Libri che pungono la fantasia

In vent’anni, «Gl’istrici» hanno innescato una vera rivoluzione nel panorama della letteratura infantile in Italia. Autori come Roald Dahl, Astrid Eindgren, Tove Jansson e Christine Nostlinger hanno diffuso il gusto per i racconti estrosi, ironici, paradossali, disegnando un universo suggestivo di maghi, elfi, gnomi, streghe e principesse – ma anche un mondo sconosciuto di bambini e bambine terribili, ribelli e intraprendenti. E una nuova geografia letteraria si è imposta: sbilanciata verso l’Inghilterra e il Nord Europa, ma aperta anche a orizzonti extraeuropei, dagli Stati Uniti all’Australia. Con qualche stuzzicante ritorno in Italia.
 
L’ultimo elfo di Silvana De Mari (2004) è il duecentesimo volume di «Gl’istrici» Salani. Lo distingue dagli altri libri della serie una copertina brossurata verde pastello, quasi a segnalarne il valore di meta simbolica ma significativa nella storia ormai ventennale della collana.
E dei «libri che pungono», come recita la consueta nota di frontespizio, E ultimo elfo ha pure tutte le prerogative per essere collocato a pieno titolo nel catalogo: fa riferimento a un immaginario nordeuropeo, popolato di creature fantastiche, draghi, elfi e troll, in più lo evoca utilizzando costantemente una focalizzazione dal basso, che intercala il duplice punto di vista dei due protagonisti, il piccolo elfo, appunto, ultimo erede della sua stirpe, e un’orfanella, Robi. Ne risulta confermato un indirizzo ormai diffuso nella letteratura per l’infanzia dell’ultimo ventennio: l’adozione di una prospettiva «dalla parte del bambino», che, se implica una visione straniata del mondo adulto, facilita, tuttavia, l’immedesimazione agevole del piccolo lettore e lo abilita a interprete critico e consapevole del mondo circostante.
Il romanzo in questione porta la firma di una scrittrice italiana, Silvana De Mari, e la sua non è più una presenza isolata nel catalogo di una collana come «Gl’istrici», certamente nata all’insegna di un’esterofilia spregiudicata: l’affiancano altre firme ormai note di autori e autrici di casa nostra, non solo Roberto Piumini e Donatella Ziliotto, ma anche Silvana Gandolfi, Nicoletta Nava, Teresa Buongiorno, Guido Quarzo.
«Gl’Istrici» Salani nascono nel 1987 e, come ha ben scritto Faeti, «fanno subito notizia», anzi costituiscono il caso editoriale dell’anno: se ne occupano non solo gli specialisti del settore, ma anche riviste e quotidiani. L’effetto è quello di una scossa clamorosa che di colpo emancipa la letteratura per l’infanzia dal ruolo di produzione marginale e le attribuisce prerogative di qualità, anche a dispetto delle scelte di scrittura inevitabilmente funzionali alla fascia di lettori prescelta.
E, infatti, «Gl’istrici» si presentano subito come tascabili di qualità, indirizzando in tal senso un settore che presto si arricchisce di esperienze editoriali analoghe, dagli «Junior» Mondadori ai volumi del «Battello a vapore» di Piemme.
La qualità dei testi della collana esordiente è segnalata, innanzi tutto, dalle scelte grafiche e paratestuali, condotte, come evidenziano gli opuscoli promozionali diffusi dall’editore stesso, tutte all’insegna dell’essenzialità raffinata: volume in brossura con copertina a colori, carta giallina «riposante», caratteri grafici classici. In più il ricorso a un apparato di illustrazioni non invasive, in bianco e nero, affidate, però, a matite autorevoli, da Quentin Blake a Grazia Nidasio, spesso orientate a puntare sulla stilizzazione e sulla deformazione ironico-caricaturale dei tratti. Altre scelte risultano qualificanti e innovative: per esempio, la presenza in ogni volume di una nota biografica a portata di bambino sull’autore, di cui si indica sempre il paese di provenienza; ancora, una quarta di copertina accattivante, mirata a stimolare la curiosità del piccolo lettore.
Tutti segnali che rinviano a una direzione esperta, d’eccezione: l’anima degli «Istrici» è, infatti, Donatella Ziliotto, scrittrice triestina, di formazione mitteleuropea per tradizione familiare, ma giunta alla Salani, editore già attivo nella produzione per l’infanzia (si ricordi la collana «La Biblioteca dei miei ragazzi»), dopo un’esperienza pregressa sul duplice versante della scrittura e dell’editoria per ragazzi. Va segnalata in particolare la direzione di alcune collane per l’infanzia presso la casa editrice Vallecchi di Firenze, tra cui spicca «Il Martin Pescatore» (1958), la prima a pubblicare autori come Astrid Lindgren, Tove Jansson, Michael Ende, Mary Norton, allora tanto sconosciuti al pubblico italiano quanto apprezzati dal gusto eccentrico della scrittrice triestina. A tale esperienza editoriale, già significativa, si aggiunge l’attività svolta, a partire dal 1970, come programmatrice-regista di programmi per l’infanzia presso la Rai, proprio negli anni in cui la «Tv dei ragazzi» è un laboratorio di sperimentazione assai fertile, grazie alla collaborazione di attori, scenografi, musicisti e noti scrittori per bambini.
Giunta alla Salani, la Ziliotto vi convoglia l’apertura coraggiosa ad autori nuovi, già sperimentata negli anni del «Martin Pescatore», e l’attenzione per il ritmo della scrittura e della narrazione maturata nel periodo dell’attività televisiva. Di qui la rivoluzione degli «Istrici», la cui forza d’urto non dipende soltanto dall’accuratezza della veste grafica coniugata alla scelta del formato tascabile. La collana si impone all’attenzione del pubblico e della critica grazie alla proposta di autori nuovi, quasi tutti stranieri e, in buona parte, provenienti dall’Europa centrosettentrionale con una preponderanza spiccata dell’area angloscandinava. Fanno così la prima comparsa in Italia o vengono rilanciati con successo autori oggi noti come punti di riferimento della letteratura infantile dell’ultimo ventennio: non solo Astrid Lindgren, ma anche Tove Jansson, Christine Nostlinger, Mary Norton, Jaqueline Wilson e soprattutto Roald Dahl.
È, infatti, innegabile che l’impatto dirompente della nuova collana della Salani sia dovuto alla «scoperta» della narrativa di Roald Dahl su cui i primi «Istrici» puntano con decisione. L’autore inglese, di cui già le edizioni Emme avevano proposto con scarso successo un romanzo, viene rilanciato dalla Ziliotto all’esordio della collana e divide con Astrid Lindgren i primi titoli del catalogo. Nasce, come si diceva, il «caso Dahl» che, secondo un percorso insolito per la letteratura infantile, diviene un «caso letterario», di cui discutono anche i critici, dividendosi tra ammiratori e detrattori. E Dahl a inaugurare un nuovo stile della letteratura per l’infanzia, in cui l’estro fantastico si combina con un umorismo sottile e paradossale. E lui a «fare tendenza» sino a determinare l’imporsi di una «maniera».
Proprio a partire da Dahl, i cui testi più famosi – da Le streghe a La fabbrica di cioccolato – divengono dei veri e propri longseller della collana, «Gl’istrici» finiscono con l’imporre in Italia un nuovo canone di classici per l’infanzia, nel cui ambito gli autori irrinunciabili si chiamano non solo Dahl, Lindgren o Karin Michaèlis ma anche Christine Nostlinger, Jaqueline Wilson, Eva Ibbotson, Paul Van Loon. Con tale operazione la nuova collana traccia i confini di una geografia della letteratura per l’infanzia del tutto singolare per l’esperienza italiana: è la linea angloscandinava che, lungo l’asse Dahl-Lindgren, si arricchisce di altri autori, sconfina nell’area germanica e dell’Est europeo e, infine, si apre alla produzione extraeuropea. Si tratta di una geografia non casuale ma delineata sulla scorta di un indirizzo preciso di gusto, che in Europa guarda con maggiore simpatia alla produzione nordeuropea, e fuori dal vecchio continente non solo privilegia terre tradizionali d’esportazione di prodotti per l’infanzia come gli Stati Uniti, ma scopre anche nuove aree d’interesse per la letteratura infantile, come l’Australia e la Nuova Zelanda. Certo l’apertura verso la produzione extraeuropea sembra privilegiare, comunque, il gusto e la cultura anglosassoni ma, pure, contribuisce all’affermarsi anche in Italia di una dimensione «globale» nella letteratura per l’infanzia dell’ultimo ventennio.
Del resto, la prospettiva geografica ad ampio raggio non limita anzi esalta l’uniformità di gusto dei titoli proposti. Ed è proprio tale compattezza a fornire un’identità riconoscibile a una collana come «Gl’istrici», subito affiancata da esperienze analoghe di altri editori italiani, anch’essi interessati alla grande tradizione del romanzo occidentale, dal ritmo veloce ma dalla misura ampia. Eppure rispetto ai cataloghi coevi di altre collane tascabili per ragazzi le proposte degli «Istrici» presentano caratteri distintivi significativi. Tanto per cominciare, pur rivolgendosi presumibilmente a una fascia di lettori dagli otto anni in su – per i più piccoli la Salani avvia negli stessi anni un’altra collana, «I criceti» – non esibiscono in modo esplicito un’articolazione per fasce d’età; anzi, si definiscono provocatoriamente letture adatte «dagli otto agli ottant’anni», quasi a suggerire l’ipotesi di una lettura condivisibile da adulti e bambini, giustificata dalla qualità «alta» dei modelli di scrittura proposti.
Non presentano neppure una distinzione per generi: i romanzi degli «Istrici», piuttosto, attraversano trasversalmente la letteratura di genere, dal fantasy al romanzo storico al racconto del mistero, riprendendone liberamente e, spesso, in chiave ironica, motivi e convenzioni.
A configurarsi come tratto unificante e qualificante della collana è, invece, un’opzione di stile allusa dallo stesso motto che la identifica: «Gl’istrici» sono i «libri che pungono la fantasia» perché applicano alla dimensione fantastica i diversi registri della comicità, dall’umorismo irriverente all’ironia provocatoria sino alla parodia di genere. La partita con il sentimentalismo patetico e il moralismo ispirato a sani principi pedagogici di tanta letteratura per l’infanzia sembra chiusa per sempre di fronte al dispiegarsi di un immaginario estroso ed effervescente, attinto spesso a un universo fantastico di matrice nordica, riplasmato, però, alla luce di umori caustici e bizzarri.
Al centro delle varie storie «istriciane» campeggia una nuova fisionomia di eroe infantile, destinato a un seguito fortunato: i piccoli protagonisti dei romanzi di Dahl, Michaèlis, Lindgren fanno scuola e i cataloghi italiani dei libri per l’infanzia si popolano di bambini «terribili», ribelli, intraprendenti, spregiudicati, capaci di prendersi la rivincita sull’ipocrisia del mondo adulto.
Attingendo allo scenario assai vasto della produzione per ragazzi europea ed extraeuropea, «Gl’istrici» esaltano la funzione autoriale, puntando sulle specificità stilistiche riconoscibili dei singoli scrittori, ma fanno riferimento comune a un patto narrativo totalmente rinnovato. A fondarlo è, come si è detto, la netta propensione per una prospettiva dalla parte del bambino, dalla parte dei piccoli eroi intraprendenti e marginali dei romanzi di Roald Dahl, delle bambine coraggiose e anticonformiste come Pippi e Bibi, delle orfanelle caratteriali dei romanzi di Jaqueline Wilson. La visione straniata che ne consegue si rivela forse disincantata ma mai cinica, anzi disposta a puntare sui valori che contano e sulle relazioni affettive recuperabili, magari con coetanei disponibili, come gli amici di Pippi Calzelunghe, o con adulti eccentrici come i nonni, le nonne, i padri cacciatori di frodo dei romanzi di Dahl. Non basta: l’adozione del punto di vista dei piccoli può produrre altri effetti originali di straniamento, dalle atmosfere ambivalenti dei romanzi di Silvana Gandolfi, forse la scrittrice italiana più rappresentativa della collana, alle soluzioni inedite e ai giochi prospettici suggestivi delle storie fantasy di Teresa Buongiorno e di Silvana De Mari.
Il piccolo lettore non è più paternalisticamente istruito ma chiamato a svolgere un ruolo critico e attivo: è la linea della «trasgressività» e dell’«antipedagogismo» che «Gl’istrici» contribuiscono ad affermare in modo definitivo fino a renderla un presupposto irrinunciabile delle scelte letterarie proposte alle giovani generazioni. Lo slogan promozionale che definisce «Gl’istrici» la collana che ha formato una generazione coglie nel complesso nel segno. Ai «libri che pungono» va infatti riconosciuto il merito di aver promosso tra i ragazzi la lettura come esperienza ludica e persino liberatoria, e forse qualche volta anche il rischio di aver gratificato troppo i gusti raffinati dei loro educatori liberali.
E indubbio che a vent’anni di distanza dalla pubblicazione negli «Istrici» dei primi libri di Dahl, la comicità provocatoria, gli umori bizzarri e l’ironia spregiudicata appaiono ormai espedienti ancora apprezzati ma codificati, non più riconducibili a scelte eversive. Lo stile degli «Istrici» si è imposto un po’ su tutta la produzione per l’infanzia diffusa in Italia, e risulta difficile immaginare oggi che i nostri bambini leggano libri diversi dal genere di racconto veloce, estroso ed effervescente cui ci ha abituati il cliché della collana.
Il successo degli «Istrici» tiene, anzi è anche rilanciato da alcuni eventi massmediatici (il film recente di Tim Burton tratto da La fabbrica di cioccolato di Roald Dahl, per esempio) ma lascia trapelare anche qualche segno di stanchezza.
Le difficoltà riguardano l’incremento del catalogo con titoli fedeli al gusto dominante della collana: il repertorio dei «libri che pungono la fantasia» è ricco ma non inesauribile, disponibile ormai alla concorrenza e costretto a fare i conti con l’imporsi, soprattutto all’estero, della produzione seriale per ragazzi. Così, i nuovi settori di ricerca, per il momento, sembrano orientarsi in due direzioni: l’attenzione rinnovata alla produzione italiana, che ha ormai imparato bene la lezione degli autori stranieri, e il ripiego verso operazioni di repechage intelligente, come il recente inserimento nel catalogo di uno dei primi testi «rivoluzionari» della narrativa per ragazzi, Bibi una bambina del Nord di Karin Michaèlis o la proposta di un classico rivisitato, Il giardino segreto di Frances Hodgson Burnett, l’autrice del Piccolo Lord. Del resto l’esperienza ormai ventennale degli «Istrici» ha permesso il costituirsi di paradigmi codificati di lettura e di rilettura, capaci di reperire libri «stuzzicanti» lungo percorsi non ancora esplorati fino in fondo: le vie della nuova produzione nostrana e le sorprese «pungenti» che anche la tradizione può riservare.