In assenza del thriller dell’anno, la fiction degli autori stranieri perde il primato che detiene da sempre nelle graduatorie, scavalcata dalla narrativa italiana. Ma nonostante i quindici titoli italiani in classifica nei primi venti posti pochi, troppo pochi rimangono gli scrittori disponibili al colloquio con il pubblico di massa: e così fanno il pieno di punti coloro che si avvicinano al mercato senza snobismi. Regge il giallo autoctono (Camilleri, Faletti, Frutterò, Carofiglio), cresce la saggistica d’attualità e di denuncia (Saviano, Stella, Augias, ma anche Odifreddi, Allam, Pansa). E in mancanza di proposte coeve, rientrano in classifica i grandi classici.
Passato il ciclone Dan Brown, che per tre anni ha spadroneggiato nelle graduatorie dei libri più venduti, i lettori sembrano cercare nuovi beniamini, e i vertici della classifica ne risentono in modo benefico. La corsa al successo editoriale torna insomma a farsi più vivace e meno prevedibile, e di ciò non si può che rallegrarsene. Nondimeno, ai segni di dinamismo e di esuberante vivacità se ne affiancano altri più contraddittori che lasciano trasparire zone di ristagno o potenzialità non adeguatamente sfruttate.
Ma procediamo con ordine. A un esame d’insieme, sono due i dati che balzano maggiormente all’occhio. Da una parte, la singolare prestazione degli italiani che fra narrativa, saggistica e varia piazzano ben sette titoli fra i primi dieci classificati e quindici tra i primi venti (un risultato che arriva dopo una serie di annate ampiamente positive ma che conserva ugualmente quasi dell’incredibile). Dall’altra, una tendenza del pubblico a puntare su «valori» sicuri e accreditati, che premia due titoli non nuovi, già apparsi nella precedente stagione: Il cacciatore di aquiloni di Khaled Hosseini, primo con ben 1.909 punti, e Gomorra. Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra di Roberto Saviano, 1.502 punti.
La distanza rispetto agli altri classificati (tutti al di sotto dei mille punti) è molto considerevole, tanto più che sia il romanzo di Hosseini sia il reportage di Saviano sono opere prime, arrivate al successo contando inizialmente solo sulle proprie forze, senza il sostengo di una significativa campagna promozionale, avviata soltanto in un secondo tempo. Né hanno potuto trarre vantaggio dalle risorse del divismo d’autore, che pure ha un gran peso sulla fortuna editoriale di un’opera. Ciò conferma che i successi letterari seguono spesso itinerari insondabili, ai limiti della casualità, ma anche che le classifiche sono meno inaccessibili alle nuove proposte di quanto si voglia credere. Semmai, è vero l’opposto: il ricambio periodico è tanto inevitabile quanto funzionale alla vitalità del mercato.
D’altra parte, la storia dell’editoria italiana è piena di titoli che sono rimasti alla ribalta per lunghi o lunghissimi periodi: da Un uomo di Oriana Fallaci a 11 nome della rosa di Umberto Eco a Va’ dove ti porta il cuore di Susanna Tamaro, per arrivare ai più recenti Io uccido di Giorgio Faletti, Io non ho paura di Niccolò Ammaniti, Non ti muovere di Margaret Mazzantini, La ragazza con l’orecchino di perla di Tracy Chevalier e lo stesso Codice da Vinci di Dan Brown. Ce ne sarebbe abbastanza per chiedersi se i comportamenti dei nostri connazionali negli acquisti librari non siano in qualche modo condizionati da un radicato conservatorismo che, è vero, li espone meno ai richiami consumistici della logica del bestseller di stagione ma li rende per contro più dipendenti dalle mode del momento, indotte o impostesi dal basso.
Ma vediamo gli altri titoli della top ten. Al terzo posto si afferma Inchiesta su Gesù. Chi era l’uomo che ha cambiato il mondo di Corrado Augias e Mauro Pesce, con 998 punti, seguito da U ombra del vento di Carlos Ruiz Zafon, 988 punti; Scusa ma ti chiamo amore di Federico Moccia, 913 punti; Fuori da un evidente destino di Giorgio Faletti, 796 punti; La casta. Così i politici italiani sono diventati intoccabili di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, 790 punti; Mille splendidi soli ancora di Hosseini, 678 punti; Rivergination di Luciana Littizzetto, 678 punti, e Ragionevoli dubbi di Gianrico Carofiglio, 663 punti (i risultati sono ricavati, come sempre, dall’esame delle graduatorie settimanali realizzate dall’istituto Demoskopea assegnando 100 punti al libro più venduto della settimana e agli altri un proporzionale punteggio inferiore, e pubblicate su «Tuttolibri» dal 2 settembre 2006 al 4 agosto 2007).
Come si vede, le preferenze dei lettori vanno in primo luogo a una narrativa di indole psicologico-esistenziale, che non disdegna affatto gli intrighi avventurosi ma tende a filtrare i fatti attraverso la coscienza dei protagonisti. Poco importa se la scena è ambientata nel presente metropolitano o viene proiettata su uno sfondo storico più o meno lontano. Comunque questi romanzi affondano lo sguardo nei turbamenti di un Io problematico, che va cercando le sue verità interiori nel conflittuale e spesso penoso confronto con l’ambiente circostante in cui gli è toccato di vivere. Insomma, la storia di un’anima. In questa categoria si collocano testi peraltro eterogenei quali II cacciatore di aquiloni, Inombra del vento, Scusa ma ti chiamo amore, Mille splendidi soli, oltre che La cattedrale del mare di Ildefonso Falcones (undicesimo con 632 punti), Come Dio Comanda di Ammaniti (sedicesimo, con 473 punti), Inés dell’anima mia di Isabel Allende (trentesimo con 228 punti).
Tuttavia, ciò che più d’ogni altra cosa stupisce nella classifica della stagione 2006-2007 è quello che manca: il romanzo d’azione made in Usa, che con i suoi fitti intrighi e i suoi incalzanti ritmi ha contribuito in maniera determinante all’espansione del mercato librario in Italia, peraltro diversificandosi in un assortimento quanto mai ampio di generi e sottogeneri: legai thriller, techno, criminal, thriller politico-complottistico, fanta-thriller, thriller psicologico-spirituale, gangster story, spy story… Bisogna arrivare al ventisettesimo posto per trovare Innocente. Una storia vera di John Grisham (306 punti), mentre Crypto di Dan Brown si ferma al trentatreesimo (253 punti) e Hannibal Leder di Thomas Harris al cinquantasettesimo (151 punti). Solo in posizioni di media o bassa classifica incontriamo A rischio di Patricia Cornwell (84 punti); La ragazza di polvere di Michael Connelly (80 punti); La bambola che dorme di Jeffery Deaver (74 punti); Uafghano di Frederick Forsyth (58 punti); Il poeta è tornato di Michael Connelly (57 punti); La luna fredda di Jeffery Deaver (55 punti); Skeleton della canadese Kathy Reichs (37 punti); La storia di Lisey di Stephen King (32 punti); Prova d’appello di Scott Turow (17 punti); Next di Michael Crichton (9 punti).
Naturalmente, è probabile che ci troviamo di fronte a una fisiologica e solo momentanea fase recessiva che fa seguito all’ubriacatura delle stagioni trascorse dominate dalle alte e altissime tirature di Dan Brown e dei suoi emuli. Certo è che le predilezioni dei lettori sembrano essersi spostate o verso l’area di lingua spagnola (Ruiz Zafon, Falcones) o verso quegli autori di lingua inglese che, per le loro origini nazionali, si differenziano in modo considerevole dagli standard del romanzo angloamericano (Hosseini, Allende e Amos Oz, quest’ultimo ventunesimo con Non dire notte).
D’altro canto, è da osservare che, a fronte del relativo ridimensionamento del thriller, tiene bene il giallo all’italiana, più attento alle qualità di scrittura e all’approfondimento del carattere dei personaggi. Qui, d’altronde, il divismo d’autore torna a esercitare la sua influenza. Protagonisti del fenomeno sono infatti maestri della detection con un pregevole stato di servizio, più o meno di lunga data: Andrea Camilleri, Le ali della sfinge, Le pecore e il pastore, La pista di sabbia, Il colore del sole, Carlo Fruttero, Donne informate sui fatti-, Gianrico Carofiglio, Ragionevoli dubbi, Testimone inconsapevole, e Giorgio Faletti che, abbandonati i moduli romanzeschi d’oltreoceano delle prime prove narrative, con Fuori da un evidente destino si cimenta con gli schemi maggiormente acclimatati nella tradizione poliziesca italiana. Se si considera che ben cinque di questi titoli sono pubblicati da Sellerio, si potrà poi trarne una fondamentale lezione: il mercato dei successi non è affatto precluso agli editori piccoli, e per giunta periferici rispetto ai centri nevralgici dell’industria libraria, quando sanno investire in modo oculato e lungimirante.
Ma torniamo alle cifre. Proprio a causa dei mancati introiti del thriller, la compagine della narrativa straniera perde il primato che detiene da sempre nelle graduatorie, portando nei primi venti classificati solo tre titoli, contro i nove della narrativa italiana e i sei della saggistica (mentre varia e tascabili si devono accontentare di un titolo ciascuno). Se proviamo a sommare i risultati di tutti i libri che hanno fatto almeno un ingresso in classifica, la narrativa italiana totalizza 11.408 punti, la straniera 9.409, la saggistica 6.635, i tascabili 4.555, la varia 4.127, la narrativa per ragazzi 2.361 punti. Per i nostri connazionali si potrebbe parlare di vero e proprio exploit, se non fosse che alle luci si alternano immancabilmente le ombre. Nonostante l’eclatante score complessivo, i titoli italiani sono infatti appena 58 (che considerando le presenze multiple vuol dire 43 autori), contro i 95 della straniera, i ben 123 della varia, i 107 della saggistica e i 96 della narrativa per ragazzi. Se ne deve dedurre che, a dispetto di una generosa e addirittura insistente domanda, l’offerta continua a essere relativamente avara: pochi, troppo pochi rimangono gli scrittori disponibili al colloquio con il pubblico di massa. L’inevitabile conseguenza è che coloro che si avvicinano al mercato senza snobismi e pregiudizi fanno il pieno dei punti, che in altre aree merceologiche sono invece ripartiti più equamente fra una serie di proposte competitive fra loro.
Da sottolineare è poi il buon riscontro delle opere di saggistica, che in base alle preoccupazioni tematiche possiamo riunire in due raggruppamenti: da una parte l’interrogazione religiosa, dall’altra la denuncia politico-civile. Per quel che riguarda il primo filone, dopo la tempesta anarco-spiritualistica dei testi consacrati ai Templari, al Santo Graal e alle dotte congetture sui familiari di Gesù incentivate dai numeri da record del Codice da Vinci, l’impressione è che sia in atto uno sforzo proteso a rimettere ordine e a ribadire alcuni punti fermi. Non a caso l’attenzione si concentra soprattutto sul fondatore del cristianesimo di cui si occupano due opere diversamente autorevoli: Gesù di Nazaret di Joseph Ratzinger (diciottesimo con 408 punti) e Inchiesta su Gesù di Corrado Augias e Mauro Pesce (giornalista famoso il primo, biblista di prestigio il secondo). Entrambi i testi mirano anzitutto a ricostruire la figura storica dell’uomo Gesù, a cominciare dalle sue origini, dal suo ambiente, dalla lingua che parlava, dalle azioni compiute. Ma mentre il primo (come è giusto aspettarsi, dato il ruolo dell’autore, teologo e capo della Chiesa cattolica) ne mette in luce il destino trascendente per riaffermare il significato religioso e atemporale dell’esperienza cristologica, il secondo tende ad avvolgere la sua figura in un alone mitico che ne fa quasi un eroe solitario.
A tali testi si contrappone in un modo che non potrebbe essere più energico quello del filosofo e matematico Piergiorgio Odifreddi, Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici), diciassettesimo con 470 punti. Il ribaltamento della celebre affermazione crociana ne chiarisce del resto l’intento programmatico. L’ampio e articolato saggio muove, sì, da un’accurata indagine delle Scritture e della storia della Chiesa, ma lo scrupolo esegetico è posto al servizio di una passione militante di derivazione neoilluministica che, in contrapposizione al dogma cristiano, riconosce un diverso ma non meno esclusivo credo, quello della ragione scientifica.
Quanto alla saggistica politica, fatta eccezione per Viva Israele di Magdi Allam (che tuttavia si arresta in posizioni di bassa classifica), si registra una pressoché completa caduta di interesse per i drammi e le minacce politico-economiche della scena internazionale che, dopo il settembre 2001, avevano a lungo influenzato la produzione libraria. Archiviata, almeno nella galassia Gutenberg, anche la guerra in Iraq e i suoi angoscianti strascichi, l’attenzione torna insomma a focalizzarsi sui fatti e misfatti di casa nostra: il potere della camorra e la sua metamorfosi in comitato d’affari (a cui è dedicato il reportage di Saviano, che si inserisce meglio in questa famiglia che non in quella della narrativa dove viene solitamente rubricato); gli abusi dell’oligarchia politica e le sue esorbitanti spese (La casta)’, il degrado dell’informazione scritta e televisiva in Italia, sempre più intimidita e assoggettata alle lobby di potere (La scomparsa dei fatti di Marco Travaglio, ventesimo con 385 punti). In questo raggruppamento si inserisce legittimamente anche La grande bugia di Giampaolo Pansa, tredicesimo con 499 punti, terzo volume dedicato al censimento degli episodi di accanimento antifascista a guerra conclusa, ma sorretto da un intento polemico che guarda in realtà al presente. Lo scopo è infatti chiamare la sinistra postcomunista a ripensare criticamente le origini della nostra Repubblica per chiudere i conti lasciati in sospeso con il passato.
Sul versante della varia, si segnala invece il largo consenso ottenuto dalle caustiche note di costume di Rivergination, che riporta in auge il genere umoristico dopo una lunga assenza dai vertici delle classifiche. Il libro della Littizzetto tuttavia non costituisce se non un fortunato caso isolato. Siamo lontani dai fasti che questo genere ha conosciuto negli anni novanta e all’inizio del nuovo millennio grazie a una congerie di libriccini comici che sfruttavano la popolarità di una nutrita schiera di cabarettisti e battutisi televisivi. D’altra parte, il quadro presenta tinte ancora più fosche se si considera che gli scrittori tecnicamente più dotati hanno rinunciato da tempo a cimentarsi con i modi di un decoroso umorismo letterario che pure nel nostro paese ha una lunga e pregevole tradizione, da Achille Campanile a Giovannino Guareschi.
Nondimeno la voglia di ridere non sembra affatto tramontata. Piuttosto trova espressione in testi di carattere eterogeneo e diversa natura quale La classe fa la ola mentre spiego, una selezione dei contributi che gli studenti hanno offerto al blog «7 in condotta» inviando le note disciplinari ricevute per le loro infrazioni scolastiche. Sempre nella varia, un altro testo, di ben diverso tenore e profondità critica, richiama l’attenzione sulla vita nelle aule delle nostre scuole: Lettera a una professoressa. Edizione speciale «Quarant’anni dopo», che ripropone il celebre libro-manifesto di don Lorenzo Milani, accompagnato da una serie di documenti esplicativi e di testimonianze inedite, oltre che da una rassegna stampa del dibattito dell’epoca.
Proprio questo «classico» del Novecento offre l’occasione per una riflessione conclusiva sull’ingente numero di opere della tradizione letteraria antica e moderna che hanno fatto registrare almeno una comparsa in classifica. Si va dai classici latini e greci con testo a fronte (l’Iliade di Omero, i Lirici greci, Tutte le opere di Orazio) ai classici della letteratura medievale e moderna (la Commedia di Dante Alighieri in tre volumi, Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes, Poesie e prose di Giacomo Leopardi in due volumi), ai grandi romanzi dell’Otto-Novecento (La freccia nera di Robert Louis Stevenson, Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry, 1984 di George Orwell, Mattatoio n. 5 di Kurt Vonnegut).
Per quanto riguarda i moderni classici italiani, i prediletti sono quelli ormai istituzionalizzati dal codice novecentesco: La coscienza di Zeno di Italo Svevo; Il sentiero dei nidi di ragno, Il barone rampante, Il cavaliere inesistente, Il visconte dimezzato di Italo Calvino, Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il sergente nella neve di Mario Rigoni Stern, Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia. Ma non mancano titoli meno prevedibili quali Libera nos a malo di Luigi Meneghello.
Naturalmente, ci sarebbe da domandarsi quanto questi testi siano realmente letti per soddisfare i bisogni di ricreazione estetica e quanto invece non siano oggetti simbolici da esporre in salotto, secondo un costume un po’ old fashion ma non del tutto tramontato comune ai ceti di formazione umanistica. Non è da escludere tuttavia che, almeno in parte, il cospicuo numero di classici ad alte tirature non rifletta una reale insoddisfazione del pubblico che, non trovando l’appagamento che cerca nelle proposte degli autori coevi, ripiega sui grandi orditori di storie del passato vicino o lontano.