L’ospitalità della scuola

Nella scuola italiana lo studio della poesia novecentesca tende a concludersi con Montale, tanto che la qualità della trattazione delle esperienze poetiche degli ultimi decenni fornita dai libri di testo sembra non incidere sulla loro accoglienza da parte degli insegnanti. Nonostante molti manuali ne offrano gli strumenti, non si sono ancora affermati poeti recenti che nella scuola siano considerati oggetto di studio alla stregua dei narratori coevi.
 
L’attimo fuggente, il film del regista Peter Weir uscito nel 1989 (ma ambientato negli anni che precedono la contestazione giovanile), scatenò per qualche tempo entusiasmi pedagogici libertari. Chi allora lavorava come insegnante nella scuola potrà ricordare come schiere di studenti e di genitori avessero apprezzato l’indicazione data dal professor Keating (Robin Williams) ai suoi allievi di strappare dal libro di testo e di gettare via le prime decine di pagine su metrica e altri aspetti «tecnici» del linguaggio poetico per passare subito all’ebbrezza del contatto diretto fra anime. Su quanto in realtà sia discutibile, al di là dell’efficacia sul piano spettacolare, il metodo formativo proposto dal melodrammatico professore del film è inutile che mi dilunghi: mi fa piacere ricordare un magistrale, è il caso di usare questo aggettivo, intervento al riguardo di Anna De Palma uscito su «Belfagor» proprio quando L’attimo fuggente furoreggiava.
E tuttavia doveroso riconoscere che, almeno all’interno della finzione filmica, il buon Keating-Williams ottiene due risultati non da poco: i suoi studenti si appassionano alla lettura della poesia e ricorrono a gesti trasgressivi solo per difendere la libertà di pensiero. Constatato rapidamente che nelle scuole italiane gli studenti salgono sì in piedi sui banchi, ma generalmente non per ché animati da nobili motivazioni ideali, qui preme di più cercare di capire se i nostri libri di testo sono strumenti adatti per conseguire almeno il primo obiettivo. L’editoria scolastica da un lato riflette le tendenze presenti nel mondo della scuola, ma dall’altro, e in almeno pari misura, le promuove. E necessario premettere che la ricognizione riguarderà solo opere scolastiche indirizzate al biennio e al triennio e che procederà per campionature, vista la difficoltà di avere interamente a disposizione una produzione editoriale quanto mai vasta.
Già a un primo sommario esame risalta con chiarezza che per la poesia esiste un «canone scolastico» ormai abbastanza ben delineato fino a Saba, Ungaretti, Montale, Quasimodo e comune a biennio e triennio. E proprio a partire dall’Ermetismo, e cioè dal problema di definirne i confini, di quali autori farvi rientrare e di quali antologizzare, che le scelte incominciano a differenziarsi in modo molto più consistente da un’opera scolastica all’altra. A questo aspetto, dunque, sarà bene più avanti dedicare particolare attenzione.
Un secondo dato che si coglie immediatamente è il sempre più marcato abbandono di un’organizzazione su base storico-cronologica degli autori e dei testi nelle antologie destinate al biennio, organizzazione che, invece e comprensibilmente, almeno per ora continua a costituire l’assetto di fondo nelle opere per il triennio. Una sorta di iconoclastico rigetto per lo storicismo sta rischiando di far naufragare nella scuola il concetto stesso di storia, e questo purtroppo è un naufragio senza allegria fedelmente testimoniato da molti libri di testo. La didattica degli ultimi anni mira a far acquisire agli studenti capacità di analisi dei testi in sé e per sé (le «competenze», nel linguaggio dei documenti ministeriali), secondo una versione molto semplificata ma al tempo stesso estremizzata delle varie correnti formalistiche ecletticamente combinate, e questa tendenza è oggi decisamente predominante nel biennio.
Ma poiché un libro di testo una qualche scansione la deve pur avere e anche il tecnicismo più esasperato non può esimersi del tutto da un centro gravitazionale altro da sé, scartata la scansione in periodi storici, per la poesia lirica l’orientamento più diffuso nelle antologie del biennio è di sostituirla con quella per temi. Per inciso: la narrativa e la prosa in genere risultano più fortunate perché hanno potuto avvalersi di una articolazione per generi che ha fondamenti teorici decisamente meno labili (almeno nei limiti di questo ambito specifico di applicazione). Una più o meno accentuata organizzazione per temi della parte dedicata alla poesia lirica caratterizza anche le uscite del 2001, in particolare Boni-Casati-Russo, Informa di… e De Simone-Gusmini, Percorsi testuali tra ieri e oggi.
Il quadro generale appena delineato rende ancora più interessante il caso per molti aspetti in controtendenza dell’antologia per il biennio che ha segnato il maggior successo di adozioni negli ultimi anni: Quattro colori, di Mariotti-Sclafani-Stancarelli. Gli elementi di interesse sono tre: l’organizzazione della materia, gli strumenti che consentono la contestualizzazione, la scelta di autori e testi.
La prima edizione, del 1996, esce in un momento in cui la nuova didattica modulare per obiettivi di competenza, già presente nel biennio in misura minoritaria, sta intraprendendo la sua ascesa egemonica, ma non è ancora dominante. L’opera fotografa questa fase: gli autori e i testi compaiono raggruppati in sezioni la cui successione rispetta rigorosamente l’ordine cronologico, in fondo ancora rassicurante per molti insegnanti. Si incomincia con Francesco d’Assisi e poi via via fino a Carmelo Aliberti. Ogni sezione è illustrata, in qualche modo contestualizzata, da pagine di «Materiale informativo» che il più delle volte sono intitolate al periodo o al movimento corrispondente, ma che possono anche proporre come chiave di lettura privilegiata una sottolineatura tematica.
In quest’opera la prima metà del Novecento è ricca di materiale informativo. Di carattere storico più generale sono le pagine dedicate al periodo compreso fra le Avanguardie e l’Ermetismo, a cui si aggiungono quelle più mirate sui crepuscolari, sulle Avanguardie, sul Futurismo, Sull’Ermetismo e quelle ancora più ad hoc. sulla parodia (in rapporto a Luciano Folgore) e sul kitsch (Gozzano). Ungaretti (collocato con sette poesie fra il blocco futurista e le cinque poesie di Montale) non rimanda a nessun materiale informativo; Montale a uno intitolato La cultura al caffè e a un altro sul tema della figura femminile; a Saba (cinque poesie) è riservato materiale informativo sulla gallina e su come è nata A mia moglie. In compenso la seconda metà del Novecento propone, oltre a una presentazione storica generale come la prima, solo due materiali informativi, su temi e tecniche della poesia di Penna e sul Sessantotto.
I poeti antologizzati a partire dall’Ermetismo: accanto a Gatto, Penna, Sereni, Pasolini, Giudici e, come stranieri, Brecht e Hikmet, appaiono Cattafi, Daria Menicanti e Aliberti. Una scelta con esclusioni e inclusioni che non sembrano sempre giustificate dalla necessità di proporre testi non troppo difficili e abbordabili da studenti ancora poco attrezzati. E infatti la nuova edizione dell’opera, uscita nel 2000, prevede qualche aggiustamento: spariscono Gatto, Cattafi, Menicanti e Aliberti, perdono una poesia ciascuno Penna e Sereni, viene introdotto con un testo Mario Luzi. Circa il fatto che, a fronte di persistenti esclusioni clamorose, seguano poco meno di cinquanta pagine su Canzone e poesia (Dylan, Lennon, Mogol-Battisti, De André) qualche insegnante parruccone potrebbe avanzare considerazioni forse almeno in parte anche condivisibili.
Dall’esame di Quattro colori derivano due considerazioni di carattere più generale. La prima: per gli autori di opere scolastiche, anche di quelle per il triennio, non è facile non solo selezionare i poeti del secondo Novecento, ma anche elaborare una scansione (cronologica? per correnti e/o tendenze?) che consenta di evitare la pura e semplice schidionata di nomi, titoli e versi. Si tratta di una difficoltà oggettiva la cui radice è insita nello stesso oggetto di studio; vi si aggiunge la necessità di evitare sfumature troppo specialistiche e di non eccedere con il numero delle pagine.
La seconda: nei libri di testo (ma, si può supporre, anche nella realtà dell’insegnamento scolastico) la trattazione della poesia del secondo Novecento è in linea di massima meno curata e aggiornata di quella della narrativa. Quello italiano sarà anche un popolo di poeti, ma è risaputo che acquista e legge pochi libri di versi. La scuola e l’editoria scolastica non hanno ancora definito un canone neppure per la narrativa degli ultimi cinquant’anni, ma alcuni punti fermi ci sono: Calvino e Fenoglio in primo luogo, poi Primo Levi, Tomasi, Morante, Cassola, Sciascia, Bassani, Pasolini, da ultimo si stanno profilando Eco e Tabucchi. Un’opera scolastica che escludesse la gran parte di questi autori e che fosse rispettosa del canone solo fino agli anni Cinquanta non avrebbe successo; per la poesia, invece, è sufficiente corrispondere alle attese degli insegnanti fino al primo Montale e l’esclusione di autori come Luzi e Caproni, per limitarci a due nomi, abbiamo visto che non incide affatto sull’indice di gradimento. La poesia degli ultimi decenni non è, tranne lodevoli eccezioni, nelle attese dei docenti. La riprova sta nell’accoglienza riservata all’antologia per il biennio di Ciocca-Ferri, La tela del ragno, che nella sua impostazione per temi (anche se prevede una sezione-carrellata sulla poesia nel tempo) rivela un’attenzione esemplare alla produzione poetica più recente per la capacità di coniugare completezza del quadro e leggibilità per gli studenti. Proprio lo spazio riservato alla poesia degli ultimi decenni e un’interpretazione anticonformistica del canone scolastico complessivo hanno limitato l’apprezzamento agli insegnanti più disposti a un’apertura di orizzonti didattico-culturali.
Come è già stato anticipato, gli esiti della ricognizione non sono molto diversi nella sostanza quando si prendono in considerazione i manuali per il triennio, che non possono prescindere da un’impostazione in chiave storica, ma che possono intrecciarla in misura diversa con indicazioni di percorsi tematici, con confronti intertestuali, con «espansioni» rivolte ad altri campi dell’espressione artistica o a letterature di altri paesi. Dal testo alla storia, dalla storia al testo di Baldi-Giusso-Razetti-Zaccaria articola la parte Dal dopoguerra ai giorni nostri in cinque sezioni, dedicate rispettivamente a pagine di scrittori stranieri, al dibattito delle idee in Italia, alla narrativa da Vittorini e Pavese fino a Baricco, Lucarelli e Brizzi, alla poesia da Luzi a Valduga, alla letteratura drammatica. Le singole sezioni non presentano una organizzazione interna per scansioni di un qualche tipo, ma quella sulla poesia è del tutto priva dei «Microsaggi» che, invece, nelle pagine sulla narrativa offrono qualche coordinata di orientamento, almeno fino agli anni Sessanta, con titoli come La polemica su «Metello» e la crisi del Neorealismo, Raccontare la Resistenza, Letteratura e industria.
La scrittura e l’interpretazione di Luperini-Cataldi-Marchiani adotta per l’ultima parte la periodizzazione dal 1956 ai giorni nostri come «età del tardo capitalismo: gli anni dello sperimentalismo, delle nuove avanguardie e del Postmoderno». Il capitolo sulla poesia è imperniato su abbinamenti: da un lato una tendenza, o la linea di una rivista, o una cifra personale di poetica, dall’altro i testi di un autore o al massimo due come loro espressione emblematica. La poesia postermetica e la linea lombarda ha come baricentro Giudici, l’esperienza poetica di «Officina» viene condensata in Volponi e Leonetti, e così via. Solo «il neo-orfismo della «parola innamorata» e il «neosperimentalismo» si presentano più affollati, con autori come Conte, Magrelli, Merini. Il proposito di spingersi fino ai confini cronologici del Novecento in modo non elencatorio, ma offrendo ipotesi di «navigazione», è evidente.
L’intento di offrire un panorama esauriente della lirica di tutto il Novecento secondo un’ipotesi abbastanza rigorosa di sistemazione storica per orientamenti di poetica è ravvisabile in un’opera di impianto classico, ma tutt’altro che tradizionale nelle scelte, come il manuale di De Caprio-Giovanardi presentato da Einaudi scuola in due edizioni che differiscono solo per dimensioni (I testi della letteratura italiana, 1994; Letteratura italiana. Storia. Autori. Testi, 1995). Fino agli anni Sessanta gli autori che non rientrano nei capitoli monografici dedicati a Ungaretti, Ermetismo (ricchissimo), Saba, Montale, Sereni, Caproni, vengono raggruppati e distinti in base alla contiguità con tre linee di poetica: simbolismo, espressionismo, realismo. Per gli ultimi decenni la chiave di lettura prescelta è lo sperimentalismo, come si manifesta nella neoavanguardia del «Gruppo ‘63» e nella forzatura delle «frontiere del linguaggio».
Un pregio non indifferente dell’opera è rappresentato dal rifiuto di considerare il Novecento diviso in due soli periodi, prima e seconda metà, e dalla scelta di individuare nel secolo più fasi distinte a cui viene dato un rilievo plastico di grande utilità didattica grazie alla corrispondenza strutturale con altrettanti capitoli: il risultato è un senso di prospettiva storica non frequente nei testi scolastici. D’altro canto si potrebbe lamentare, nelle proposte antologiche, una carenza di testimonianze delle esperienze poetiche in atto; un limite che è stato evitato da Cadioli-Di Alesio-Esposito-Vincenzi in Biblioteca con una scelta inevitabilmente parziale ma certo rappresentativa.
Perché, allora, fermarsi a Montale, se nel panorama dell’editoria scolastica non mancano manuali che si spingono oltre con discernimento? Di chi è la responsabilità se, nelle nostre aule, non sono ancora stati individuati gli equivalenti poetici di Calvino e Fenoglio?