Piaccia o meno ammetterlo, i successi dello scorso anno confermano un mercato dei bestseller sempre più caratterizzato da spregiudicatezza e difficilmente riconducibile a leggi di marketing. Trionfa la narrativa, soprattutto con gli outsider del passaparola: dapprima scompigliando previsioni e rapporti di forza delle «major»; e poi mutando in longseller d’autore. È stato cosi per Brown, Saviano, Giordano (Mondadori), ma anche per Hosseini (Piemme), Barbery (e/o), Meyer (Fazi) e Larsson (Marsilio). Come dire che la riconoscibilità dello scrittore, le seduzioni della serialità vincono sul marchio e sulle strategie di lancio.
A un primo approccio, i vertici delle classifiche dei libri più venduti nella stagione 2008-2009 confermano una duplice linea di tendenza già registratasi nelle stagioni passate che pare contraddistinguere il mercato dei bestseller del Duemila in Italia. Da una parte, si assiste a un dinamismo tanto spregiudicato quanto imprevedibile nelle scelte dei lettori che sospinge verso l’alto della graduatoria prodotti romanzeschi sulla cui fortuna difficilmente si sarebbe potuto scommettere affidandosi alle razionali logiche del marketing. Dall’altra, si rileva un’accentuata fedeltà al divismo d’autore che consente a un gruppetto privilegiato di testi di godere di una vita commerciale fuori dell’ordinario e sopravvivere alle inesorabili necessità del ricambio stagionale.
I due fenomeni risultano peraltro strettamente intrecciati fra loro. E proprio l’exploit dell’outsider, difatti, a riproporsi la stagione successiva con i crismi del longseller innalzando l’autore al rango di star istituzionalizzata nonostante la penuria di titoli del suo carniere. D’altro canto, tale destino non sembra avvantaggiare uno specifico genere narrativo (a spartirsi il primato sono di volta in volta l’avventura poliziesca, il thriller esoterico, la narrativa d’inchiesta, il romanzo intimistico-esistenziale) e neppure una particolare area geografica di provenienza. Gli autori baciati dalla fortuna – dallo statunitense Dan Brown all’afgano-americano Khaled Hosseini, da Roberto Saviano a Paolo Giordano, dalla francese Muriel Barbery alla rivelazione dell’anno, lo svedese Stieg Larsson – appartengono indifferentemente al centro o alla periferia dell’impero editoriale.
Né la tendenza riscontrata appare circoscritta alla sola narrativa. Una dialettica analoga coinvolge pure il settore della varia che, nella stagione appena trascorsa, ha visto protrarsi le fortune di due manualetti, usciti rispettivamente nel 2004 e nel 2007, consacrati in diverso modo al wellness: quello salutistico di Alien Carr per smettere di fumare e quello spiritual-motivazionale di Rhonda Byrne che promette di svelare i segreti per assicurarsi appagamento interiore e successo personale.
La buona notizia è che tali dinamiche vivacizzano i rapporti di forza tra le sigle editoriali rendendo meno scontato lo scenario complessivo che ne deriva. E vero infatti che tra i primi venti titoli classificati sei sono quelli usciti dagli stabilimenti di Mondadori, che detiene un’incontrastata posizione predominante nel mercato. Ma a richiamare l’attenzione è soprattutto l’eccezionale performance di marchi meno assidui nella frequentazione delle posizioni di testa delle classifiche annuali: sempre tra i primi venti, ben quattro sono difatti i titoli targati Fazi, tre Marsilio, due Sellerio, uno EWI, e/o e Macroedizioni (a cui s’aggiungono un titolo di Feltrinelli e uno di Baldini Castoldi Dalai).
Le graduatorie confermano insomma che il successo letterario non è inaccessibile agli editori più svantaggiati dalle inclementi leggi della concorrenza quando dimostrano di saper investire con lungimiranza su autori e testi potenzialmente in grado di soddisfare i bisogni estetici di vaste fasce di pubblico. E tuttavia bisogna pur notare che al maggiore pluralismo editoriale corrisponde un progressivo indebolimento di quei tratti distintivi che formano la brand identity e consentono di identificare un marchio rispetto ai suoi concorrenti. L’impressione è che l’appartenenza di un autore a una scuderia piuttosto che a un’altra dipenda sempre meno da una coerente politica editoriale e sempre più da circostanze accidentali: il fiuto dell’editor, i rapporti commerciali consolidati con i partner stranieri o addirittura il semplice caso, l’essere cioè arrivati prima degli altri.
Tale trasformazione riduce di molto l’influenza sulle motivazioni all’acquisto che sino a non molto tempo addietro esercitava il prestigio di una sigla o persino di una collana che già in precedenza aveva corrisposto alle nostre predilezioni estetiche. Anche questo contribuisce a spiegare la maggiore atomizzazione delle preferenze di lettura che è all’origine dell’accentuata aleatorietà del successo e, insieme, della sua accelerata istituzionalizzazione modaiola notate all’inizio. In effetti, se le scelte dei lettori risentono molto meno dei condizionamenti tradizionali (recensione, pubblicità, sigla editoriale…), in compenso acquista sempre più importanza come criterio d’orientamento l’ampiezza di consensi già conseguiti da un prodotto e percepita come garanzia di buona fattura e di capacità di soddisfazione estetica.
Ma veniamo ai risultati della stagione 2008-2009, come sempre ricavati dalle classifiche settimanali redatte dall’istituto Demoskopea di Milano per conto dell’inserto «Tuttolibri» della «Stampa». Al primo posto con 1.984 punti si insedia La solitudine dei numeri primi di Giordano, incalzato da due volumi del ciclo Millennium di Larsson: Uomini che odiano le donne (1.894 punti) e La regina dei castelli di carta (1.297 punti). Seguono Gomorra di Saviano (1.183 punti), È facile smettere di fumare se sai come farlo di Carr (1.080 punti), La ragazza che giocava con il fuoco ancora di Larsson (1.075 punti), L’eleganza del riccio di Barbery (1.002 punti), La danza del gabbiano di Andrea Camilleri (964), Il giorno prima della felicità di Erri De Luca (960 punti) e Breaking Dawn di Stephenie Meyer (866 punti). Gli altri tre titoli della saga fantasy di quest’ultima si situano, a distanza di una manciata di punti, tra il dodicesimo e il quattordicesimo posto: New Moon (787 punti), Eclipse (786 punti) e Twilight (781 punti).
Proprio la larga fortuna di pubblico riscontrata dai serial letterari costituisce il maggior motivo di interesse critico dell’annata. Assieme alla Meyer, a fare da traino in questo ambito sono i nomi vecchi e nuovi del genere poliziesco: Larsson, Camilleri e Alicia Giménez-Bartlett, ventunesima con Il silenzio dei chiostri (575 punti), nona inchiesta della saga di Petra Delicado.
Il comun denominatore delle storie di questi autori va ricercato anzitutto nella fisionomia dei loro protagonisti che, pur conformandosi a quell’ambiguità scettica e problematica ereditata dalla tradizione novecentesca, ripropone sostanzialmente un modello positivo di eroe che si pone al servizio della giustizia e della comunità in cui gli è toccato in sorte di vivere. Certo, sono personaggi che non hanno nulla di superomistico, e che anzi lasciano trasparire a ogni pagina la propria finitudine umana. Per giunta, la loro morale disincantata li rende impermeabili al fideismo scientizzante dei loro precursori dell’età d’oro del poliziesco, ancora pervasa da una sostanziale fiducia positivistica nell’avvenire: i nuovi detective sono ben consapevoli della provvisorietà e della parzialità dei propri successi, sanno che l’ordine ristabilito consegnando il criminale alla giustizia è destinato a venir ben presto infranto di nuovo. Eppure, anziché deprimerne l’iniziativa, lo scetticismo disincantato li incoraggia a un volontarismo ancor più temerario e cocciuto che li porta a scontrarsi non solo con i piccoli e grandi potenti che li attorniano ma anche con il loro stesso ambiente che scoprono corrotto e corrompibile.
A venir riproposta, insomma, è l’eterna lotta del Bene contro il Male che, proprio perché resa più incerta dalla confusione dei ruoli, esige un’inequivocabile scelta di campo. Siamo agli antipodi rispetto ai tanti «cattivi tenenti» del thriller di costruzione nordamericana. Nell’esercizio sia pure controvoglia della loro professione, questi eroi si guardano bene dall’accordare il minimo credito all’interesse personale o dal dar sfogo alle proprie pulsioni omicide. Sotto questo profilo, non vi è alcuna possibilità di fraintendimento: anche quando le fonti della violenza giacciono nelle loro prossimità, costoro contrappongono sempre alla bestialità criminale la forza dell’intelligenza investigativa, a cui si unisce una disponibilità caritatevole ad affondare lo sguardo nei turbinosi meandri della psiche umana. È un tratto che tale famiglia di detective ha ereditato dal suo capostipite naturale, il commissario Maigret, la cui fisionomia gode di un perdurante favore presso il pubblico italiano testimoniato fra l’altro dai quattro titoli entrati in classifica: Maigret si difende, La pazienza di Maigret, Maigret perde le staffe, Maigret e il barbone.
Naturalmente, i tratti comuni evidenziati si traducono in una struttura espressivo-narrativa estremamente personalizzata che conferisce agli autori citati un carattere di unicità distintiva. La rivelazione dell’anno in questo comparto merceologico è senz’altro Stieg Larsson, che sia pure nelle posizioni mediane si era già affacciato in graduatoria nella stagione precedente. Alla sua consacrazione postuma hanno contribuito certamente le circostanze biografiche che ci consegnano il ritratto di un intellettuale che paga sulla propria pelle le conseguenze della sua vocazione civile: saggista autorevole e giornalista d’inchiesta impegnato in prima linea nella lotta al razzismo e all’estremismo di destra, informatore di Scotland Yard e consulente dell’OCSE, Larsson si è attirato infatti una gran quantità di minacce che lo hanno costretto a trascorrere gli ultimi anni di vita sotto scorta nella più rigorosa segretezza. A differenza di Roberto Saviano a cui appare accostabile per l’ardimentosa dedizione, la sua figura si arricchisce tuttavia di una vena romantica che si esprime in una personalità tormentata e nello sfortunato destino che gli ha impedito di veder pubblicato anche solo il primo dei dieci titoli in cui avrebbe dovuto consistere il suo progettato ciclo narrativo. Nondimeno, la principale ragione del successo andrà cercata prima di tutto nel forte carattere di attualità dell’invenzione romanzesca e nella vibrante carica emotiva che suscitano le avventure del giornalista economico Mikael Blomkvist, protagonista della serie, impegnato in un’impari lotta per sventare i complotti di finanzieri, industriali, sadici avvocati, politici, esponenti dei servizi segreti…
Per parte sua, Alicia Giménez-Bartlett innesta la vicenda poliziesca sulle strutture del racconto umoristico, accennando a una critica del costume che infervora a tratti la scrittura attraverso un’ironia addirittura sarcastica. Ma le pagine più convincenti sono quelle in cui la scrittrice spagnola dà fondo a una vena cinicamente comica, quasi nichilistica, che trasmette un senso di irriverente sfiducia nei confronti dell’umanità. A risultarne è l’affresco di un universo corposamente barocco, accalcato di contrasti bizzarramente fusi insieme da una dissennata mente procreatrice. Un indice di questa discordia assortita la offrono anche la felice onomastica (Petra Delicado) e la caratterizzazione oppositiva della coppia investigatrice: brusca, scontrosa e insofferente dei compromessi lei; tradizionalista e con mille fisime il suo vice Fermin Garzón.
Nella saga di Stephenie Meyer, la lotta del Bene e del Male si proietta naturalmente su uno sfondo fantastico dove umano e sovrumano si sovrappongono in una zona grigia, impenetrabile allo sguardo comune. Anche qui tuttavia ritroviamo una inclinazione eroica che si esplica in prevalenza in paesaggi urbani. D’altra parte, a movimentare la vicenda narrata – destinata a un pubblico prevalentemente adolescenziale – provvede la commistione di schemi attinti a una pluralità di generi ipercollaudati: l’avventura, la storia di un’iniziazione, l’epica bellica, il drammone sentimentale… Ma il fattore di forza e di maggiore in quietudine del racconto è costituito dalla scelta posterà del punto di vista, affidato a una giovane trasformata in vampiro, che costringe il lettore a immedesimarsi in una figura femminile non più umana.
La rassegna della narrativa è completata dai buoni risultati di Carlos Ruiz Zafón che risale la classifica piazzandosi all’undicesimo posto con L’ombra del vento (848 punti), al sedicesimo con Il gioco dell’angelo (759 punti) e al diciottesimo con Marina (624 punti). Bene anche la prestazione degli italiani che si aggiudicano quattro titoli nella top ten e sette fra i primi venti. La nostra compagine è guidata da Andrea Camilleri che, oltre al già citato La danza del gabbiano, porta in classifica ben altri otto titoli: L’età del dubbio, Il sonaglio, Un sabato con gli amici, Il cielo rubato, La tripla vita di Michele Sparacino, Il casellante, Racconti di Montalbano e, insieme a Saverio Lodato, Un inverno italiano. Ma meritevole di menzione è anche il buon riscontro di due testi di maggiore complessità letteraria che sfuggono alla catalogazione di genere: Il giorno prima della felicità di Erri De Luca (960 punti) e Venuto al mondo di Margaret Mazzantini (583 punti).
Molto meno soddisfacenti appaiono gli esiti commerciali della saggistica, che rimane fuori dai vertici della graduatoria annuale: il primo titolo si incontra soltanto al ventiseiesimo posto, Disputa su Dio e dintorni di Corrado Augias e del teologo Vito Mancuso (punti 497). Del resto, provvisoriamente ridimensionati i temi d’attualità, è proprio sui grandi interrogativi ecclesiastico-religiosi che si focalizzano le preferenze del pubblico. Né è forse senza significato che la forma prevalente sia quella della trattazione dialogica che oltre a Disputa su Dio accomuna Perché credo. Una vita per rendere ragione della fede di Vittorio Messori e Andrea Tornielli e Conversazioni notturne a Gerusalemme. Sul rischio della fede dell’ex arcivescovo della diocesi ambrosiana Carlo Maria Martini e del gesuita austriaco Georg Sporschill.
In tutti e tre questi casi, il dialogo si propone come metodo aperto di indagine critica al di fuori delle preclusioni dottrinarie, indirizzata a un pubblico eterogeneo, comprendente laici e non credenti. La scelta è giustificata inoltre dall’ambizione di affrontare una varietà di questioni che investono l’intero consorzio umano e non solo la coscienza religiosa: il rapporto tra fede e scienza, la crisi dell’etica contemporanea, le ingerenze politiche della Chiesa, l’accanimento terapeutico, l’eutanasia…
Rispetto al problematismo senza pregiudizi di questi testi risaltano ancor più gli intenti apologetici di monografie come Indagine su Gesù di Antonio Socci, La grande storia di Padre Pio di Sandro Mayer e Osvaldo Orlandini, e I segreti di Karol Wojtyla ancora di Socci. Sul fronte opposto spiccano invece due libri d’inchiesta che aspirano a portare alla luce il lato oscuro della storia del Cattolicesimo: Vaticano S.p.A. di Gianluigi Nuzzi e La santa casta della Chiesa di Claudio Rendina. Il primo si concentra sui decenni più prossimi a noi per ricostruire attraverso una gran mole di documenti riservati le dubbie operazioni finanziarie compiute dal Vaticano anche dopo gli scandali degli anni ottanta che ebbero per protagonisti monsignor Marcinkus, Michele Sindona e Roberto Calvi. Il secondo allarga l’indagine a un più lungo periodo storico nell’intento (come recita il sottotitolo) di smascherare duemila anni di intrighi, delitti, lussuria, inganni e mercimonio’. dalla guerriglia urbana per l’elezione del vescovo di Roma al falso storico della donazione di Costantino, dalla «vendita delle indulgenze» sino alla costituzione di istituti bancari che non disdegnano il riciclaggio di denaro sporco.
Sembra invece definitivamente tramontata l’infatuazione esoterica che, anche sulla scorta del successo planetario del Codice da Vinci, aveva pervaso la saggistica negli anni addietro. Il mutato clima è esemplificato dalle peculiarità costitutive di Thè secret della produttrice cinematografica Rhonda Byrne. È vero infatti che l’autrice australiana attinge a piene mani tanto alla manualistica motivazionale quanto alla tradizione mistico-religiosa per convocare nelle sue pagine sapienti e uomini di successo a testimoniare la verità del segreto del titolo: e cioè l’esistenza di una legge di attrazione in base alla quale ciascuno di noi sarebbe in grado di agire come un magnete e attirare a sé le persone e le situazioni desiderate. Lo scopo tuttavia non è l’appagamento interiore, bensì lo sfruttamento di tale legge al fine del raggiungimento di beni materiali: la fortuna economica, l’affermazione personale, la carriera, il successo…