Sveva Casati Modignani è il più bel personaggio inventato dai coniugi Cantaroni. Costruisce romanzi graditissimi a milioni di lettrici; gestisce le vite di decine di personaggi per volta; ha un modo di narrare affabile e disteso. E guarda alle vicende del passato e del presente con occhio progressista. Da oltre vent’anni è lei, la signora italiana del besteller, la garanzia e l’emblema della serenità consapevole e pacificata che il pubblico ricerca (e trova) nei testi che portano la sua firma.
La signora in tailleur e filo di perle dal sorriso dolce e intelligente ritratta sulle copertine di ogni suo romanzo è in realtà solo metà Sveva. Ci sono infatti quattro mani, ma soprattutto due teste, dietro i bestseller da cinquecento pagine divorati da centinaia di migliaia di lettrici ogni volta. In poco più di vent’anni, da Anna dagli occhi verdi (1981) all’ultimo 6 aprile ’96 (2003), sedici romanzi per quasi nove milioni di copie vendute complessivamente, da cui sono stati tratti film e sceneggiati televisivi di successo.
La signora fotografata è Bice, moglie dell’other side di Sveva, l’ex giornalista Nullo Cantaroni. Interessante il fatto che nell’operazione commercial-letteraria si sia optato per uno pseudonimo femminile dal carattere aristocratico austeramente altisonante. L’identità della figura autoriale, propagandata a caratteri cubitali sulle copertine della Sperling & Kupfer (non c’è rapporto tra l’evidenza sfacciata del nome dell’autore e la sobria discrezione con cui viene enunciato il titolo del romanzo), trova convalida ulteriore in altre strategiche zone paratestuali: la foto in bianco e nero sul retro di copertina e i Ringraziamenti premessi alla narrazione, in cui una (non due) voce in prima persona palesa la sua gratitudine nei confronti di amici e conoscenti che le hanno offerto gli spunti – reali – per le storie raccontate; di specialisti in vari settori e discipline che le hanno consentito di approfondire alcuni argomenti; degli editor della Sperling & Kupfer per la loro collaborazione preziosa.
Pare dunque che il pubblico delle lettrici si disponga più volentieri a calarsi in un universo romanzesco plasmato da una donna, costitutivamente portatrice – come loro – di una sensibilità tutta femminile: a conferma che nelle dinamiche editoriali della domanda e dell’offerta l’immagine che si ha dell’autore, altro che se conta.
Proviamo allora a descrivere le caratteristiche contenutistiche e strutturali di questi romanzoni neopopolari, che mostrano di non avere parentela alcuna con la produzione letteraria italiana, riconoscendosi piuttosto cugini delle narrazioni d’evasione alla Harold Robbins o alla Wilbur Smith, il sudafricano scrittore di romanzi d’avventura, molti dei quali compongono avvincenti saghe familiari. Anche nel caso di Sveva Casati Modignani le storie raccontate – dinamizzate da potere, denaro, amore, sesso, sentimenti, sogni, ideali – sono intricate, ricche di colpi di scena drammatici, e tuttavia rigorosamente a lieto fine, con la giusta ricompensa che premia i buoni e l’adeguata punizione riservata ai cattivi. Il punto interessante è che però l’epilogo, sebbene lieto, non riesce mai a neutralizzare completamente un certo quoziente di problematicità, inerente alle scelte degli individui e alle sorti della collettività, che garantisce alle opere in questione uno spessore sconosciuto alla maggior parte della narrativa d’evasione (quella destinata al pubblico femminile specialmente) in circolazione.
La struttura messa a punto dagli autori di volta in volta (caratteristica fin dall’esordio di Anna dagli occhi verdi) prevede che a inizio di romanzo un personaggio, nella quasi totalità dei casi femminile, venga colto in un momento critico della sua esistenza, quando per diversi motivi si trova costretto a dover «riflettere e tentare di rimettere ordine nella propria vita» (Vaniglia e cioccolato). Scatta dunque un processo di autocoscienza che ha come obiettivo la maturazione personale e la guarigione dall’insoddisfazione, e come metodo il recupero memoriale del passato familiare, attraverso le storie di genitori, nonni e avi ancora più lontani nel tempo. Perché spesso la sofferenza attuale è causata da ferite di ieri che si è tentato di camuffare con cosmetici superficiali o di rimuovere dalla coscienza, invece di considerarle con lucida consapevolezza. Ciò vale sia sul piano personale che su quello storico.
Stando così le cose, si capisce la centralità dello sforzo di ricordare compiuto dai protagonisti, e al contempo la ragione di una struttura che alterna parti ambientate nel presente – del personaggio e del lettore – a parti che rievocano un passato più o meno remoto. Nella convinzione che «è importante ricordare», la Thea di Vicolo della Duchesca alla vigilia dell’ultimo giorno del 1999 si abbandona alla rammemorazione della storia della propria famiglia a partire dal 1910. Così come Anna, nell’omonimo Anna dagli occhi verdi, nel 1980 ha un’occasione importante per ripensare al proprio passato, inscindibile da quello del padre, e viaggia a ritroso nel tempo fino al 1897.
L’arco cronologico considerato nei romanzi si estende a più generazioni e negli esiti più interessanti attraversa l’intero Novecento. Intrecciando le vicende private dei personaggi ai grandi eventi pubblici, il congegno narrativo prevede un indugio particolare sui momenti più critici del secolo appena trascorso: al lettore viene così offerta l’occasione di rinfrescare la propria memoria storica sulla prima guerra mondiale, il formarsi e consolidarsi del fascismo, il Ventennio del regime, la seconda guerra e i problemi del dopo; sulla questione sociale mai veramente risolta; sulle trasformazioni del paese e l’evoluzione dei costumi. Non è cosa da poco, per un genere di romanzo che si vorrebbe puramente d’evasione. Anche perché il punto di vista che orienta la narrazione non indulge a trasporti nostalgici né a sorridenti ottimismi sul nostro presente nazionale. E la critica nei confronti del fascismo – quasi una costante nelle opere dei Cantaroni – è feroce e senza cedimenti, come a dire che il ricordo di quell’esperienza non deve essere cancellato né dolcificato da filtri revisionistici.
In gran parte dei casi le vicende sono ambientate in Lombardia; in particolare a Milano, città che gli autori conoscono bene: le storie dei vari personaggi, umili e potenti e appartenenti a diverse generazioni, consentono la rappresentazione di una notevole varietà di spazi: domestici, privati, pubblici, lavorativi, istituzionali. Ne risulta una sorta di mappatura della capitale lombarda, tendente a mettere in risalto le trasformazioni che nel corso del Novecento ne hanno cambiato la fisionomia, facendo della Milano dei vecchi quartieri la metropoli multietnica che attualmente è. E in ogni caso i luoghi sono fondamentali, in questi romanzi. Spesso offrono l’occasione che attiva l’intero intreccio, quando edifici del passato – carichi di storia e delle storie degli individui che li avevano abitati – si ritrovano al giorno d’oggi in vendita, in balìa di speculatori rapaci e immobiliaristi senza scrupoli (come il castello di Merano del Vicolo della Buche se a, l’abbaino in zona Brera di Lezione di tango, l’abbazia di 6 aprile ’96). Per fortuna l’happy end prevede che qualcuno tra i protagonisti stessi riesca a riscattare quelle proprietà, salvando la memoria del passato.
È vero che generalmente questi romanzi hanno più protagonisti, di entrambi i sessi; tuttavia il punto di vista del narratore, solidale con quello femminile, fa sì che i personaggi di primo piano siano donne. A seconda dei casi, le storie raccontate appartengono a più donne della stessa famiglia, madri nonne bisnonne, secondo una successione matrilineare; oppure a donne che, benché di estrazioni sociali diversissime, sono destinate a legarsi di un’amicizia speciale (come in Lezione di tango l’anziana outsider Matilde, diseredata e respinta dal suo mondo, e Giovanna, l’affascinante antiquaria quarantenne; o in Vicolo della Duchesca la popolana Teresa, proveniente da un misero «basso» napoletano, e la contessa Josepha Paravicini con il suo castello tirolese). L’insieme di queste storie, per le vicende rappresentate e le caratterizzazioni dei personaggi, rivela quale sia effettivamente l’asse portante dell’impianto romanzesco: la questione femminile, come si è venuta configurando nelle diverse fasi storiche, e la lotta in cui la donna si è dovuta impegnare per riuscire a conquistare una dignità riconosciuta pari a quella maschile. Nell’imbarazzo della scelta tra gli innumerevoli esempi che si potrebbero citare al riguardo, basti riassumere che le donne del passato (ma di un passato anche piuttosto recente) hanno sempre dovuto subire la loro sorte; mentre le donne del presente hanno la fortuna di poter decidere di sé e del proprio futuro, autonomamente, nell’ambito professionale come in quello privato della realizzazione sentimentale. Ma è il caso di precisare che le eroine di questi romanzi, sebbene fortemente condizionate dalle convenzioni sociali vigenti, si segnalano sempre per una buona dose di anticonformismo che le porta a compiere delle scelte responsabili spesso poco corrette dal punto di vista della morale corrente, in nome di una ricerca di autorealizzazione autentica, che rifugga da ogni accomodamento ipocrita. L’obiettivo supremo è il raggiungimento della serenità, che infatti è parola-chiave in ogni nuovo libro di Casati Modignani.
Si rende dunque ben percepibile, in questi romanzi, anche una dimensione pedagogica, educativa, intesa a convincere chi legge che il bene del singolo individuo deve essere strettamente connesso con il bene comune; e volta a rafforzare nel lettore nientemeno che l’idea di democrazia. L’antico tutore di Josepha in Vicolo della Duchesca ammonisce lei (ma con lei anche il lettore): «Bada ai tuoi figli. Fai in modo che non assimilino questa cultura dell’intolleranza.
Lo spirito dell’uomo deve essere educato alla libertà, alla comprensione e al rispetto per i suoi simili».