Raggruppa 420 editori e circa il 90% del mercato librario: l’Aie, Associazione italiana editori, è l’associazione imprenditoriale italiana più antica e quella che ha compiuto il percorso più complesso per rinnovarsi nella strategia, nella tecnologia, nell’organizzazione. Produzione di contenuti prima che di oggetti materiali, ricerca e formazione in primo piano, strategie a lungo termine. Il mondo del libro, e in particolare quello del libro italiano, si riscopre modernissimo nella difesa del patrimonio immateriale dell’impresa indispensabile per il successo di lungo periodo: le idee.
Dell’Associazione italiana editori (www.aie.it) il pubblico dei lettori sente parlare solo quando tira aria di polemica. Di recente è accaduto a proposito del prezzo dei libri – non solo dei libri scolastici ma dei libri in generale: deve rimanere fisso, determinato dagli editori, oppure essere libero, seguire il mercato secondo l’esempio anglosassone?
Da un’associazione di imprenditori che fa parte di Confindustria (anzi, che ne è stata tra i fondatori nel 1910), ci si aspetterebbe un ovvio inno al liberismo. Ma la strategia degli editori italiani è tutt’altro che ideologica: «Ci battiamo sul terreno del prezzo fisso da oltre due decenni.» dice Ivan Cecchini, direttore di Aie, ripercorrendo la storia del problema «Ma è diventato un tema scottante quando la grande distribuzione ha iniziato a vendere libri, cioè quando la libreria non è stata più un canale di vendita di gran lunga preminente sugli altri». Una trasformazione della struttura distributiva del libro che veniva a turbare un rapporto (quello tra editori e librai) in cui il prezzo fissato dall’editore era accettato praticamente da sempre sulla base di accordi tra le due categorie professionali.
Emendamenti bipartisan e fissità flessibile
Il problema diventava quello di sostituire all’accordo interprofessionale una garanzia più forte, in modo da tutelare con la limitazione degli sconti la capacità competitiva delle librerie, evitando che perdessero i fondamentali margini di guadagno legati alla vendita dei bestseller (la grande distribuzione arrivava a offrirli anche con il 50% di sconto). Occorreva una legge, come in Francia nei primi anni ottanta, e poi in Spagna e in Germania.
Una storia inevitabilmente tormentata, in clima di neoliberismo: un primo disegno di legge sul prezzo fisso venne bloccato, perché in odore di protezionismo, dalla Commissione Antitrust presieduta da Giuliano Amato, e solo in occasione dell’approvazione della più recente legge sull’editoria (L. 62/2001) furono approvati anche due emendamenti (uno di maggioranza e uno di opposizione, praticamente identici) che regolamentavano il prezzo dei libri, prevedendo con poche eccezioni uno sconto massimo del 10%. Immediatamente dopo il governo (ancora con Giuliano Amato, questa volta presidente del Consiglio) sospendeva temporaneamente gli effetti dell’articolo sul prezzo fisso, ampliava la possibilità di sconto al 15% e introduceva ulteriori liberalizzazioni.
Aie è stata parte attiva di questa combattuta strategia legislativa, a favore della regolamentazione, con il sostegno dei librai ma anche con il totale disaccordo del più grande editore italiano (Mondadori), che all’epoca dell’approvazione della legge si teneva fuori dall’associazione.
«La situazione italiana si è stabilizzata su un regime di “prezzo fisso flessibile”» sorride Cecchini «che ha portato comunque effetti oggettivamente benefici, ponendo limiti agli sconti e contribuendo a conservare l’equilibrio tra i diversi canali di distribuzione. Tanto più che le vicissitudini del mercato librario inglese, dal 1985 integralmente libero dopo l’acquisizione delle grandi catene di librerie da parte di distributori statunitensi, hanno indotto anche i grandi dissenzienti a rivedere le loro strategie, a rientrare nell’associazione e a non opporsi più al prezzo fisso.»
Ma la lotta continua: uno dei provvedimenti per la liberalizzazione del ministro Bersani, attualmente all’esame del Parlamento, potrebbe essere corredato da un emendamento, proposto dall’onorevole Benedetto Della Vedova (Radicali per le Libertà, gruppo parlamentare di Forza Italia) che abolisce l’articolo della legge 62/2001 sul prezzo fisso. Chi vivrà vedrà.
Da industriali manifatturieri a diffusori di contenuti
In questo caso esemplare l’equilibrio e il pragmatismo risaltano come le doti vincenti dell’Aie, quelle che le hanno garantito la storia più lunga tra le associazioni imprenditoriali italiane: nata con questo nome nel 1946, è però erede diretta di una tradizione associativa risalente al 1869, che in fasi diverse ha riunito anche gli imprenditori grafici (fino al 1921) e i librai, con un unico periodo di discontinuità negli anni del fascismo.
Un’associazione che ancora alla metà degli anni novanta era suddivisa in due grandi sezioni: editori di varia ed editori di scolastica, con rilevanti compiti organizzativi (la raccolta e la trasmissione degli elenchi dei testi adottati nelle scuole). Ma già da qualche anno in Italia tutto il settore era investito da cambiamenti tecnologici che come sempre si sono rivelati anche trasformazioni culturali.
L’aggiungersi della multimedialità prima e del web poi alla stampa ha coinvolto lo statuto stesso degli editori nella loro qualità di mediatori culturali tra autori e pubblico. Lungi dal limitarsi a un rinnovamento degli strumenti materiali di produzione, l’innovazione ha riguardato la capacità degli editori di non identificarsi più con un particolare settore manifatturiero (la carta stampata), ma di reinventarsi come diffusori di contenuti attraverso strumenti e canali diversi.
A un quindicennio di distanza l’Aie, oggi presieduta da Federico Motta, si è integralmente rinnovata, pur conservando l’attenzione a certi suoi settori operativi classici: per esempio lo studio di strumenti per l’identificazione dei prodotti editoriali, con la partecipazione all’elaborazione di un sistema internazionale di codificazione dei contenuti digitali (Doi, Digital Object Identifier) che svolge per i file una funzione analoga a quella del codice Isbn per i libri.
Ma le direttrici strategiche innovative sono soprattutto due: la raccolta e l’elaborazione di dati sull’editoria attraverso un Ufficio studi permanente, che redige ogni anno un Rapporto sull’editoria italiana ed è in grado di fornire conoscenze ai soci sugli scenari in via di definizione; e lo sviluppo di un programma di formazione alle professioni, tradizionali e nuove, dell’editoria.
Soprattutto quest’ultimo, in un panorama universitario che riesce ad adeguarsi solo lentamente alle nuove richieste (culturali prima ancora che professionali), è un contributo importante all’evoluzione del settore, negli aspetti tecnologici come in quelli contrattuali e amministrativi.
E il «Giornale della Libreria», il mensile specializzato riservato ai soci che esce dal 1888, si è trasformato da house organ (anzi, più formalmente «Organo ufficiale») degli editori in strumento di servizio dell’informazione professionale, raddoppiato dal 2005 in un sito web (www.giornaledellalibreria.it).
In parallelo la distinzione operativa tra varia e scolastica è stata sostituita da quella, molto più articolata e funzionale, in più gruppi di lavoro autonomi, ciascuno con un suo presidente: Editoria di varia, Piccoli editori di varia, Editoria scolastica, Editoria digitale, Editoria universitaria e professionale. In totale 420 soci, che coprono circa il 90% del mercato editoriale librario italiano, nei canali della libreria come della vendita diretta, anche su Internet.
Un patrimonio fatto di «intangibles»
Se gli editori sono oggi fornitori di contenuti immateriali prima che di oggetti, acquista una nuova attualità anche il problema della tutela del diritto d’autore, che è diventata in questi anni la missione principale dell’Aie: «Il patrimonio vero degli editori, prima che dagli strumenti di produzione, è costituito dai contenuti e quindi dal diritto d’autore» afferma Cecchini. «Ormai la legislazione italiana in materia è per la quasi totalità dei casi solo il recepimento di normative che vengono elaborate altrove: trattati riguardanti gli aspetti commerciali della proprietà intellettuale [Trips: TradeRelated Aspects of Intellectual Property Rights] conclusi nell’ambito dell’organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (Ompi), e soprattutto in sede comunitaria, con ben otto direttive di notevole impatto sulla legislazione italiana.»
La legge italiana secondo Aie è una delle migliori in Europa, ma viene da tempo accusata di essere troppo protezionista e subisce attacchi sia con la riproduzione illecita di opere protette, sia con tentativi di modificare la norma.
Aie ha costituito un’agenzia apposita per operare in questo settore: l’Aidro, Associazione italiana per i diritti di riproduzione delle opere dell’ingegno. Ha una doppia funzione: contrastare la pirateria (micidiale in particolare per il settore dell’editoria universitaria e professionale) ma anche, in positivo, concedere licenze per la riproduzione parziale di opere. Peccato che la legge spesso non venga applicata da parte delle stesse istituzioni: il Ministero dei Beni e delle Attività culturali, da cui dipendono le biblioteche statali, dal 2000 ha pagato i diritti di riproduzione previsti dalla legge solo per un anno (2005). Tutti gli enti che gestiscono biblioteche (università, amministrazioni locali, istituti culturali, scuole) e perfino i tradizionali arcinemici dei diritti di reprografia, le copisterie, accettano le regole del diritto d’autore: unica eccezione proprio il Ministero che si occupa della cultura.
Pragmatismo e mediazione anche su un altro tema che riguarda le biblioteche: i diritti sul prestito dei libri. Gli editori europei (e con essi quelli italiani) ne rivendicano la riscossione, ma si dichiarano pronti a utilizzarli collettivamente per scopi sociali: attività di promozione della lettura e potenziamento delle biblioteche. «Gli editori» conclude Cecchini «pur nella loro qualità di imprenditori attenti ai bilanci, oggi sono più che mai attenti al ruolo sociale che rivestono.»
Produzione di contenuti prima che di oggetti materiali, ricerca e formazione in primo piano, strategie a lungo termine. Il mondo del libro, e in particolare quello del libro italiano, si riscopre modernissimo: le idee, sua tradizionale materia prima, sono oggi celebrate dagli economisti come intangible assets, patrimonio immateriale dell’impresa. Meno facilmente imitabili in epoca di globalizzazione, vengono indicate come il fattore essenziale per il successo di lungo periodo. E forse si può dire che, in questa chiave, l’identificazione del libro con un oggetto prezioso e di lunga durata, ma anche con un mercato poco dinamico e poco elastico, è definitivamente tramontata.