Come scegliere un libro nella moltitudine dell’offerta editoriale? Come non sbagliare e non rimanere delusi dall’acquisto in libreria? Basta affidarsi ai risvolti e alle quarte di copertina. Notizie sull’autore, giudizi di autorevoli critici, recensioni da accreditate testate giornalistiche, citazioni dal testo e allettamenti più o meno scoperti indirizzati al possibile acquirente. Un vero e proprio sotto genere letterario in cui, di certo, non predominano le mezze tinte e i colori pastello: il libro, infatti, è di solito proposto come una specie di vettore magico e potente, di cibaria ricca e golosa, in grado di far vivere al lettore un’esperienza autentica, unica e, a volte, estrema.
Alajmo, Antonelli, Buonanno, Matteucci, Mazzucco, Palazzoli, Pascale, Petrignani, Pica Cimarra, Spirito, Vallorani: sono gli autori delle opere prescelte per la fase finale del Premio Strega 2003. Una dozzina di nomi, alcuni già abbastanza affermati, altri meno noti, talvolta all’esordio o alle prime armi. Tutti comunque presentati e in certo modo garantiti, in ottemperanza alle regole collaudate del premio, da altri dodici nomi conosciuti e riconosciuti dal mondo letterario italiano. Giurati e lettori che dovranno giudicare le opere in lizza e incoronare il vincitore si muovono su un terreno ben dissodato, avendo a disposizione tutti gli strumenti necessari per poter valutare a dovere i meriti dei finalisti.
Nel frattempo però i libri hanno già fatto il loro ingresso in libreria e si offrono al giudizio del pubblico, che solo in seguito sarà influenzato dallo scatto di notorietà che l’assegnazione del premio determina, sia per chi ha vinto sia per i suoi rivali più stretti e tenaci, che avrebbero potuto vincere a loro volta. Prima di tutto ciò, il lettore comune che sa poco o nulla di Agosti, Alajmo, ecc. deve affidarsi al consiglio altrui, all’estro di un titolo, di una copertina. Con il pericolo di sbagliare e di rimanere deluso: un’eventualità che talvolta inibisce la decisione stessa di acquistare il libro e di leggerlo. In altre parole, i tratti fondamentali di appartenenza, come il nome dell’editore e dell’autore, o le qualità materiali del libro (tipo di carta, colori, illustrazione in copertina, ecc.) spesso non dicono abbastanza, non sono sufficienti a sostenere in modo adeguato la scelta.
E proprio in questo frangente che vengono in soccorso i risvolti e la quarta di copertina, cioè gli spazi tradizionalmente riservati alle notizie sull’autore, ai commenti introduttivi, agli elogi, alle citazioni, ai resoconti sintetici che mirano a valorizzare i meriti e le ragioni dell’opera. La premiazione di prestigio è certo un felice accidente, che risulta di grande aiuto: specie per il lettore più docile e ingenuo, poco addentro ai segreti delle competizioni letterarie, la distinzione del premio rende per ciò stesso un’opera attraente e degna d’interesse. Se ha vinto, qualche merito ce l’avrà pure. Di qui, l’impennata delle vendite estive del vincitore di un Campiello o di uno Strega. Che se la Mazzucco non avesse ottenuto il premio, il lettore avrebbe semplicemente appreso dal risvolto che Vita, benché «picaresco e fantastico come un romanzo […] non è però solo un romanzo». Si lascia intendere che definirlo “romanzo” è riduttivo: qui siamo di fronte a qualcosa di più e di meglio.
Ecco un primo tratto della retorica dei risvolti: la renitenza alle classificazioni che possano suonare troppo facili, nette, strette. In effetti, l’ultima opera della Mazzucco è descritta come una «storia ora buffa, ora amara, comica e dolorosa, tenera e insieme crudele».
Dunque, una tavolozza ricchissima, un luogo quanto mai accogliente, in cui ciascuno può trovare le tonalità e i registri che preferisce. La necessità di rassicurare il lettore e di promettere a ciascuno la sua bella quota di soddisfazione è una condizione frequente, che trova espressione in una certa inclinazione agli ossimori e ai paradossi («intreccio limpido e complicatissimo, capace di rendere credibili le vicende più incredibili», «…riscoperta della vita, ordinaria e magnifica», ecc.), nel costante rifiuto di farsi imprigionare in definizioni troppo semplici e lineari.
Sembrerebbe insomma urgente ribadire, fin dal primo contatto con il libro, che non si tratta di robetta semplice e monocorde, bensì di un lavoro riccamente stratificato, animato da contrasti e conflitti, contrapposizioni sorprendenti e accostamenti audaci, tali da assicurare un’abbondanza di sensazioni forti e ben rilevate.
Questo, naturalmente, per quanto riguarda le opere di qualche impegno e ambizione letteraria. Le suggestioni della complessità saranno invece tenute lontane dalla presentazione dell’ultimo Grisham o del penultimo Wilbur Smith, dove altri sono i fattori che contano: la firma, la fedeltà dell’autore alla propria maniera, la modularità più o meno implicita. Ma procediamo con ordine.
Una componente fissa delle quarte e dei risvolti di copertina sono le notizie sulla biografia e sui crediti letterari dell’autore. Di solito, è la parte più sobria e controllata della presentazione del libro, libera da inopportuni tentativi di seduzione (riservati semmai alle prove paraletterarie di personaggi celebri per altre vie: comici, cantanti, sportivi, ecc.). Nelle note biografiche degli scrittori di professione solo di tanto in tanto s’incontrano bizzarrie e cadute di stile. Un esempio curioso è l’ultimo libro di Michele Serra (Cerimonie), che all’improvviso sente l’esigenza di annettersi un secondo cognome, romantico e rotondo (Errante), e approfitta della breve notizia biografica per parlare del proprio rapporto con la scrittura:
«ha cominciato a scrivere a vent’anni e non ha mai fatto altro per guadagnarsi da vivere». Accattivante e vezzoso, secondo il suo stile abituale.
Le note biografiche sono in genere concise anche perché il più delle volte si presume una sufficiente conoscenza del nome dell’autore. Nel caso degli esordienti, i testi si diffondono in qualche dettaglio aggiuntivo, a sostegno della scelta editoriale di puntare su una nuova firma, non senza rischi di eccesso: «Un esordio straordinario, uno sguardo surreale e grottesco in equilibrio tra cruda ossessione anatomica e apertura visionaria, nel solco della grande narrativa della solitudine e della sconfitta». Toni accesi, come si può notare. Spesso ritenuti opportuni come espediente per scuotere dal suo torpore un potenziale lettore che si suppone perennemente incerto, passivo, indifferente. L’intento di smuovere e spingere all’azione l’amletico personaggio che sta tenendo il libro tra le mani è del resto ben visibile anche nelle presentazioni di molte opere di scrittori affermati.
Sovente si opta per una forma meno diretta: non l’elogio sperticato (e interessato) dell’editore, ma l’entusiasmo dei recensori (disinteressati). Uno degli artifici più comuni è la silloge di frasette e frammenti encomiastici ricavati dalle pagine culturali di quotidiani e periodici, italiani o stranieri, a seconda della provenienza e della sfera di notorietà dell’autore.
«Spiritoso, acuto, crudele. E come se un’eroina di Salinger si fosse messa a scrivere i suoi ricordi» – «Le Figaro»
«Un viaggio attraverso le lezioni di vita della protagonista… prototipo della donna di oggi che combina il fascino di Bridget Jones con l’arguzia di Lorrie Moore (?)» — «Booklist»
«Una vivace, esaltante cronaca di una donna moderna in cerca dell’amore… una camera con vista piena di speranza e umanità» – «Kirkus Review»
«Un libro capace di far ridere e piangere parlando del quotidiano, una storia che vi sorprenderà» – «Publishers Weekly»
E probabile che il lettore medio non faccia poi molto caso al contenuto delle citazioni, badando piuttosto all’autorevolezza o all’esotismo delle fonti, e soprattutto alla loro pluralità. L’effetto persuasivo in altre parole è dato dall’accumulo, dalla coralità dei consensi, meglio se eterogenei, così da indurre un’impressione di totalità e pienezza: un libro che piace alla gente, ai lettori di ogni tipo, apprezzato a destra e a sinistra, popolare e per palati fini. Il numero e la varietà delle testate giornalistiche coinvolte equivale infatti a una sintesi e a un’anticipazione del successo di pubblico che arriderà senz’altro all’opera, come a significare: vedi? Lo dicono tutti che questo libro è qualcosa di eccezionale: e allora, cosa aspetti a unirti a noi?
Una versione in apparenza meno commerciale della tecnica delle citazioni autorevoli è il ricorso al parere favorevole di un’unica, indiscutibile voce critica. Viene riportato, con la debita evidenza, il giudizio generoso e insindacabile del grande intellettuale, del letterato di fama, del maestro riconosciuto. Il buon vecchio principio di autorità in fondo fa sempre la sua bella figura e sembra funzionare particolarmente bene presso il pubblico che ha più bisogno di certezze (e che ovviamente conosce e stima la grande firma che si è spesa nella presentazione).
La firma di Pietro Citati, ad esempio, ben evidenziata in calce a un giudizio favorevole, funge da efficace strumento di canonizzazione. Strumento che, peraltro, si applica anche a scrittori già largamente premiati dal mercato, come Baricco, gratificato da un paragone lusinghiero: «Nel mattino in cui scrisse Seta Alessandro Baricco immaginò che tutta la letteratura del mondo fosse scomparsa. […] Come Flaubert, voleva scrivere un libro fatto di niente». E subito dopo subentra il riflesso anticlassificatorio: «Questo non è un romanzo. E neppure un racconto. Questa è una storia…».
Sulla medesima linea si muove la riedizione di un titolo di De Carlo (Due di due), che si avvale a sua volta del marchio di garanzia di Citati, disposto ad affermare perentoriamente che il protagonista del libro «è il più bel personaggio della letteratura italiana degli ultimi dieci anni». Una più piena legittimazione tuttavia è ottenuta facendo intervenire un altro sponsor, di levatura superiore, Italo Calvino, pronto ad asserire (dall’oltretomba, si presume) che «la giovinezza che Andrea De Carlo racconta» è «una particolare acutezza dello sguardo che afferra e registra un enorme numero di particolari e sfumature».
Non pago di certificazioni di qualità letteraria (o cinematografica), De Carlo, o chi per esso, ritiene di dover ulteriormente puntellare i valori culturali del proprio libro mobilitando un terzo illustre autore, se stesso, e cogliendo l’occasione per elargire pensieri di non eccelsa originalità sull’amicizia: «Nell’amico c’è qualcosa di noi, un nostro possibile modo di essere, il riflesso di una delle altre identità che potremmo assumere».
In assenza di firme e fonti autorevoli in grado di dar forza persuasiva alla quarta di copertina, talvolta ci si affida semplicemente alla voce dell’autore, o meglio, alla voce del testo. Dal fiume della narrazione si attinge con apparente casualità per poter offrire al possibile lettore un sorso di buona scrittura, un saggio di stile che sappia imporsi per originalità e creare un’aspettativa basata sul principio di omogeneità della materia narrativa, ovvero sul presupposto del «se tanto mi dà tanto». Gli esempi di degustazione anticipata sono numerosi, anche perché in fondo si tratta di una soluzione piuttosto comoda per l’editore, oltre che onesta, diretta, inattaccabile.
In molte altre situazioni, il destinatario del lavoro di convincimento è invece sollecitato, chiamato in causa in modo diretto, nella speranza di poterlo invischiare e catturare meglio. Diventa allora istruttivo osservare i tipi più comuni di trappole disseminate nei risvolti, gli argomenti e le promesse su cui amano far leva.
Nella produzione libraria di più facile consumo, si tende a fare affidamento sulla forza pulsionale dei contenuti. La scena è tenuta saldamente da presenze che non tradiscono mai: amore, sesso, piaceri proibiti, da un lato; violenza, sangue, aggressività criminale, dall’altro: «Una sconvolgente meditazione sul sesso come strumento di conoscenza e di esplorazione di sé, un meraviglioso processo di risveglio sessuale, emotivo e spirituale» (P. Coelho, Undici minuti), «Un demone sanguinario si aggira per l’Europa del XVI secolo strappando il cuore alle sue vittime» (P. Doherty, Il ladro di anime), «Un romanzo d’amore struggente e tormentato, che coinvolge il lettore [eccolo qua] con il fascino di paesaggi indimenticabili…» (S. Zecchi, Fedeltà).
O ancora, ricordandosi anche della forma: «In u n crescendo di orrore, lo scontro tra le forze del Bene e quelle del Male raggiunge vertici di cupa fantasia, in una storia dove la violenza più selvaggia si accompagna a una scrittura suggestiva, lirica e visionaria» (J. Connolly, Gente che uccide).
In breve: se cerchi il sensazionale, l’abnorme, l’estremo, che sia il brivido del delitto o l’intensità della passione, questo libro fa per te.
Quando tuttavia la qualità presunta – del libro e del pubblico – sale appena un poco, gli allettamenti più ingenui e immediati sono messi da parte, sostituiti da tentativi di qualificazione della sostanza letteraria e stilistica, e del godimento specifico che il lettore potrà ottenere per sé, in virtù delle proprietà espressive e compositive dell’opera stessa, e non solo delle forze istintuali e pre-simboliche a cui rimanda. Le molteplici forme di magnificazione dei piaceri letterari che attendono il lettore fanno emergere, per accenni e frammenti, il canone estetico implicito nel sottogenere dei risvolti. O, più modestamente, l’immagine corrente – sul versante del «produttore» – di ciò che vale, di ciò che merita, di ciò che vende.
Come sempre, colpiscono le analogie, le affinità, la ripetizione di argomentazioni e lusinghe, a cui si assume che il lettore sia sensibile.
Una promessa ricorrente ha a che fare con la ricchezza, l’esuberanza, la completezza della materia narrativa: il libro come piatto farcito, ipernutritivo, appagante, in quanto capace di combinare e sposare, in modo originale, parecchi ingredienti diversi.
Ma soprattutto un piatto inatteso, nuovo, unico, in grado di stimolare con accostamenti di sapori impensati il palato saturo e stanco della clientela. D’altronde, non c’è da meravigliarsi se tra i lettori si diffonde l’obesità, quando il risvolto attesta la disponibilità di «un intreccio limpido e complicatissimo», a cui corrisponde «una scrittura rapida, nuova, ironica, disincantata, capace di rendere credibili le vicende più incredibili» (T. Avoledo, ld elenco telefonico di Atlantide). O quando cerca di contagiare: con «una storia narrata con folgorante virtuosismo, marcata da spiazzanti colpi di scena e da un originale impasto linguistico», un libro «traboccante di vitalità, di un’esuberante voglia di raccontare e trascinare con sé il lettore» (Buccini, Canone a tre voci). O ancora, quando ingolosisce con «un noir secco, grottesco, durissimo, che si fa leggere d’un fiato [appunto] raggiungendo un vertice di virtuosismo stilistico e di stralunata tensione, in cui le percezioni del lettore sembrano sospendersi e poi capovolgersi» (Alajmo, Cuore di madre).
Il desiderio goloso di leggere è sovente imparentato con un’attesa di cambiamento, di sorpresa, di svolta. Se non proprio il «capovolgimento», una promessa non infrequente è la brusca modificazione delle coordinate di realtà. Il libro si propone come una specie di vettore magico e potente, un tappeto volante in grado di far vivere al lettore un’esperienza autentica, ricca di significato, a volte estrema, pericolosa, inquietante, capace di segnarlo per sempre. Abbondano in effetti nei risvolti le parole di attività e movimento, volte a esaltare le proprietà metamorfiche del libro: «struggente», «toccante», «incalzante», «sconvolgente», «folgorante», «feroce», «liberatorio». Romanzi «di febbre e di furia», «storie tese che non perdonano», che procedono per «strade tortuose, spesso sdrucciolevoli», «spietate, malinconiche e sghembe», ecc.
Non si può certo dire che predominino le mezze tinte, i colori pastello. Dall’anticipazione che i risvolti offrono dell’esperienza di lettura è assente qualsiasi riferimento all’equilibrio, alla proporzione, alla compostezza, alla calma, all’indulgenza del sorriso, alla medietà classica, ecc. Viceversa, il lettore si vede restituire una nozione del leggere quanto mai vivace e dinamica, per non dire agitata, ipercinetica, emotivamente speziata e sovraccarica, ricca di contaminazioni con altri linguaggi, altre forme espressive. Lontana comunque dal silenzio, dall’isolamento, dalle tentazioni introspettive e meditative.