La grande balena bianca del progetto milanese BEIC. (la Biblioteca Europea di Informazione e Cultura di Milano’) prosegue, sommersa, il suo cammino. Nel frattempo il miglior modo per aumentare V efficienza delle biblioteche, specie nei centri minori, appare quello di investire nei servizi attraverso l’ideazione e l’attuazione di collegamenti in rete. Nella (ancora lunga) attesa che la telematica diminuisca l’esigenza di spazi fisici.
Grandeur alla milanese
Vuole essere una volta di più la dimostrazione che Milano, per cultura, non è seconda a nessuno. E il confronto qui è nientemeno che con Parigi. La TGB (Très Grande BiblioTheque), la BiblioTheque Nationale de France inaugurata nel 1998, ha dato alla Francia un punto in più nella consueta grandeur ma anche nell’efficienza politico-amministrativa: una soluzione a lungo termine per la conservazione e la consultazione, un volano di sviluppo per un’area dismessa della città.
Così l’idea della BEIC, Biblioteca Europea di Informazione e Cultura di Milano, è partita (casualmente?) nello stesso fatidico 1998 con intenzioni serie: un concorso di architettura, internazionale e a inviti, per la creazione di un luogo di cultura frequentabile da tutta la regione ma con ambizioni non velatamente extranazionali. Il bando prevedeva 200 posti di consultazione attrezzati con computer, 100 000 opere disponibili a scaffale aperto nel reparto reference, una sala di studio «con materiali propri» con 400 posti e 100 computer, sale specializzate per i giovani, per i bambini, per l’attualità e per l’informazione d’affari. Magazzini per 3 500 000 volumi e centinaia di migliaia di opere multimediali, centro conferenze (auditorium polivalente da 400 posti, sale da 100 e 25 posti). Più, ovviamente, i servizi (un centro didattico, un guardaroba per 3 600 capi d’abbigliamento e 1 800 borse) e una gamma completa di centri di ristorazione, dove si possa anche cenare dato che ovviamente – la BEIC è destinata a restare aperta anche nelle ore serali. Il tutto per il considerevole totale di circa 66 000 mq di superficie (più o meno sei campi da calcio e mezzo), al centro di un nuovo luogo dell’identità cittadina: l’area dell’ex stazione di Porta Vittoria, prossima a essere rivitalizzata come nodo delle ferrovie regionali (quelle che a Parigi chiamano RER e a Milano, con cosciente modestia, il «passante ferroviario»). Un progetto architettonico che si sviluppa di pari passo con quello biblioteconomico, un gruppo di promotori che va dal Ministero dei Beni culturali alla Regione Lombardia, alla Provincia di Milano, al Comune, a tutte le università cittadine, alla Fondazione Cariplo (della Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde, storico gigante bancario meneghino e gran dispensiere di fondi, anche cospicui, ad attività culturali locali).
Insomma: di che far girare la testa a utenti cresciuti tra le braccia affettuose ma sempre più soffocanti di Palazzo Sormani, la Biblioteca civica milanese, dove alle 20 devi essere già fuori, se vuoi lasciare il cappotto devi arrivare presto perché gli armadietti sono poche decine (e ci devi lasciare una moneta, come nel carrello del supermercato) e se vuoi mangiare qualcosa devi servirti dei bar dei dintorni, pregando che nessuno si prenda il tuo posto nel frattempo.
Un percorso lungo
Il concorso si è debitamente concluso nel 2001. Ha vinto l’architetto Peter Wilson, di Munster, con un progetto centrato su uno scatolone pensile che sarebbe ingiusto giudicare da quel che se ne è potuto vedere: qualche disegno e un plastico esposto insieme a quelli degli altri concorrenti nel tranquillo, nascosto mezzanino dell’Urban Center (le due vetrine in galleria Vittorio Emanuele che servono per offrire ai turisti i dépliant su quel che succede in città; quelle, per intenderci, che dopo essere state ribattezzate in inglese, per sottolineare la modernità che avanza, ancor oggi la domenica hanno regolarmente le serrande abbassate).
A Parigi, dopo il concorso, la costruzione della TGB è stata preceduta da un anno di litigi sanguinosi sulle funzioni, sull’architettura, sulle strategie. Dopo di che il progetto vincitore è stato realizzato e aperto a pieno regime in circa otto anni. A Milano nessuna lite, qualche civile obiezione, nessun dibattito infuocato. Non pare vero: c’è da pensare che il progetto non interessi o che non ci si creda? Al momento di scrivere queste righe la rassegna stampa del sito che dà informazioni sul progetto (www.beic.it) si ferma al dicembre 2002: oltre sei mesi di silenzio stampa. Ma intanto la macchina va avanti più o meno secondo le previsioni, leggi finanziarie permettendo. Quanto costerà la BEIC? 236 milioni di euro per la realizzazione, fino al 2009; poi 18 milioni di euro l’anno per la gestione. Il tutto, promette l’Associazione Milano Biblioteca del 2000, cui fa capo il progetto, senza drenare i fondi nazionali o locali per la cultura, ma con stanziamenti aggiuntivi.
In attesa del 2010
La BEIC di Milano tenta di rispondere a un’ambizione antica: dare biblioteche al grande numero di lettori che potrebbero/vorrebbero servirsene se solo fossero luoghi più vivibili. Lettori che mangiano, bevono, escono ogni tanto per respirare e fare due chiacchiere, usano mezzi di trasporto propri o pubblici… Normali esseri umani, come li delineava nel 1981 Umberto Eco proprio in occasione del 25° anniversario della fondazione di Palazzo Sormani (De Bibliotheca in «Quaderni di Palazzo Sormani», e Sette anni di desiderio del 1983).
A Milano Ministero, Regione, Provincia, Comune (e Fondazione Cariplo, con altre banche) hanno nel frattempo varato anche un progetto meno ambizioso ma interessante (e soprattutto, dal giugno 2003, funzionante): la mediateca di Santa Teresa. Luogo di consultazione che aggiunge all’eleganza architettonica di una chiesetta seicentesca ristrutturata il fascino tecnologico del virtuale: solo opere digitali (cd rom, siti Internet, in particolare bibliografici, le Teche Rai, cioè gli archivi di quasi quarant’anni di programmi radiotelevisivi) consultabili con un modico abbonamento annuale sui computer a disposizione, impavidamente assistiti da cortesi bibliotecari della Nazionale Braidense addetti a turno al nuovo centro. Che promette di essere utilissimo (anche come palestra professionale per quando la gran macchina della BEIC dovesse sorgere davvero) ma non sposta di un centimetro i problemi della consultazione di massa dei testi cartacei, né – se e quando la consultazione dei testi digitalizzati diventerà generalizzata – potrebbe reggere il peso dell’utenza milanese e lombarda.
Immagine e servizi
Le biblioteche nuove di zecca richiedono ovviamente sforzi meno eroici nei centri minori, dove l’utenza è meno congestionata: a Pesaro, ad esempio (88 000 abitanti) la ristrutturazione del convento di San Giovanni (grande sfoggio di travature metalliche a vista ma ambienti decisamente gradevoli, 30 000 volumi, 115 periodici e 18 quotidiani, 700 cd musicali, 1 200 videocassette) ha prodotto una biblioteca a misura di città. Grande spazio per bambini e ragazzi al pianterreno, più in alto scaffali aperti e isole di lettura dei periodici che richiamano i compianti caffè dove si poteva leggere il giornale in pace, ampia sezione musicale come si conviene alla patria di Rossini e alla sede di un conservatorio. Non è un leviatano della lettura, ma funziona bene. E i pesaresi lo hanno potuto utilizzare a quattro anni dalla partenza del progetto.
Una terza strategia riguarda anch’essa i centri più piccoli, e tra l’altro permette di integrare il nuovo, quando c’è, al patrimonio esistente: venti sistemi bibliotecari della regione, dagli anni novanta, sono stati raggruppati in sei macroaree. Quella che è stata battezzata «Brianzabiblioteche», funzionante dall’aprile 2003, raggruppa 27 biblioteche locali di cui le principali sono quelle di Monza, Desio e Seregno: 800 000 volumi complessivi che sono stati «messi in circuito» per tutto il bacino d’utenza (500 000 abitanti, di cui oltre 78 000 sono utenti delle biblioteche). Un unico archivio centrale omogeneo, consultabile da tutti i centri (e presto su Internet); da ogni biblioteca si possono ottenere in prestito i libri delle altre. Ancora un passo – finanziamenti permettendo – e si arriverà alla consultazione on line delle opere digitali.
E infine la biblioteca delle biblioteche, la Nazionale centrale di Roma, dà anch’essa un segno di vitalità parziale ma significativo: si è dotata nel 2002 di un’immagine coordinata di ottima qualità (opera di Mauro Zennaro e Stefano Fraschetti). Cosmesi? No: farsi riconoscere è il primo requisito per poter chiedere con successo di risolvere i propri problemi, anche finanziari.
Progettare e classificare
Insomma: la creazione di grandi «oggetti» come la BEIC può risolvere e rilanciare problemi di utenza e di immagine internazionale,
ma richiede sforzi finanziari irripetibili. Forse, anche per i grandi centri, la strada più realistica è quella che finora è stata adottata dai piccoli centri: la strategia dei servizi in rete, dei collegamenti che moltiplicano la disponibilità – e quindi la qualità – a parità di quantità (di spazi, di numero di titoli, di strutture di consultazione). Strategia che non è priva di costi (la telematica è cara) ma al tempo stesso è tecnologicamente inevitabile e fa entrare le biblioteche nella grande area della modernizzazione. Sarà biecamente pragmatico affermare che questo aspetto ideologico favorisce l’accesso agli agognati stanziamenti, ma questa è l’aria che tira. Per di più l’ideazione e l’attuazione di reti di servizi richiedono un’attenta pianificazione dei particolari, con attitudini da progettista più che da filologo. Ma è un’attenzione che i bibliotecari hanno nel DNA professionale e che utilizzano facilmente nel nuovo modo, quando prendono il gusto di progettare oltre che di classificare.