Il bacino dei lettori professionali diminuisce in un quinquennio di un milione di unità. La nuova classe dirigente sembra essere composta da non-lettori e la contrazione maggiore si registra, paradossalmente, nei giovani in cerca di prima occupazione. Ma quale futuro aspetta un paese in cui la scuola si accanisce sul prezzo dei libri, ma non è in grado di spiegare ai giovani il loro valore come strumento per migliorare le chance di trovare lavoro e crescere professionalmente una volta occupati?
Che futuro ha un paese dove più della metà della classe dirigente non legge alcun libro in un anno per aggiornare il proprio bagaglio professionale? E, soprattutto, dove questa percentuale tende a crescere?
L’indagine Istat sulla lettura del 2006 offre innumerevoli spunti, grazie a una ricchezza di dati e una robustezza metodologica che – occorre dirlo – non ha eguali nel panorama delle statistiche sulla lettura a livello internazionale, come per altro ha dimostrato un recente studio condotto da un gruppo di operatori europei, tra i quali l’Associazione italiana editori e le Federazioni degli Editori e dei Librai europei. I dati del 2006 sono ancor più preziosi perché consentono un confronto con l’indagine del 2000 durante la quale erano state introdotte notevoli innovazioni metodologiche, confermate nella nuova rilevazione.
Uno degli aspetti più interessanti riguarda lo studio della lettura per motivi professionali e di studio, con esclusione dei libri di testo obbligatori. Già nel 2000 i dati inducevano a un certo sconforto: solo un occupato su quattro dichiarava di leggere un libro per ragioni professionali, e solo un dirigente o libero professionista su due e solo un giovane in cerca di occupazione su 10!
La rilevazione 2006 mostra andamenti generalmente in crescita della lettura (ne parla più estesamente Giovanni Peresson in questo stesso volume), con la vistosa eccezione della lettura professionale. Ciò è avvenuto in un lustro durante il quale la retorica della società della conoscenza, dell’economia fondata sul capitale umano è letteralmente esplosa, divenendo il cliché massimo della nostra epoca. Ed è allora triste constatare che, a fronte di tante chiacchiere, la tendenza registrata in Italia sia invece l’opposta: la lettura professionale sistematicamente si riduce, per tutte le categorie in cui l’Istat suddivide la popolazione attiva (Tabella 1).
L’andamento è particolarmente evidente nelle classi dirigenti del paese: -7,4% nella categoria «dirigenti, imprenditori e liberi professionisti», -7,8% per «direttivi, quadri, impiegati», ma – si ha l’impressione – solo perché nelle altre categorie le percentuali sono così basse da non consentire ulteriori riduzioni significative. Alcune tendenze sono più chiare se si guardano i valori assoluti (Tabella 2).
Il bacino dei lettori per ragioni di aggiornamento professionale – non dimentichiamolo, anche in termini di mercato, un segmento di assoluto rilievo – sembra diminuire in un quinquennio di un milione di unità nella popolazione italiana, da 6 a 5 milioni di persone.
Balza agli occhi che, in valori assoluti, vi è una categoria, quella dirigenziale, in cui non si registra una diminuzione. Ma abbiamo visto che i valori percentuali sono invece significativamente diminuiti, il che è accaduto in quanto la numerosità della classe è aumentata. Sembra allora che la nuova classe dirigente sia largamente composta da non lettori, il che aumenta la preoccupazione. Così come francamente sconcertante è il fatto che una delle categorie che conoscono la maggiore contrazione percentuale è quella dei giovani in cerca di prima occupazione. Non sembra allora imprudente un’interpretazione che punti il dito verso il sistema educativo italiano che evidentemente non è in grado di spiegare ai giovani il valore dei libri come strumento per migliorare le chance di trovare un lavoro e di crescere professionalmente una volta occupati.
D’altro canto, c’è davvero da stupirsi che questo accada se nella scuola l’attenzione di famiglie e media è solo concentrata sul prezzo dei libri e mai sul loro valore (nell’abituale polemica, quest’anno più furibonda del solito, che ha accompagnato l’inizio dell’anno scolastico abbiamo dovuto anche leggere su un giornale di primaria importanza quale iattura fosse il fatto che dovendo sostenere la spesa per i libri i genitori erano costretti a comprare uno zaino non griffato!)? E se nelle università i libri sono merce sempre più rara, sostituiti da fotocopie, appunti, «dispense» spesso improbabili? Non ho trovato statistiche in proposito, e sarei lieto di essere smentito, ma più di un bibliotecario mi ha riferito di una drammatica riduzione, negli ultimi anni, dei prestiti delle biblioteche universitarie.
Tali considerazioni sembrano confermate dall’analisi per classi di età (Tabella 3). Sono infatti le classi più giovanili quelle dove la riduzione è più significativa, ed in particolare quelle in cui sono collocati i ragazzi appena usciti dalle università (25-35 anni), nonché, presumibilmente, i neodirigenti (35-45 anni).
È interessante notare anche come il fenomeno si evolva in modo diverso in relazione al sesso. Com’è noto, le donne sono nel tempo libero lettrici molto più assidue degli uomini; ciò non è vero per la lettura professionale, in ragione della minore qualificazione media del lavoro femminile nel nostro paese. Nei sei anni tra le due indagini, tuttavia, la distanza si riduce drasticamente, in quanto il forte calo nei tassi di lettura riguarda soprattutto i giovani (e neanche tanto…) maschi (-7% circa tra i 25 e i 45 anni), così che nelle classi più giovanili le donne (il «sesso forte», verrebbe da dire, quando si parla di libri letti) sopravanzano i loro coetanei anche per questo tipo di lettura.
L’unica interpretazione non disperante per la società e l’economia italiana di questi dati potrebbe essere quella di una sostituzione, nelle classi giovanili, dell’aggiornamento professionale tramite i libri con quello con altri strumenti, e in particolare Internet. Non vi sono dati, nell’indagine che stiamo analizzando, per confutare o confermare questa ipotesi, ma la sua verosimiglianza è debole se si pensa che tutte le indagini sul tema mostrano come vi sia una stretta correlazione tra l’uso avanzato dei media digitali e quello dei libri. Da ultimo, l’indagine 2006 dell’Osservatorio permanente sui contenuti digitali, fondato da Aidro, Aie, Fimi, Cinecittà Holding e Univideo, utilizzando tecniche di clustering per descrivere la relazione tra consumi culturali e tecnologici, ha mostrato come esistano sì gruppi di popolazione (prevalentemente giovani e maschi) che usano molto le tecnologie senza essere lettori, ma lo fanno per lo più per frequentare chat o scaricare suonerie e non per il paziente lavoro di ricerca di fonti attendibili richiesto dall’aggiornamento professionale.
Mi è capitato in passato che le analisi delle statistiche sui libri e la lettura che ho proposto su Tirature siano state criticate per eccesso di ottimismo, per una certa mia tendenza a vedere il bicchiere sempre mezzo pieno. In questo caso, tuttavia, mi è difficile non pensarlo desolatamente semivuoto. Vorrei che ciò dipendesse dagli anni che passano che hanno ingrigito gli occhi dell’analista e non asciugato il bicchiere. Ma la crudezza dei numeri mi rende difficile crederlo. Mi induce invece a segnalare una emergenza culturale, che è anche economica e civile. Sarà allora importante che nei piani di promozione di cui tanto si parla – in particolare in vista della creazione di un Centro del libro e della lettura anche nel nostro paese – si tenga conto anche della funzione professionale del libro, dell’esigenza di educare giovani e adulti non solo al piacere ma anche alla fatica della lettura.