La Legge sul libro rimane ancora nel cassetto e gli editori italiani decidono di fare a meno dello Stato in tema di promozione della lettura. Resta sempre in sospeso la questione del prezzo fisso e di cosa realmente significhi. In tutta Europa le catene librarie si espandono, cambiano le relazioni e i pesi tra gli attori della filiera editoriale e le priorità dei problemi. All’indomani degli Stati Generali, appare evidente che l’editoria italiana potrebbe imboccare nuove strade, ma non sarà facile conciliare interessi e obiettivi molto diversi.
«Grazie al prezzo fisso dei libri, noi tedeschi abbiamo venticinque titoli sugli spaghetti, mentre quei poveri americani ne hanno solo tre» scherza Christian Sprang, avvocato del Borsenverein, la potente associazione di editori e librai tedeschi al timone del principale mercato librario europeo.
Per quanto si tratti di una battuta, quella di Sprang è un concentrato di cose serie perché riassume, a partire dalla controversa questione sui legami tra regolamentazione del mercato (prezzo fisso) e varietà della proposta culturale, tutti i grandi temi sui quali si sta misurando l’editoria libraria nazionale e internazionale: leggi, commercio, politica culturale, promozione della lettura.
I temi al centro del dibattito sono tutti interconnessi; cambiando la prospettiva dalla quale li si osserva, cambia la scala di valori e quindi la priorità e il peso di argomenti come il limite massimo di sconto, l’espandersi delle grandi catene, la concentrazione editoriale, i libri allegati ai giornali, le strategie per conquistare nuovi lettori e quindi allargare il mercato.
Il 2004 è stato testimone di alcune dichiarazioni d’intenti, di nuovi progetti e di tendenze che non lasciano molti dubbi sulla direzione presa dal mercato del libro nel suo complesso e dai singoli mercati nazionali con le loro specificità.
Partiamo da queste.
La politica del prezzo
La politica del prezzo è il crinale tra i principali mercati editoriali occidentali. Da una parte Stati Uniti, Regno Unito, Irlanda, Finlandia, Svezia, con un regime di prezzo libero; dall’altra tutti gli altri stati, in prevalenza con numerose varianti sul prezzo fisso.
Italia. L’argomento ci tocca da vicino. Con il 31 dicembre 2004 è scaduta l’ultima delle numerose proroghe al periodo di sperimentazione sulla limitazione dello sconto (Legge 62/2001, art. Ile successive modifiche). Tra la scrittura di questo articolo (inizio novembre 2004) e il momento in cui sarà letto, possono essere successe tre cose: a) non c’è stata alcuna proroga, cade l’efficacia della legge e ci troviamo «virtualmente» in un regime di prezzo libero; b) una nuova normativa prolunga il periodo di sperimentazione, e tutto resta, temporaneamente, come prima; c) si applica la normativa in vigore a titolo definitivo. Normativa che, grosso modo, permette agli editori di avviare promozioni (sconti) senza particolari limiti di tempo, tramite la variazione del prezzo di copertina e ai librai di avviare le promozioni in armonia con le normative regionali in materia di commercio.
Europa. 455 milioni di persone. Oggi è la più grande area politica e commerciale dell’Occidente; ma con 25 paesi e una ventina di lingue possiamo dire che esisterà un’area comune per l’industria libraria? Eppure, tra i doveri dell’Unione Europea ci dovrebbe essere anche quello di armonizzare le regole della concorrenza nei mercati e, quindi, anche la questione del prezzo. Fisso o libero?
L’obiettivo politico del prezzo fisso, per come è concepito dalla legge Laing – la più longeva (vent’anni) e la più imitata tra le leggi al riguardo – è quello di garantire la pluralità dell’offerta culturale e la difesa delle piccole e medie librerie. Nei cinque principali mercati europei, Regno Unito, Germania, Francia, Italia, Spagna, indipendentemente dalla legislazione sul prezzo, il numero delle novità librarie su base annua è stabile o in crescita e le piccole librerie stanno chiudendo ovunque: solo la Francia ha programmi pubblici e privati per sostenerle. Inoltre, la presenza o meno del prezzo fisso non condiziona l’andamento dei singoli mercati, i cui fatturati complessivi crescono o flettono indipendentemente da questa variabile. Quindi, di cosa stiamo parlando?
Prezzo o assortimento
La vera distinzione da fare sarebbe tra mercati dove la competizione è centrata sul prezzo e mercati dove è centrata sull’assortimento. Prezzo libero per i primi, prezzo fisso per i secondi. Però, le ragioni che hanno ispirato l’applicazione di una legge per «fissare il prezzo» – più precisamente, il limite massimo di sconto al cliente finale – hanno ormai poco riscontro con quello che succede nella realtà commerciale. E vero che nei mercati dove il prezzo è libero si compete di più sullo sconto al cliente finale, come è evidente negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Ma bisogna considerare che la competizione sia sul prezzo sia sull’assortimento ha il suo snodo nei rapporti tra editore/distribuzione e canali di vendita.
Al tempo stesso, molte piccole librerie chiudono non solo per la concorrenza delle catene o della grande distribuzione, ma anche per i costi dell’affitto e del personale, perché non possono permettersi più una posizione nelle grandi vie di passaggio, e talvolta per una cattiva gestione. Errori gestionali hanno del resto messo in ginocchio anche una grande catena inglese come WH Smith.
La varietà della proposta culturale è sempre alta, almeno a giudicare dal turnover delle piccole case editrici e dal numero delle novità pubblicate annualmente. Volendosi proprio mettere nella prospettiva di chi ancora giudica la pluralità della proposta in pericolo, la questione è piuttosto come le novità arrivano nel canale distributivo: quanti nuovi titoli arrivano effettivamente nei canali di vendita, in quale quantità per numero di copie, quanto tempo restano in media a disposizione del pubblico.
In tutti i paesi, indipendentemente dalla politica del prezzo adottata, la maggior parte delle grandi catene sono in crescita. Crescono i fatturati, crescono meno i margini, ma cresce soprattutto il loro potere all’interno della filiera. Il 2004-2005 rappresenta un vero giro di boa per almeno due ragioni: la diffusione di format commerciali molto simili a livello europeo e l’affermarsi di precise politiche gestionali.
Format. Cresce in tutta Europa il numero dei superstore, ovvero negozi di grande estensione che non vendono solo libri ma anche musica e video. In tutta Europa, nelle librerie generaliste di catena (quelle che vendono solo o prevalentemente libri), si sono allargati gli spazi a banco, le promozioni sono sempre all’entrata, si sono ridotti gli scaffali ed è scomparsa la divisione per editore. Fra Waterstones (Regno Unito), Hugendubel (Germania) e Feltrinelli, solo per fare alcuni esempi, le differenze sono poche. Anche tra catene più orientate sul mass-market, Weltbild in Germania, WH Smith nel Regno Unito per arrivare a Gulliver (Mondadori Franchising) o a Giunti al Punto (Giunti), le differenze sono nel marketing sul punto vendita e nelle merci vendute, ma per quanto riguarda i libri l’assortimento è molto simile.
Politiche gestionali. Legate alle peculiarità dei singoli mercati, le politiche gestionali e commerciali delle principali catene librarie europee non sono uniformi, ma convergono su snodi fondamentali.
Nella gestione – che si riflette direttamente nel tipo di offerta al pubblico – assistiamo a una generale riduzione dello stock: meno titoli (fino al 25% rispetto a tre anni fa), meno copie a titolo (per tutti i titoli che non sono palesemente dei bestseller) e riassortimenti più frequenti. Alcuni operatori spiegano che il costo maggiore per riassortimenti più frequenti sono compensati da costi minori per gestire la movimentazione di meno referenze (titoli) e di rese più contenute. Resta il fatto che i rapporti commerciali delle catene con la distribuzione e gli editori sono a un importante punto di svolta, delineato con evidenza negli ultimi anni. Gli acquisti centralizzati stanno diventando una pratica comune, da Waterstones a Feltrinelli, che ha iniziato a imporli con più frequenza a partire dalla fine del 2004. Questo vuol dire che la distribuzione, e quindi gli editori, avranno sempre di più come principali interlocutori non i responsabili delle librerie (indipendenti o di catena) ma i buyer delle catene e della grande distribuzione. Il promotore, la rete vendita, potrebbero diventare nel giro di poco tempo una razza in via di estinzione. Waterstones, per esempio, ha prima ridotto le visite e poi chiuso le porte alla forza vendita, utilizzando per i riassortimenti un sistema telematico. Gli editori dovranno sempre più «negoziare» titoli, tirature, sconti e modalità del sell in con i potentati del retai! Sono questi cambiamenti nei rapporti commerciali che potrebbero portare a una possibile riduzione della pluralità dell’offerta; una riduzione che tuttavia potrebbe essere avvertita dagli editori con una riduzione delle copie a titolo, ma poco rilevante in termini di vivacità culturale. Di cosa parliamo, allora, quando parliamo di prezzo fisso?
Questi cambiamenti in atto, sono e saranno totalmente indipendenti da una legislazione che stabilisce un tetto massimo di sconto per il cliente-lettore, visto che la partita la si sta giocando tra editori e cliente-libreria. E in questi rapporti nessuno stato moderno, democratico e non autoritario, dovrebbe metterci il becco. La stessa Unione Europea ha più volte trovate da ridire, attraverso l’Autorità garante della concorrenza, sul concetto stesso di prezzo fisso. Perché, in presenza di una legge che regola lo sconto massimo al cliente finale, il prezzo lo decide il produttore, ovvero l’editore? La questione è delicata e non ha equivalenti in altri settori merceologici.
Al tempo stesso i prodotti culturali nel loro complesso sono un sistema sempre più fragile, ed è doveroso chiedersi se deve essere protetto e, nel caso, come. «L’exception culturelle» – la difesa francese delle caratteristiche del proprio sistema-cultura, recentemente fatta propria anche dalla Spagna – suona però anacronistica se utilizza solo gli strumenti legislativi, peraltro piuttosto inadeguati nella loro attuale formulazione.
Al tempo stesso, se i prodotti culturali, e con il libro anche cinema, teatro e musica, hanno bisogno di un’eccezione a livello di politica europea, questa è, per molti stati, una «normale» politica culturale, che parte dalla scuola e arriva alla piccola compagnia teatrale.
Ed è sull’assenza di una politica culturale, eccezione o norma fa lo stesso, che l’Italia mostra il suo disarmante ritardo, l’indifferenza di chi la governa e di chi l’ha governata. Restiamo sui libri: nessun governo della prima e della seconda repubblica, di sinistra o di destra, è stato capace di varare una Legge sul libro, così come un’efficace riforma della scuola.
La questione italiana
Lo scorso settembre l’Aie convoca gli Stati Generali dell’Editoria: sul piatto la Legge sul libro, la promozione della lettura, le biblioteche e il diritto di prestito, l’editoria scolastica, la difesa del diritto d’autore e dunque la lotta alla pirateria. Tra gli invitati i ministri Urbani (Beni Culturali, ministero a cui compete l’editoria libraria), Moratti (Istruzione) e Gasparri (Comunicazioni): il convegno è in parte organizzato per loro, per avere una risposta chiara e pubblica su come il governo intende affrontare i problemi del libro. La premessa, nelle parole del presidente dell’Aie Federico Motta, è di non chiedere al governo e al parlamento «né privilegi, né elargizioni di risorse, né protezioni. Siamo troppo orgogliosi per farlo, e troppo gelosi di una libertà intellettuale e di gestione a cui non intendiamo rinunciare, come invece forse dovremmo se ricevessimo aiuti». La richiesta è quella di definire «condizioni entro le quali operare, correlando strettamente le nostre richieste a un interesse generale quali sono la crescita della cultura nel nostro paese, l’allargamento della platea dei lettori, il rafforzamento di una identità che quanto più è forte tanto più è capace di aprirsi alla diversità, senza il timore di esserne snaturata».
La risposta dell’onorevole Giuliano Urbani merita di entrare negli annali, fin dalle prime parole: «Rispetto ai libri confesso la mia quasi totale ignoranza in materia di editoria». Il ministro, insomma, non si è preparato. Non sembra abbia idea che si sta parlando del ruolo e del valore strategico del libro, della lettura e dell’editoria nel panorama culturale nazionale e internazionale. Infatti, Urbani dice che la priorità dei servizi pubblici viene prima di quella di servizi privati (l’editoria libraria) che «pur svolgendo una funzione delicatissima […] hanno i bilanci in regola». E, tentando una spiegazione, inciampa subito in quella che definisce da sé come una battuta: «…insomma il fatto che il presidente del Consiglio in carica sia il presidente di una casa editrice (è la figlia Marina, ma poco importa, N.d.A.) probabilmente lo porta a conoscenza dei meccanismi di formazione del bilancio di una casa editrice; non è escluso che anche questo rappresenti un fattore, invece che di accelerazione, di freno». Ma di cosa sta parlando? Veramente Berlusconi gli ha detto «le case editrici vanno bene, si arrangino?».
Non conta, evidentemente, che il nostro mercato «sia caratterizzato da una sempre più modesta velocità di crescita (1-2% a valore)», come evidenzia Dalla domanda di lettura alla domanda di cultura, la ricerca preparata appositamente dall’ufficio Studi dell’Aie per il convegno, che il ministro aveva sotto il naso e dice anche di aver letto. Una crescita (+1,8% a valore corrente, 2003 su 2002) che non recupera l’inflazione, «che impedisce il recupero delle distanze che ci separano da paesi e mercati tradizionalmente più sviluppati e vede minacciata la propria presenza competitiva all’interno dello scenario internazionale dell’industria dei contenuti editoriali».
Urbani prosegue con alcune perle. Come «spunto di riflessione» suggerisce di pubblicare in inglese per allargare il mercato all’estero; fa confusione sul diritto di prestito bibliotecario (gli editori non vogliono un ticket a carico dell’utenza, chiedono solo una regolamentazione, come dalle direttive dell’UE); dice che «Le trasmissioni che oggi utilizzano i libri in televisione sono pericolose per voi perché sono quelle che confinano il libro nello zoo»; auspica la crescita dell’editoria d’arte perché di «un’importanza enorme», almeno dal punto di vista del suo ministero; invita a vendere i libri in Cina; è ambiguo sulla pirateria che paragona, quando fatta dal singolo, al furto di una mela, e quindi perdonabile: un mirabile modello educativo. Il succo del discorso alla fine è: impegni zero, risorse non ce ne sono. La promozione della lettura e la Legge sul libro restano nel cassetto.
Il ministro Moratti è più sintetica, ha già portato a termine una riforma della scuola contestata da tutti e perciò ha tempo per lanciare «Lettura-Pensare l’Italia attraverso i Classici», un’iniziativa nazionale a tutto campo rivolta in particolare agli studenti (reading, teatro, concerti, mostre) in nove grandi città, alle quali è abbinato un venerabile testimonial: Bologna-Leopardi, Ferrara-Ariosto, Firenze-Petrarca, Milano-Manzoni, Napoli-Vico, Venezia-Goldoni e via, classicheggiando con letizia. Perbacco! Vien da pensare lì per lì. Meglio che niente. Proprio sicuri? Se anche il ministro dell’istruzione avesse chiesto lumi al Presidente del Consiglio, questi avrebbe potuto dirle che da una recente ricerca («Progetto passaparola») promossa dalla casa editrice di famiglia (Mondadori) in collaborazione con l’università di Bologna, i ragazzi-studenti hanno espresso la necessità di scelte il più possibile autonome e indipendenti, che i testimonial autorevoli sono fra i coetanei, non fra insegnanti e genitori, che i ragazzi leggerebbero di più se nelle biblioteche scolastiche «trovassero delle letture di svago e meno ufficiali dei soliti classici che gli vengono propinati». Appunto. Sono conclusioni a cui giungono, da altre prospettive, diverse ricerche, non ultime quelle condotte nel Regno Unito («National Literacy Trust», 2002), che in quanto a promozione della lettura è un faro per tutta l’Europa. Secco il commento di Giuseppe Antonini, amministratore delegato di Feltrinelli: «Non si pensi però che lo Stato possa aver assolto al proprio compito programmando in qualche città la lettura di classici, quando forse è proprio l’insistenza sui classici, e il modo in cui li si legge, che allontana i giovani dalla lettura».
Anche il ministro per l’istruzione si è dunque presentato a questo appuntamento poco istruito. Solo Gasparri è aggiornato e sensibile in materia di protezione del diritto d’autore e di promozione della lettura tramite le reti televisive. Vedremo.
Colpi di scena
«E allora faremo da soli» risponde Federico Motta, a suggello di un articolato commento agli Stati Generali. Lo ribadisce un mese e mezzo dopo a Passaparola (Bari, 6-7 novembre), il forum sulla promozione della lettura voluto da Giuseppe Laterza, dove i grandi editori raccolgono la proposta dell’Aie per una Festa del Libro di ampio respiro e, clamorosamente, dichiarano di mettere mano al portafoglio.
Gian Arturo Ferrari, direttore divisione libri Mondadori, chiude così il suo intervento: «Il problema della lettura non è un problema dell’editoria, riguarda l’Italia e il suo futuro. Nel frattempo noi editori creiamo un fondo per promuovere la lettura. Autotassandoci». Ferruccio de Bortoli, amministratore delegato di RCS Libri, condivide: «Il mondo politico, che sia di centrodestra o di centrosinistra, tende a considerare l’editoria una sorta di volontariato civico. Questo è, invece, un mondo industriale come tutti gli altri»; Stefano Mauri, «governatore» del Gruppo Longanesi e di Garzanti, mette subito a fuoco un obiettivo: «E necessario un progetto comune per il Sud. Un milanese che non legge, con tutte le librerie che ha sotto gli occhi, è un lettore perso. Un non lettore di Isernia è un lettore abbandonato». E aggiunge: «Dobbiamo inoltre tener presente che il passaparola – visto che stiamo parlando anche di questo – potrebbe essere molto più facile da innescare al Sud, dove la conversazione è un valore condiviso da tutti».
Altro colpo di scena: Mondadori, dopo dieci anni, è pronta a rientrare nell’Aie. «Torneremo» dice Ferrari «mantenendo le nostre posizioni, anche perché vediamo un momento di forte pericolo per il libro e il diritto d’autore». Mancano all’appello De Agostini e Feltrinelli. Il primo è già socio Aie, è stato tra i quattro promotori della Associazione per il libro sul finire degli anni novanta e dovrebbe essere della partita, ma Feltrinelli ha abbandonato l’associazione da qualche anno. Giuseppe Antonini, da sempre attento ai problemi della lettura, aveva dichiarato agli Stati Generali: «I due aspetti, creare nuovi lettori e vendere più libri a chi già legge, sono senz’altro connessi, ma non identici e soprattutto riguardano attori diversi. […] Lo Stato deve impegnarsi in una programmazione di iniziative a medio e lungo periodo, nel quadro di una legge che da troppo tempo stiamo aspettando. È da ritenersi anche inammissibile e inaccettabile che lo Stato non trovi i mezzi necessari per far fronte a questo primario impegno». Sarà disposto a mettere in gioco la potente macchina delle sue librerie (1.000 eventi da gennaio a luglio 2004, con 130.000 persone coinvolte)? Antonini ha inoltre chiuso l’intervento agli Stati Generali con un’affermazione sul prezzo fisso che non lascia dubbi: «Se riprendiamo il tema dell’allargamento del mercato, accanto al continuo miglioramento dello spazio d’acquisto e all’intensificazione delle attività di animazione e promozione sul punto di vendita, un’altra leva è a disposizione degli operatori della filiera: la leva del prezzo. Come in qualsiasi altra attività economica, se si abbassano i prezzi le quantità vendute aumentano e il mercato si allarga. Per abbassare i prezzi noi operatori possiamo cercare di razionalizzare la filiera industriale e commerciale, ma per questo abbiamo bisogno anche dell’intervento del legislatore, al quale da tempo chiediamo la già citata legge sul libro. Per abbassare i prezzi, però, occorre anche creare competitività effettiva di mercato, sia per quanto riguarda i prodotti (penso alla concreta possibilità di vendere i giornali nelle librerie), che per quanto riguarda l’offerta al pubblico: la liberalizzazione dei mercati è la condizione primaria di allargamento dei mercati stessi». Una chiara allusione alla liberalizzazione dei prezzi? Nella compagine dei grandi gruppi editoriali è abbastanza chiaro come ognuno tenda a «mantenere le proprie posizioni».
Dunque, tra promozione della lettura e leva del prezzo si gioca nel 2005 un possibile compattamento dell’editoria italiana. Da una parte il basso indice di lettura inquieta anche chi è soddisfatto dei propri esiti commerciali, dall’altra gli interessi di editori grandi e piccoli, della distribuzione, delle catene e delle medie e piccole librerie vanno il più delle volte in direzioni opposte, come è nella natura dei vari soggetti e nel campanilismo che ha sempre contraddistinto il Belpaese. «Nessuno si illuda» ha detto Laterza a Passaparola «che iniziative di questo tipo possano alla lunga sostituire una forte politica del libro e della lettura pubblica, ma di certo l’unione fa la forza. Non abbiamo intenzione di uscire da qui con un manifesto, ma con delle proposte concrete sulle quali discutere».
Nell’anno in corso le proposte si tramuteranno senz’altro in azioni concrete, ma è meglio considerare gli «intenti comuni» senza scetticismo e senza entusiasmo, perché l’azienda viene sempre prima.
Libri e giornali anno terzo
La cronaca 2004 del dibattito sui libri allegati a quotidiani e periodici può essere un esempio. Da novembre 2003 a novembre 2004 sono usciti in edicola non meno di 1.200 titoli in allegato (la stima è nostra, per difetto).
Il grosso del business è delle testate a tiratura nazionale, ma anche numerosi giornali locali hanno condotto con successo iniziative più piccole. Gli editori sono (ancora) tutti soddisfatti (salvo Antonini, che ha sempre messo in chiaro le proprie riserve): non è un mistero che questo mercato abbia fatto entrare prezioso denaro in cassa. Pur non essendo disponibile un dato statistico, i soliti informati dicono che le tirature medie nel 2004 sono calate notevolmente. Eppure il fenomeno resta ancora di tutto rispetto e, per intensità e volume di copie vendute, senza paragoni rispetto alle analoghe iniziative spagnole, tedesche, polacche.
Ma è suonato un campanello d’allarme quando il «Corriere della Sera» ha iniziato a pubblicare titoli inediti delle sue firme più note (Stella, Romano, Bossi Fedrigotti ecc.) come editore a pieno titolo («I libri del Corriere della Sera»). Fin qui passi. Un’operazione di marketing nell’ordine delle cose: molti gruppi dei media hanno pubblicato le novità dei propri autori, dalla BBC alla Rai a «Le Monde». Eppure, è stata la prima volta che lo ha fatto su grande scala un giornale, e la prima volta che il canale di vendita è stata l’edicola. Il neoeditore non si è però fermato qui: in luglio e in agosto, ha pubblicato sette novità del bestsellerista Christian Jacq, senza passare dal suo editore in Italia, Mondadori. Il problema non è solo nel cambio di bandiera, nel fatto che l’editore di «I libri del Corriere della Sera» abbia infranto il tacito patto editoriale di non «rubarsi» gli autori. Il «Corriere» (non RCS Libri, che è estranea alla vicenda) ha messo letteralmente i piedi nel piatto degli editori pubblicando delle novità «pure», inedite, potenzialmente destinate ai canali di vendita tradizionali. Per adesso si è trattato di un’operazione isolata, pur senza precedenti in Italia e all’estero. Va da sé che, se dovesse ripetersi con frequenza, la questione delle promozioni con i giornali potrebbe sfuggire di mano agli editori e dare una forte scossa a tutta la filiera. Al tempo stesso si moltiplicano le richieste dei librai, sia tramite l’Ali, sia attraverso il neonato Comitato librai indipendenti, perché questi libri siano venduti anche in libreria. Ed è difficile valutare se 50 milioni di volumi (la stima approssimativa delle promozioni 2004), pari a un quarto della produzione nazionale, rappresentino un potenziale o effettivo allargamento del mercato della lettura. Non ci sono statistiche, indagini, dati pubblici. Si resta sulle informazioni «confidenziali».
Così come non esiste ancora in Italia un sistema di rilevamento delle vendite esteso a tutti i canali, un punto di riferimento sopra le parti per valutare l’effettivo andamento delle case editrici. Forse nessuno è disposto a pagarlo. Oggi come oggi è disponibile solo Demoskopea, che si limita al canale libreria; inoltre con il recente allargamento del panel di rilevazione i dati non sono confrontabili con l’anno precedente. Restano i pochi bilanci pubblicati dove non sempre sono messe in evidenza le singole sigle. Anche questa anomalia ci stacca da mercati come la Francia, la Germania e il Regno Unito e dovrebbe essere affrontata, prima a poi, dal comparto editoriale.
I premi e i premiati 2004
2003
Premi assegnati in novembre e dicembre 2003 che non sono entrati per ragioni di stampa nella rubrica di ’Tirature ’04.
BAGUTTA. Franco Corderò, Le strane regole del signor B. (Garzanti).
MONDELLO. Antonio Franchini, Cronaca della fine (Marsilio); Martin Amis, Roba il terribile. Una risata e venti milioni di morti (Einaudi).
STRESA. Simonetta Agnello Hornby, La mennulara (Feltrinelli).
2004
Premi italiani
ALASSIO 100 LIBRI. Un autore per l’Europa: Paola Mastrocola, Cna barca nel bosco (Guanda). Un editore per l’Europa: Bollati Boringhieri.
AMELIA ROSSELLI, minimum fax.
ANDERSEN – BAIA DELLE FAVOLE. Beatrice Masini, Una sposa buffa buffissima bellissima (Arka)
BANCARELLA. Bruno Vespa, Il Cavaliere e il Professore (Mondadori Eri-Rai).
CALVINO. Tamara Jadrejcic, I prigionieri di guerra.
CAMPIELLO. Paola Mastrocola, Una barca nel bosco (Guanda). Opera prima: Valeria Parrella, mosca più balena (minimum fax).
CHIARA. Mario Rigoni Stern.
MORANTE. Hanna Serkowska; Khaled Foud Allam, Lettera a un kamikaze (Rizzoli).
MONDELLO. Opera italiana: Giorgio Montefoschi, La sposa (Rizzoli); Nelo Risi, Ruggine (Mondadori); Maurizio Bettini, Le coccinelle di Redùn (Einaudi). Sezione estero: Les Murray. Premio speciale: George Steiner.
FLAIANO. Super Flaiano: Paolo Di Stefano, Tutti contenti (Feltrinelli). Flaiano: David Grossman, Col corpo capisco (Mondadori); Aziz Chouaki, La stella d’Algeri (e/o).
GRINZANE CAVOUR. Elena Gianini Belotti, Natasha Radojcic-Kane, Mario Vargas Liosa.
GRINZANE EDITORIA. Odile Jacob.
HANBURY. Maria Gabriella Buccioli, 1 giardini venuti dal Vento (Pendragon).
NAPOLI. GianMario Villalta, Tuo figlio (Mondadori); Carmine Abate, La festa del ritorno (Mondadori).
NONINO. Edgar Morin, Marcello Cini, Tomas Transtròmer.
OSCAR E-COMMERCE. Internet Bookshop.
STREGA. Ugo Riccarelli, Il dolore perfetto (Mondadori).
STRESA. Antonia Arslan, La masseria delle allodole (Rizzoli).
VIAREGGIO-RÉPACI. (ex aequo) Suad Amiry, Sharon e mia suocera (Feltrinelli); Manuela Dviri, La guerra negli occhi. Diario di Tel Aviv (Avagliano).
VITTORINI. Super Vittorini: Paolo Di Stefano, Tutti contenti (Feltrinelli).
Premi esteri
ANDREI BELYIPRIZE (Russia). Narrativa: Margarita Melina. Poesia: Michail Aisenberg.
ALOA-PRIS (Danimarca). Galsan Tschinag, Den bla himmel.
ANDERSEN PRIZE – IBBY (International Board on Books for Young People). Martin Waddell; Illustratori: Max Velthuijs
AVENTIS PRIZES FOR SCIENCE BOOKS (Regno Unito). Bill Bryson, A Short Hi story of Nearly Everything (Black Swan)
CAINE PRIZE FOR AFRICAN WRITING (Regno Unito). Brian Chikwava.
CERVANTES 2003 (Spagna). Gonzalo Rojas.
EDGARD (Stati Uniti). Ian Rankin, Resurrection Men (Little Brown).
FRANZ KAFKA PRIZE (Cecoslovacchia). Elfriede Jelinek.
GERMAN BOOK AWARD (Germania). Non-fiction: Yann Martel, Schiffbruch mit Tiger, Michael Moore, Stupid White Men. Ragazzi: Eoin Colfer, Artemis Fowl – Der Geheimcode. Opera prima: Yadé Kara, Selam Berlin.
GONCOURT (Francia). Laurent Gaudé, Le Soleil des Scorta (Actes Sud).
GRAND PRIX DU ROMAN DE L’ACADÉMIE FRANOSE (Francia). Bernard du Boucheron, Court serpent (Gallimard).
IMPAC (Irlanda). Tahar Ben Jelloun.
JOSÉ MANUEL LARA (Spagna). Jorge Semprun, Veinte ahos y un dia.
JUAN RULFO 2003 (Brasile). Rubem Fonseca.
MAN BOOKER PRIZE (Regno Unito). Alan Hollinghurst, The Line of Beauty (Picador).
NADAL (Spagna). Antonio Soler, El camino de los Ingleses.
NATIONAL BOOK AWARD (Stati Uniti). Judy Blume.
NEBULA AWARDS 2003 (Stati Uniti). Best novel: Elizabeth Moon, The Speed of Dark (Ballentine). Best novella: Neil Gaiman, Coraline (HarperCollins).
NORDISK rADs LITERATURPRIS (Scandinavia). Kari Hotakainen, dentie.
NOBEL PER LA LETTERATURA. Elfriede Jelinek.
ORANGE PRIZE FOR FICTION (Regno Unito). Andrea Levy, Small Island (Headline).
PEACE PRICE (Germania). Péter Esterhàzy.
PRIX MÉDICIS (Francia). Narrativa francese. Marie Nimier, Le Reine du silence (Gallimard). Narrativa straniera: Aharon Appelfeld, Histoire d’une vie (Ed. de l’Olivier). Saggistica: Diane de Margerie, Aurore et George (Albin Michel).
PEN/FAULKNER AWARD (Stati Uniti). John Updike.
PLANETA 2003 (Spagna). Antonio Skàrmeta, El baile de la victoria.
PULITZER PRIZE (Stati Uniti). Fiction: Edward P. Jones, TheKnown World (Amistad, US). Non-fiction: Anne Applebaum, Gulag (Penguin). Poetry: Franz Wright, ’Walking to Martha s Vineyard (Knopf, US).
RENAUDOUT (Francia). Irène Némirowsky, Suite frangaise (Denoèl).
prinCipe DE ASTURIAS (Spagna). Claudio Magris.
WHITBREAD BOOK OF THÈ YEAR (Regno Unito). Mark Haddon, The Curious Incident of the Dog in the Night-Time (Vintage).