La rivoluzione digitale entra in classe: lo impone una legge, ma anche l’esigenza di aggiornare gli strumenti di apprendimento. Per tutti gli attori coinvolti, si tratta di una sfida di ampia portata. Gli editori si attrezzano per ideare prodotti in cui cartaceo e digitale sappiano integrarsi. Per contro, i governi non hanno ancora pensato a riforme strutturali per assicurarsi le competenze necessarie allo sfruttamento delle nuove tecnologie nella didattica. Gli insegnanti sanno già cogliere il peso che i nuovi media hanno nella vita degli allievi? E i giovani non sentiranno sempre più lontano e faticoso il testo tradizionale?
Ci siamo mai chiesti come saranno gli zaini dei ragazzi del 2050? Saranno in materiali ultramoderni, o magari avranno uno stile un po’ rétro e quindi uguale a quello di oggi? Saranno giganteschi e cingolati o forse lo zaino stesso sarà un retaggio del passato e i bambini andranno a scuola con un semplice Kindle in tasca che farà da libro, quaderno, calcolatrice, righello, compagno di banco e merendina?
Farsi oggi troppe domande su un futuro così lontano forse non ha senso, e potrebbe condurci a un’ennesima Odissea nello spazio tanto fantasiosa quanto improbabile; meglio ragionare sui dati che abbiamo.
Il libro scolastico digitale o «misto» cartaceo/digitale è stato il tema del convegno A scuola senza libri? tenutosi l’8 maggio 2009 alla Biblioteca Braidense e organizzato dal Master in Editoria e Gestione del prodotto editoriale dell’università Cattolica di Milano. Spunto del dibattito che ha coinvolto gli «addetti ai lavori» – gli insegnanti e il mondo dell’editoria – è stata la promulgazione della legge (n. 133 del 6 agosto 2008) con la quale si prevede l’introduzione nella scuola di testi «disponibili tramite Internet, gratuitamente o dietro pagamento», e infatti «al fine di potenziare la disponibilità e la fruibilità, a costi contenuti di testi, documenti e strumenti didattici da parte delle scuole, degli alunni e delle loro famiglie, nel termine di un triennio, a decorrere dall’anno scolastico 2008-2009, i libri di testo per le scuole del primo ciclo dell’istruzione, di cui al decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59, e per gli istituti di istruzione di secondo grado sono prodotti nelle versioni a stampa, on line scaricabile da Internet, e mista».
Nel corso dell’incontro si sono alternate voci diverse che hanno analizzato la questione da una pluralità di punti di vista, senza esaurire tuttavia il tema, il quale promette – per la sua stessa natura di novità e per il suo legame con la tecnologia – ulteriori sviluppi.
Le prime e fondamentali critiche che sono state mosse alla legge hanno evidenziato come la «scaricabilità» dei libri scolastici in formato digitale non garantisca la loro economicità, né tanto meno la loro praticità, comportando anzi un raddoppiamento della foliazione, un peggioramento della qualità di stampa e un costo rilevante per le famiglie.
Una delle poche relatrici provenienti dalle file degli insegnanti – categoria decisamente poco rappresentata nell’incontro, e che tuttavia negli interventi liberi finali non ha saputo mostrare un’opinione condivisa sull’argomento – ha sottolineato come sia indispensabile per la scuola adeguarsi ai tempi, attrezzandosi con mezzi e competenze per riempire lo iato che rischia di crearsi tra i docenti e gli allievi più giovani, i cosiddetti digitai native’, un compito che spetta alle istituzioni e che non può essere lasciato alla buona volontà degli insegnanti e dei dirigenti. Significativo è stato anche l’ammonimento di chi ha sottolineato come sia necessario sensibilizzare i ragazzi, le famiglie, ma anche le istituzioni, al tema della differenza qualitativa tra l’informazione verificata, ponderata e «costosa» che solo la scuola, i libri e le biblioteche possono offrire, e quella «facile», ma spesso superficiale – quando non errata – fornita dal web. Più positive e propositive, invece, le voci giunte dal mondo dell’editoria, che hanno proposto di guardare all’articolo 15 come a uno stimolo per migliorare i libri scolastici e per renderli più funzionali e accattivanti, considerando imprescindibile una futura integrazione tra cartaceo e digitale.
Se è vero che probabilmente, come spera Eco, il libro non morirà (e tanto meno il libro di scuola), è altresì certo che il digitale è ormai entrato nella nostra vita e sarebbe una scelta deleteria e penalizzante ignorarlo.
Da quest’ordine di riflessioni ha preso le mosse l’indagine che noi, allievi del Master per Redattore di editoria libraria con conoscenza delle tecnologie digitali, nato dalla collaborazione tra Università Statale di Milano, AIE e Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, abbiamo condotto ponendo a confronto le opinioni di tre attori che a diverso titolo si occupano dei testi scolastici: noi studenti futuri redattori, un gruppo di docenti ed Emilio Zanette, in qualità di rappresentante del mondo editoriale.
La ricerca ha visto una prima fase in cui noi, che apparteniamo a una «generazione di mezzo» tra digitai native e digitai immigrante ma attraversiamo anche una fase di transizione fra la figura di studente e quella di redattore, abbiamo individuato e discusso alcuni temi di particolare interesse per gli addetti ai lavori e per chi si occupa di scuola in generale.
Come luogo della nostra discussione abbiamo preferito un forum sul web a una lunga serie di riunioni: una scelta di metodo dettata dalla comodità, ma anche un espediente per avvicinarci al contenuto della questione. Immaginiamo infatti che in futuro le forme di comunicazione basate sullo sfruttamento della rete, già così presenti nel mondo del lavoro e nella nostra quotidianità, entreranno anche nella scuola.
In una seconda fase abbiamo posto le questioni più rilevanti emerse dal nostro confronto sul forum a sei insegnanti: sono stati scelti due docenti per ogni ordine scolastico (scuola primaria, secondaria di I grado e secondaria di II grado) di età diversa e quindi portatori di un’esperienza differente di insegnamento e di metodo didattico.
Infine abbiamo rivolto gli stessi quesiti a Emilio Zanette, direttore editoriale per le edizioni scolastiche Bruno MondadoriPearson Italia, che abbiamo scelto tra i relatori del convegno per la preparazione non puramente teorica sull’argomento e per la forza e la lungimiranza delle opinioni espresse in tale occasione.
Sin dall’inizio abbiamo rilevato insieme ai nostri interlocutori come l’unico requisito richiesto dalla legge, la «scaricabilità» del file pdf, non costituisca un effettivo vantaggio pratico: questa soluzione nata per garantire ai cittadini un apparente contenimento delle spese, tuttavia sembra non prendere in considerazione il fatto che i costi di computer, carta, stampante, cartucce, rilegatura e licenze – perché i diritti dell’autore e l’investimento dell’editore non si volatilizzeranno nella rete – saranno sostenuti dalle stesse famiglie.
D’altra parte, comunque, per una sorta di eterogenesi dei fini, l’articolo 15 potrà forse portare la scuola italiana a un maggior grado digitalizzazione. Nodale è, a questo punto, calibrare le innovazioni e renderle accessibili a un’istituzione che per strutture e competenze presenta ancora troppa disomogeneità e carenze.
Nel corso dell’indagine abbiamo quindi realizzato che pensare i nuovi libri significherà ideare prodotti editoriali in cui la parte cartacea tradizionale e quella digitale sappiano integrarsi senza sovrapporsi, tenendo sempre presente che la specificità del linguaggio adottato (quello sequenziale della carta scritta o quello non lineare e interattivo del digitale) implica modalità di apprendimento completamente diverse.
Ma come si presentano oggi i libri di testo con contenuti digitali e come dovranno diventare alla luce di questa nuova indicazione data dal governo? E gli editori e gli insegnanti credono davvero nell’informatica e nelle nuove opportunità che essa offre, o si limitano a subirle come imposizioni del tutto incapaci di dare un contributo serio alla didattica?
I docenti offrono una panoramica sconfortante sulla situazione attuale, rilevando come sino a oggi i cd allegati ai libri di testo siano stati piuttosto deludenti: un gadget in cui, dicono, gli editori non hanno creduto abbastanza. Del resto essi stessi hanno evidenziato che la scuola italiana non è ancora pronta a una reale «conversione» al digitale, e che esistono differenze consistenti nelle competenze e nelle apparecchiature a disposizione delle scuole e delle famiglie: con un’ammirevole dose di autocritica, hanno affermato che se alcuni istituti possiedono i computer (con Letizia Moratti al ministero dell’istruzione un certo numero di macchine era effettivamente giunto nelle scuole), spesso manca chi li sappia sfruttare al meglio e chi sia in grado di occuparsi della loro manutenzione; del resto i corsi di informatica rivolti agli insegnanti restano del tutto facoltativi e finalizzati alla semplice alfabetizzazione.
Ed è su questo punto che anche questa legge ci è sembrata carente o almeno parziale: una questione così delicata e importante come l’innovazione tecnologica della scuola – e della società futura che in questa scuola si sta formando – rimane a tutt’oggi non risolta. I governi che si sono succeduti non hanno ancora pensato a riforme strutturali di ampio respiro volte alla creazione delle competenze necessarie, magari anche in rapporto a un ricambio generazionale del corpo docente, per lo sfruttamento delle nuove tecnologie nella didattica.
Sarebbe comunque semplicistico imputare alla sola carenza delle strutture il mancato utilizzo del digitale nella didattica: siamo di fronte a un problema culturale, e cioè quello di superare nella scuola e più in generale nella mentalità comune una certa resistenza all’introduzione del digitale.
Questa legge tuttavia potrebbe stimolare gli editori a mettere in moto un «meccanismo virtuoso» diretto a un vero svecchiamento della didattica attraverso l’introduzione graduale del digitale nei libri di testo, o meglio nei prodotti editoriali rivolti alla scuola. Lo spettro delle possibilità è ampio e il confronto con l’estero – dove molto si è già fatto – può essere utile. Un esempio è l’impiego della LIM (lavagna interattiva multimediale), uno strumento moderno ma dal «sapore antico», che, simile a una tradizionale lavagna, consente di proiettare il testo che gli studenti possiedono in cartaceo e rende attivabili alcuni collegamenti a materiali multimediali durante la lezione: un nuovo modo di usare il libro, che crea un ambiente di apprendimento più stimolante e interattivo di quello tradizionale. E un primo passo verso strumenti più sofisticati, come alcuni corsi in uso nelle scuole americane: i testi sono corredati da codici che permettono agli allievi di accedere ad approfondimenti multimediali per via telematica sul sito dedicato al libro. E vero però che negli USA le scuole hanno le risorse per acquistare dagli editori piattaforme informatiche che permettano agli studenti di interagire con il libro scolastico e migliorare le proprie prestazioni attraverso efficaci tutorial. Ma perché le risorse informatiche entrino in modo sostanziale anche nella scuola italiana è sicuramente necessario che a un cambio radicale della mentalità si unisca un serio investimento da parte delle istituzioni. La didattica, inoltre, dovrebbe passare dalla tradizionale idea di lezione frontale a un modo di insegnare più dialogico e partecipativo, in cui gli allievi affianchino allo studio sequenziale tipico del cartaceo – la gestione «reticolare» dei contenuti.
Del resto la scuola non può voltare la testa davanti ai cambiamenti della società, ai nuovi linguaggi e ai nuovi media con cui i giovani entrano in contatto al di fuori della classe.
E la nostra attenzione, a questo proposito, si è concentrata proprio sul rapporto tra Internet e la scuola tradizionale: i giovani, affascinati dall’apparente semplicità della Rete, non sentiranno sempre più lontano e faticoso il testo tradizionale? E gli insegnanti sanno già oggi cogliere e interpretare il peso che i nuovi media e in particolare il web hanno nella vita degli allievi? Sicuramente la scuola dovrà fornire loro sempre più gli strumenti critici per muoversi con sicurezza nella rete, insegnando come spesso semplicità e qualità non coincidano.
Gli insegnanti che abbiamo intervistato hanno tenuto a sottolineare l’imprescindibilità del libro di testo, uno dei pochi tipi di volumi a entrare in tutte famiglie e uno strumento importante nella crescita dei ragazzi, che purtroppo però non gode di buona fama in Italia. In ogni caso la Rete, così presente nella vita delle nuove generazioni, non può essere trascurata e sarà sempre più opportuno conoscerla meglio per evitarne le insidie e sfruttarne meglio le potenzialità, che non vanno sottovalutate.
Anche Emilio Zanette ha chiaramente ribadito l’importanza del libro tradizionale: il testo scolastico è una base da cui partire anche per poter navigare in Rete; infatti il libro, con le sue caratteristiche di sapere organizzato e culturalmente orientato, non può trovare nel web un surrogato, ma piuttosto un’integrazione. Dietro la compilazione dei testi c’è un progetto editoriale preciso, magari opinabile, ma certo portatore di un messaggio più complesso, che Internet con la sua vastità e superficialità non offre.
Tuttavia anche il Web 2.0 potrebbe aprire nuovi scenari, diventando terreno di prova per gli stessi allievi: per esempio i ragazzi, partendo dalle nozioni apprese sui testi, hanno l’opportunità di sfruttare la tecnologia per elaborarle in nuovi contenuti digitali, un modo per fare proprie le lezioni in maniera «creativa».
In questa fase di cambiamento e di aggiornamento dei testi scolastici, quali saranno le nuove competenze richieste ai professionisti dell’editoria del settore?
Rispondendo a questa domanda, che ci preme e ci sente particolarmente coinvolti in qualità di futuri redattori, Zanette ha prospettato uno scenario interessante: a chi lavorerà nell’editoria scolastica, immagina, non sarà richiesto di utilizzare i programmi per la realizzazione effettiva dei contenuti multimediali, quanto piuttosto di saper individuare nelle nuove tecnologie quelle che meglio si prestino alla creazione di prodotti capaci di dare un contributo serio alla didattica; si cercherà insomma una collaborazione sempre più stretta tra la redazione «multimediale», che già esiste, e quella tradizionale, proprio per creare prodotti editoriali completi e funzionali, in cui i diversi linguaggi convivano e si integrino.
Questa interazione tra i linguaggi, che la collaborazione tra le redazioni rispecchierà, dovrà seguire delle regole editoriali ancora da mettere a punto, partendo però dal principio di rispettare la specificità dei diversi sistemi di comunicazione: l’emulazione e la sovrapposizione tra digitale e cartaceo non portano alcun contributo alla didattica; le nuove redazioni dovranno saper gestire i contenuti, scegliendo di volta in volta gli strumenti migliori per valorizzarli.
L’articolo 15, introdotto probabilmente con l’intento di aiutare le famiglie in questo periodo di crisi, potrebbe rappresentare finalmente l’occasione per riflettere sui temi dell’apprendimento, dell’innovazione della didattica e dell’editoria come strumento d’accesso della scuola alla contemporaneità.
Il mondo dell’editoria scolastica si profila quindi come una realtà in divenire, un campo stimolante in cui la sperimentazione relativa al digitale sarà centrale nei prossimi anni. Lo impone una legge, ma anche un’esigenza reale: migliorare il libro scolastico e aggiornarlo ai tempi che corrono. E i tempi e i ragazzi di oggi corrono veloci.
* L’articolo è a cura degli allievi dell’8a edizione del Master per Redattore di editoria libraria con conoscenza delle tecnologie digitali (promosso da Università degli Studi di Milano, AIE e Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori), con il contributo di Paola Rosei ed Emilio Zanette.