e le proprie rendite di posizione. Non solo, gli attori della filiera del libro hanno difeso il mercato della lettura, preso d’assalto dalla concorrenza di un’offerta sterminata di prodotti e servizi per l’intrattenimento, l’informazione e l’aggiornamento e per la diffusione di strumenti di accesso ai contenuti (in particolare i computer e i siti web, ma anche i telefoni cellulari più o meno sofisticati) poco favorevoli alla lettura di testi non brevi. Oggi però le cose sembrano cambiate e molti sono i segnali che fanno pensare che anche i libri siano destinati ad affrontare gli stessi problemi che hanno investito la filiera musicale, quella televisiva e più di recente i quotidiani. Tutti i principali editori si sono affrettati a mettere sul mercato una versione del proprio catalogo per e-book, per approfittare dell’onda di entusiasmo (e dei massicci investimenti in marketing) conseguente all’introduzione in Italia dell’iPad, il prodotto «cool» di Natale 2010. Quel che bolle in pentola è però ben di più della semplice apertura di un nuovo canale distributivo.
Che cosa dunque è cambiato in questi dieci anni? In estrema sintesi, tre nuovi attori, Amazon, Google e Apple hanno creato le condizioni perché le modalità di creazione e di ripartizione di valore cambiassero, introducendo anche per i libri un contesto competitivo in cui il valore economico si costruisce con i contenuti, con la capacità di gestire relazioni e con una tecnologia abilitante che fa convergere – e rimanere – attorno a una piattaforma attori appartenenti a mercati diversi. Tutti gli intermediari per definizione mettono in relazione domanda e offerta, ma gli elementi innovativi delle piattaforme sono rappresentati dalla possibilità di utilizzare i ricavi provenienti da un mercato per finanziarne un altro, così da costruire velocemente massa critica attorno alla piattaforma. In questo modo la piattaforma acquista un grosso potere, poiché condiziona la struttura di prezzo della filiera e ne orienta lo sviluppo, appropriandosi di una parte consistente del valore creato. Le tre aziende sono importanti perché sono in grado di offrire hardware dedicato (il Kindle, l’iPad, tutti i device che supportano le suite di Google), un software conosciuto e ampiamente utilizzato, e un canale di vendita o di relazione con il cliente dal quale trarre fatturato e preziose informazioni da utilizzare per arricchire il proprio pacchetto di offerta.
Prendiamo per esempio l’evoluzione di Amazon: l’azienda è nata come canale digitale per la vendita di libri fisici, ma si è presto trasformata in piattaforma, grazie ai servizi informativi offerti ai lettori, incentivati a tornare sul sito dalla dimensione del catalogo, dalla facilità di ricerca, dalla disponibilità di informazioni su titoli, autori, consigli di lettura, dalla possibilità di trovare libri difficilmente reperibili, oltre agli sconti sul prezzo di copertina. Inizialmente l’azienda ha rappresentato un buon interlocutore per gli editori, poiché permetteva di vendere anche titoli difficilmente visibili in libreria, rappresentava comunque un nuovo canale di vendita e permetteva una riduzione delle rese grazie al suo modello di business che prevede che il libro sia prima ordinato e successivamente spedito fisicamente dal magazzino centrale; tuttavia, l’ingresso nel segmento del print on demand e l’introduzione di Kindle hanno reso Amazon un interlocutore piuttosto prepotente, che si è assorbito una parte crescente del valore creato dalla filiera, che può permettersi di fissare il prezzo di vendita degli e-book e che rende sempre più difficile affermare il ruolo dell’editore, se non per la preziosa (ma anche rischiosa) attività di scouting. Per molti autori, soprattutto se interessati a pubblicare in formato digitale prima ed eventualmente sulla carta poi, Amazon presenta più vantaggi rispetto agli editori. E vero che in tempi più recenti Amazon ha rivisto le proprie posizioni riguardo alla possibilità per gli editori di fissare il prezzo di vendita degli e-book, ma forse più a causa dell’ingresso di Apple sul mercato che non per la forza contrattuale degli editori. Discorsi analoghi, anche se con caratteri diversi, possono essere fatti per Apple e Google. Apple attualmente appare come interlocutore fortemente content friendly, poiché storicamente ha finanziato lo sviluppo di iTunes con i redditi derivanti dalla vendita di iPod e iPhone e perché ha aperto un nuovo mercato con lo sviluppo delle Apps, ma non è detto che l’idillio duri a lungo, e comunque Apple ha saputo imporre in tempi brevi il proprio marchio di venditore di contenuti digitali. Non tutti questi cambiamenti sono necessariamente nocivi per gli editori e per la filiera del libro; grazie a Kindle, iPad, Nook e i vari lettori, il testo torna a diventare importante, rispetto al video e alle immagini, come modalità di trasmissione del sapere in formato digitale. E non è nemmeno detto che i nuovi device saranno destinati a sostituire in tempi brevi i libri di carta. In un paese come il nostro in cui quasi metà della popolazione in grado di leggere non legge nemmeno un libro l’anno (esclusi i libri di scuola) e metà di quelli che leggono da uno a tre libri l’anno, gli incentivi ad acquistare un lettore dedicato, «cool», ma decisamente costoso, potrebbero riguardare un mercato tutto sommato piccolo; inoltre la scuola e la biblioteca di casa potranno ancora per un po’ di anni rappresentare un valido strumento di promozione per il libro di carta, che in molti casi continua a essere il supporto più efficace e meno costoso per la lettura. Tre fattori mi sembrano critici nel determinare i tempi di riconfigurazione della filiera del libro: il comportamento delle catene di librerie e dei siti, la competizione fra le piattaforme e naturalmente le scelte degli editori. Il libro di carta è in buona parte sopravvissuto grazie alla presenza di un numero adeguato di punti di vendita fisici. A oggi le librerie (e le catene sono inevitabilmente avvantaggiate) rappresentano ancora il canale fisico di vendita non solo di più ampie dimensioni, ma anche quello che ha maggiori possibilità di sviluppare su scala adeguata servizi di comunità e di relazione; è da vedere quante risorse vorranno e potranno investire per sviluppare l’attività on line, o se preferiranno invece cercare di favorire il più possibile i punti vendita fisici rispetto a quelli virtuali. Ed è da vedere quante saranno le novità lanciate su carta dagli editori; già ora alcuni editori presentano un catalogo esclusivamente digitale: se il numero di novità su carta si riduce drasticamente, la concorrenza con la grande distribuzione tenderà a farsi più accesa. I fornitori di piattaforme sono colossi, impegnati in una competizione globale che assomiglia a una guerra fra titani. Per quanto ciascuno di loro sia estremamente agguerrito e con risorse economico-finanziarie e tecnologiche inaudite rispetto al settore editoriale librario, nessuno è in posizione tale da poter essere al riparo della concorrenza e i fronti da presidiare sono davvero tanti. Infine, gli editori hanno una serie di atout da giocare, dalla mediazione fra gli autori e i gruppi di lettori, alla possibilità di organizzare piattaforme comuni per la vendita o la promozione di e-book. Due terreni di sperimentazione nuovi mi sembrano particolarmente importanti e delicati: la configurazione dei nuovi libri e l’elaborazione di strategie di prezzo articolate. Fatti i device, bisogna fare i libri: un testo pensato per essere pubblicato su carta difficilmente sarà così appetibile su e-book. La eventuale sostituzione potrebbe essere il risultato delle dinamiche competitive fra attori più che un reale miglioramento dei sistemi di creazione di valore. Viceversa, la disponibilità di supporti dedicati permette di immaginare prodotti e servizi davvero innovativi attorno a una base di contenuti testuali: è su questo ambito che si gioca in via prioritaria la capacità degli editori di affermare il loro ruolo di mediatore culturale ed economico. Certo, i rischi economici e non economici sono grossi e non alla portata di tutti, anche per la complessità gestionale e organizzativa legata alla pubblicazione multimediale (per esempio, ciascun numero della rivista «Wired» viene pubblicato in tre edizioni: su carta, su web, e su iPad; la molteplicità delle configurazioni d’offerta dei quotidiani è ancora maggiore); però la decisione di «limitarsi» a produrre libri può rivelarsi riduttiva nel breve periodo e non sostenibile nel medio, almeno per gli editori di maggiori dimensioni. Quanto al prezzo, le nuove configurazioni impongono di immaginare una struttura di prezzi e non semplicemente un prezzo di copertina calcolato a partire dal numero di pagine e dai costi di produzione. Siamo un po’ lontani dal prezzo fisso…