Il futuro è già passato

Stabile, più matura e internazionalizzata, l’editoria italiana non ha realizzato alti numeri ma si allinea alle maggiori editorie europee. Importante l’attività di acquisizione e diversificazione dei grandi gruppi, indicativi alcuni avvenimenti di forte impatto che potrebbero a breve termine modificare una scacchiera che non ha subito particolari variazioni. Si retrocede sul libro elettronico (forse i tempi non sono ancora maturi), ma la parola d’ordine resta sempre e soprattutto «digitale», verso le incognite di un futuro nel quale, per certi aspetti, si è già transitati.

Il pianeta libro
Come il monolite del film di Kubrick, nel 2001 l’editoria italiana ha avuto Il Numero. Approvata ad aprile e operativa dal primo settembre per un periodo sperimentale di un anno, la «legge sul libro» ha fissato nel 15% il tetto massimo di sconto da applicare al prezzo di copertina.
Sull’esempio di leggi analoghe già operative in gran parte dei paesi europei, le nuove norme alla legge 416 sono state pensate per limitare la concorrenza della grande distribuzione a favore delle librerie; i libri hanno ora lo stesso prezzo nel piccolo punto vendita di provincia come nel supermercato, nei centri commerciali e nelle catene librarie. Soddisfatti gran parte degli editori e la quasi totalità dei librai, la lobby che attraverso le associazioni di categoria (AIE e ALI) chiedeva da anni questa legge alla quale è stato attribuito il potere di risollevare, almeno in parte, le sorti del mercato editoriale italiano.
Contrari, va da sé, i rappresentanti dei supermercati, alcune associazioni di consumatori ma anche Mondadori, unico editore che, tramite una Lettera aperta ai librai di Gian Arturo Ferrari (direttore generale della Divisione Libri), ha spiegato le sue ragioni e descritto un possibile scenario nel quale la legge in questione avrebbe portato più danni che benefici. Fatti due conti, secondo Ferrari la legge sottrae al prodotto libro, specie nella grande distribuzione, il margine di sconto (almeno il 20%) con un reale appeal per i lettori. Le principali (non le sole) conseguenze: un generale innalzamento dei prezzi causato da una minor vendita di libri e una contrazione del mercato. I lettori pagheranno di più, i librai venderanno di meno, la grande distribuzione (con un trend di vendite in costante crescita negli anni) sfrutterà l’incremento di margine derivato dalla riduzione dello sconto per ampliare l’offerta e rivolgersi più direttamente ai lettori forti (quindi, allo stesso pubblico delle librerie), gli editori saranno costretti a recuperare non solo attraverso un innalzamento dei prezzi ma anche per mezzo di una riduzione dello sconto praticato ai rivenditori. Correttamente, nella lettera non si fa mistero che la legge danneggi le sigle del gruppo e in particolare il marchio Mondadori, in quanto rappresenta un ostacolo normativo all’indirizzo strategico che si è data la casa editrice di Segrate: promuovere la lettura e allargare il mercato tramite una politica di sconti a librerie, grande distribuzione e, per effetto di ricaduta, al pubblico.
C’è dunque un anno di tempo per vedere cosa accadrà realmente; ovvero, se la piccola e media libreria (il problema dello sconto, di fatto, tocca solo tangenzialmente i numeri di chi ha un grande volume d’affari come le librerie di catena) saprà sfruttare vantaggiosamente la tenzone con i supermercati (che riguarda prevalentemente i best seller), sottraendo effettivamente quote di mercato alla grande distribuzione e innalzando il cash flow portato dai titoli da classifica.
Così gravida di promesse, la legge sul libro dovrebbe essere il fatto principale dell’annata, ma il condizionale è d’obbligo per diversi motivi. Il primo, perché rimane aperta una questione trascurata: il margine di sconto che gli editori concedono a librerie e catene con un grosso volume di affari. Non è una novità, è nella logica del commercio. Ma se un libraio acquista i libri dall’editore a un prezzo sensibilmente inferiore dal 10% fino al 20% in più rispetto a quello che può ottenere una libreria medio-piccola, va da sé che si creerà una concorrenza impari tra librerie (un lungo contenzioso legale su questo tema contro le catene si è risolto in USA con la sostanziale sconfitta dei librai indipendenti). Ci sarà chi avrà margine per offrire sconti e chi no, chi potrà fare campagne di sconto lunghe e su titoli a rotazione e chi potrà farle solo con l’aiuto specifico dell’editore, con dinamiche di concorrenza ancora tutte da vedere.
Il secondo, più importante motivo, viene da alcune osservazioni sull’editoria internazionale e dai confronti e dalle relazioni che si possono istituire con quella italiana: trend e fenomeni che aggiungono interrogativi più che certezze sul presente e sul futuro dell’editoria libraria in generale.
Considerando solo i grandi mercati, Francia, Germania e Spagna hanno da tempo un regime di regolamentazione degli sconti; il Regno Unito lo ha abbandonato a metà degli anni Novanta, gli Stati Uniti non l’hanno mai avuto.
Per la Francia della legge Lang, che è servita come modello a quella spagnola e a quella italiana, il 2000 è stato un anno memorabile il migliore del decennio con una crescita generale di oltre il 4,5% (Livres Hebdo/I+C). Fatturato complessivo 2000, oltre 17 miliardi di franchi, + 4,3% (Syndicat national de l’édition). In Spagna il trend indica una crescita costante e vigorosa: + 4% nel 2000 (anche se di poco superiore all’inflazione), pari a un fatturato di 420.780 milioni di pesetas (Federacion de Gremios de Editores de Espana). Stabile, ma con la sensazione che tiri aria di crisi ( + 1,5% previsto per il 2001), la Germania, + 2,1% nel 2000, pari a vendite complessive (editori e librerie) di oltre 18,5 miliardi di marchi (Borsenverein).
La miglior performance in assoluto spetta però al Regno Unito: i dati relativi a indagini che usano criteri differenti concordano comunque su una crescita del 7,5% a valore nella vendita al dettaglio (grosso modo 954 milioni di sterline nel canale librerie), mentre la stima del solo «consumer book market» (escluse esportazioni, vendite dirette degli editori, vendita di diritti, ecc.) è compresa tra 1,8 e 2 miliardi di sterline (BookTrack/Taylor Nelson Sofres; Book Marketing Ltd. Una stima approssimativa del mercato complessivo del libro in UK è di circa 3,5 miliardi di sterline). Negli Stati Uniti, il principale mercato librario, si registra una variazione delle vendite compresa tra più 1% e meno 1,6% (due indagini: Ipsos-NPD BookTrends e Veronis Suhler); l’Association of American Publishers stima le vendite complessive del mercato del libro oltre 25 miliardi di dollari.
In Italia, il fatturato globale ha registrato nel 2000 un modesto incremento dell’ 1 % (AIE), che non recupera l’inflazione. Il dato si commenta da sé.
Come giudicare, alla luce di questi dati, l’efficacia di una legge sul prezzo fisso? In base a quali motivazioni, l’Italia ha optato in una prospettiva che si sarebbe voluta a lungo termine per questa soluzione? I migliori risultati sono stati ottenuti dal Regno Unito (senza prezzo fisso), e da Francia e Spagna (con prezzo fisso); Stati Uniti, Italia e Germania non hanno registrato una buona performance, per quanto con regimi completamente diversi.
La risposta potrebbe essere cercata nella particolarità del mercato librario, strettamente connesso alla storia e al tessuto socioculturale su cui poggia. L’Italia ha, di particolare, uno zoccolo duro di forti lettori: una percentuale minima, 6-8%, che assorbe però circa la metà delle vendite. La precarietà strutturale di un simile mercato è evidente; per questo il principale obiettivo del comparto editoriale è da anni quello di «allargare il mercato». Negli ultimi cinque anni i migliori segnali in questo senso li hanno dati due fenomeni ben identificabili: il fattore prezzo (la crescita di tascabili e supereconomici, lo sconto, la crescita della grande distribuzione) e la notevole vitalità creativa ed economica del libro per ragazzi, possibile (non certa) promessa di una nuova e robusta generazione di lettori pronta dietro l’angolo.
Nel 2001, però, sono arrivati altri segnali negativi per il mercato italiano. Secondo l’Istat i lettori di libri sono scesi al 38,6%, il livello di dieci anni fa (contro il 41,9% del 1998); anche i piccoli lettori non crescono: dal 1998 al 2000 sono calati del 3,8% (AIE/Doxa) e gli acquirenti di almeno un libro per ragazzi in un anno del 3,2%. Ancora; solo il 7,5% degli italiani frequenta abitualmente una delle 25.000 biblioteche del Belpaese, e appena il 26% (contro il 65% degli americani) c’è entrato almeno una volta in un anno (AIB).
A tutto questo si aggiunge l’aumento delle tariffe postali (il triplo) applicate all’editoria; l’incertezza della riforma scolastica, che rende difficile per gli editori un’efficace programmazione in un settore che ha fatturato 1.236 miliardi a prezzo di copertina (AIE, 2000), e il persistente danno causato dalle fotocopie illegali che, a dispetto di una legge e un accordo tra editori e fotocopiatori, causano ancora al settore scolastico universitario un danno stimato 571 miliardi per il 2000 (AIE).
Le difficoltà di questa situazione si riversano, chiaramente, su tutta la filiera editoriale ma, nonostante tutto, l’Italia è il quinto mercato librario (seguita solo dalla Spagna, Giappone escluso), vanta un fatturato di tutto rispetto, 6.732 miliardi nel 2000 (stima non definitiva per libri, prodotti dell’editoria elettronica, export di prodotti e servizi editoriali AIE) e presenta numerose caratteristiche comuni ai maggiori mercati dell’Occidente.
Queste le principali: il 2001 ha evidenziato che anche in Italia il processo di concentrazione editoriale non si arresta, moltiplicando le acquisizioni e le joint venture sia in Italia sia all’estero; quindi una più marcata tendenza alla diversificazione in attività extra o para editoriali, e dato strutturale la presenza di tre-quattro gruppi in posizione dominante nella libreria e nella grande distribuzione; resta comunque vitale e attiva la media e piccola editoria, seppure con dinamiche differenti rispetto a quelle di qualche anno fa. E aumentata, infine, l’attenzione verso i processi gestionali; cresce, seppur lentamente, il sistema di teleordering Arianna per razionalizzare i rapporti editore-distributore-libreria, e si muovono i primi passi nelle incognite della «nuova editoria», dal libro elettronico all’e-learning, l’apprendimento a distanza.
Se allarghiamo lo sguardo al panorama mondiale del libro, quindi ai grandi gruppi dei media, l’anno passato ha definito in modo più chiaro il peso e il ruolo del libro nell’industria dei contenuti sottolineando, anche in rapporto alle sollecitazioni promosse dall’informatica, due fenomeni da considerare su piani complementari piuttosto che contrapposti.
In Occidente, il libro sta perdendo progressivamente quota nell’attività dei grandi gruppi dei media. Anche per i paesi dove esiste un pubblico (relativamente) di massa, come quello di lingua inglese, il libro rimane un prodotto di élite; l’evolversi dei consumi culturali, la concorrenza degli altri media, la particolarità di essere localizzata e vincolata da un’area linguistica non fanno dell’editoria libraria un’industria particolarmente appetibile per chi ha denaro da investire. Al tempo stesso, l’editoria libraria è un importante serbatoio di contenuti che cerca nuovi sbocchi sia nell’area delle tecnologia dell’informazione, sia nel settore scolastico educativo (sul quale si sta concentrando l’attenzione dei potentati della comunicazione ed è l’unico fra i settori editoriali, a livello internazionale, che gode di buona salute), sia nelle possibile convergenza sull’e-learning. Ma i contenuti per questi altri canali di vendita sono prevalentemente i repertori, le banche dati, i testi per la formazione. Letteratura e saggistica non sembrano proprio fatte per lo schermo di un computer.
Per quanto riguarda il primo aspetto, basta dare uno sguardo alle grandi major per vedere come il libro stia perdendo di interesse, anno dopo anno, per molte aziende nate come case editrici. Qualche esempio.
Bertelsmann, insieme a Vivendi Universal, Aol Time Wamer, Viacom, Walt Disney e Pearson, è uno dei più grandi media group mondiali, con interessi che, da quello librario (suo settore di nascita), si sono via via allargati a ogni settore della comunicazione (riviste, radio, televisioni, Internet, e-commerce, ecc.). Nell’anno fiscale chiuso a giugno 2000 i ricavi sono stati di 17,86 milioni di dollari. La divisione Bertelsmann Buch (140 sigle sparse perii mondo) ha assunto dal primo aprile 2001 la denominazione Random House, quella del gruppo americano acquisito da Bertelsmann nel 1998; la sede centrale è stata spostata da Monaco a New York e tutti in azienda, anche i tedeschi, comunicheranno in inglese. Oggi Random House è il più grande editore librario del mondo (The Book Sales Yearbook 2001-The Bookseller), ma incide solo per il 14% (1,85 milioni di dollari, + 9,3% nel 2000) sui ricavi di Bertelsmann («Publishers Weekly»; The Bookseller). Pochi anni fa questa percentuale era del 30% circa.
Qualche esempio italiano. I ricavi consolidati di Mondadori il secondo gruppo editoriale del Belpaese, ma il primo come quota di mercato nel canale libreria e nella grande distribuzione (oltre 750 miliardi i ricavi della Divisione Libri) hanno raggiunto, nel 2000, oltre 2.870 miliardi di lire di fatturato consolidato. Anche Mondadori è nato come editore di libri, per aggiungere alla sua attività originaria le riviste, la distribuzione e il retailing di libri e prodotti informatici, società che operano nel multimedia, in Internet e un poderoso complesso tipografico. Nelle banche dati finanziarie, però, il marchio Mondadori è classificato nella sezione «periodicals», e la Divisione Libri rappresenta circa il 26% del fatturato, meno della metà di quello della Divisione Riviste (Milano Finanza; bilancio Mondadori).
Rizzoli, nata editrice libraria, è «diventata» già da parecchi anni RCS Libri, una divisione di RCS Editori (ramo della holding Hdp) che, grazie anche al controllo di vari quotidiani, è il principale gruppo editoriale italiano (consolidato del 2000, 3.396 miliardi di lire, + 13,5%). Nel bilancio 2000 di RCS Editori, RCS Libri ha fatturato 517 miliardi di lire, pari a una quota del 15,2%; quota destinata ad aumentare nel 2001 (fino a 1.200 miliardi, dichiara RCS), dove saranno contabilizzate varie acquisizioni italiane ed estere, tra le quali quella di Flammarion (bilancio Hdp 2000).
Le attività di De Agostini sono sempre meno dedicate ai libri tanto che la holding di Novara si distingue per una singolare bizzarria: nel 2000 l’utile netto derivato in gran parte dalla cessione della partecipazione in Seat Pagine Gialle è stato di 3.430 miliardi, superiore addirittura al fatturato, 2.225 miliardi («la Repubblica»). Dove investirà tutti questi soldi, visto che libri e multimedia rappresentano solo il 5,4% dei ricavi?
Su un territorio contiguo, si nota l’ancor più ridotta incidenza di aziende, rami d’impresa, sussidiarie la cui attività sono i libri, all’interno delle grandi concentrazioni mediatiche internazionali: Simon & Schuster rappresenta il 3% del fatturato di Viacom; Vivendi Universal Publishing, la ex Havas, rappresenta solo l’8,3 % del fatturato della casa madre Vivendi Universal; Time Warner Trade Publishing il 4,9% del fatturato di AOL Time Warner Ine.; percentuale che sarebbe un numero decimale se si considera che l’intera galassia AOL Time Warner ha fatturato oltre 36 miliardi di dollari nel 2000 (Hoover; Bloomberg).
Questo non vuol dire che il libro stia diventando una specie in via di estinzione. Anzi. Dovrebbe essere rassicurante sapere che gran parte dei giganti dei media reputino strategico e funzionale al proprio business avere il controllo di case editrici librarie. Però gran parte del business editoriale si gioca su quotidiani e periodici, forti dell’indotto pubblicitario e gli Stati Uniti dove l’ideologia del profitto è più sentita hanno venduto agli europei il meglio della loro editoria libraria. Possiamo quindi dire, senza trionfalismi, che il libro resta comunque, all’estero come in Italia, un attore, ma un attore non protagonista. E quindi comprensibile che parlare di «destino del libro» induca nell’editoria un sentimento ansiogeno che si esprime nei modi più vari: da quelli più innocui a gravi e poco comprensibili errori negli investimenti, soprattutto riguardo alle nuove sirene tecnologiche.
Alla prima categoria appartengono i mai sopiti amarcord sui valori dell’editoria-di-una-volta. Nel corso del 2001 le numerose celebrazioni di personaggi ed eventi editoriali sono spesso state accompagnate da articoli e discorsi che hanno riconfermato quanto una parte dell’editoria e del giornalismo culturale si crogioli in una concezione superelitaria del libro, pronta a rispolverare la polemica sempreverde che contrappone gli editori-veri ai manager. Eppure, se guardiamo la storia recente, chi ha saputo esprimere solo le proprie doti intellettuali è stato spesso costretto a passare di mano la casa editrice, a cambiar lavoro o a chiudere. Su questa nostalgica querelle, che potrebbe essere archiviata una volta per tutte, grava un vizio di forma: il contesto editoriale è cambiato così profondamente negli ultimi vent’anni che oggi gli editori e i dirigenti editoriali sono, necessariamente, inequivocabilmente, sia intellettuali sia manager, indipendentemente dalla dimensione aziendale.
A questo proposito, una chiosa. Se è vero che si allarga la forbice tra le grandi case editrici e i medi e i piccoli editori, tanto che fra questi ultimi solo in pochissimi sono riusciti a crescere abbastanza per compiere il salto di categoria, è altrettanto vero che «crescere» (o, comunque, crescere molto) non è necessariamente un imperativo per restare sul mercato. Le case editrici di medio calibro hanno come obiettivo mantenere la posizione, tenersi stretti i lettori (ma anche gli autori, i consulenti, i redattori) e sfruttare le doti di una struttura più piccola per essere più veloci, creare prodotti nuovi con poco investimento, comunicare in modo più friendly con la stampa, affinare il ruolo di ricerca e di scoperta di nuovi autori cercando di farli diventare best seller prima di farseli portar via da chi ha un portafoglio più ricco -, contrapporre la propria «personalità» alla crescente mancanza di immagine dei grandi marchi.
L’espansione può arrivare con un titolo particolarmente fortunato, ma è quasi come vincere la lotteria. Resta il «duro» lavoro creativo, fatto di progetti e di contatti, oltre a una gestione molto attenta dei costi e di quella quota, piccola, che si può dedicare agli investimenti. Anche fra medi e piccoli, dunque, l’editore (e l’editor) non può sottrarsi a competenze manageriali: la soglia di accesso al mercato rimane abbastanza bassa ma, rispetto agli scorsi anni, la richiesta di solidi programmi sia editoriali sia gestionali è una condizione imprescindibile per essere distribuiti e per trovare credibilità in libreria. Oggi, per quanto riguarda la media e piccola editoria, dal mercato si può uscire tanto velocemente (o restare ai margini) quanto facilmente ci si è entrati.
Torniamo alle questioni ansiogene legate al «destino del libro». Il 2001 ha visto molte riflessioni e iniziative sul futuro digitale del libro e una radicale battuta d’arresto sul futuro del libro digitale: l’e-book per adesso ha fatto flop. Un flop annunciato da tempo, che l’editoria d’oltreoceano, e in misura minore quella europea, non hanno voluto vedere.
Alle varie, complementari interpretazioni (tutte le possibili va riazioni sul tema «non si può non esserci», usato d’impulso, senza prendere tempo) di una svista così clamorosa, ne aggiungiamo una che chiamiamo arbitrariamente «ansia del futuro».
Una decina di anni fa la guerra del Golfo segnò l’inizio di un periodo di profonda incertezza per l’editoria libraria e di una crisi conclamata per quella italiana in particolare. All’epoca l’industria informatica, in piena espansione con le prime generazioni di Pc, tirò fuori dal cappello il cd rom: fra editori e compact disc fu subito amore. Un po’ forzato, a dire il vero, dal diktat «essere digitali», che arrivò qualche anno dopo accompagnato dalla malcelata minaccia che il libro cartaceo sarebbe diventato da lì a poco una cosa da museo.
All’inizio degli anni Novanta il cd aveva molte eccezionali qualità; piccolo e trasportabile, poteva raccogliere migliaia di pagine, permettere la ricerca full-text e altre meraviglie: era la strada che avrebbe portato il libro in un inimmaginabile futuro digitale e, soprattutto, aperto nuovi mercati. E qui sta il punto. Tra il 1990 e il 1995 il mondo del libro fu incantato dal verbo binario, e con l’evolversi della tecnologia i cd rom diventarono veicolo per nuove categorie di prodotti: gli ipertesti, la multimedialità e l’interattività. I mercati possibili si dilatavano, quasi quanto l’immaginazione. Umberto Eco si cimentava con grandi opere multimediali, «Medias» a Cannes era la fiera più esclusiva e selettiva. Però il multimediale non decollò: pensarlo e produrlo costava carissimo; i prezzi al pubblico erano decisamente fuori mercato; la ricezione, spesso, tutt’altro che intuitiva, per nulla interattiva e a volte inconcludente. Il successo arrivò subito per le banche dati come i repertori legislativi e normativi; ma il prodotto multimediale vero, l’ipertesto che doveva essere l’evoluzione del libro ebbe un’accoglienza e una diffusione molto al disotto delle aspettative.
Poi arrivò Internet, gratuito, multimediale, interattivo, un ipertesto dalle risorse praticamente infinite. E di fronte a qualcosa di così innovativo, né supporto, né prodotto, non paragonabile al cd rom, una seria riflessione sugli errori di valutazione del nascente mercato elettronico passò in secondo piano Internet ha facilmente alimentato l’illusione che ogni soluzione tecnologica potesse avere un mercato e visto che la tecnologia non è avara, il libro poteva avere un vero futuro, alternativo alla sua attuale natura cartacea. Da Amazon agli e-book, dai siti editoriali alla gestione e alle aste dei diritti d’autore on-line: in cinque anni l’editoria libraria si convinse, in un crescendo quasi senza limiti, di poter creare una sorta di mondo parallelo su Internet. Con nuovi prodotti e nuovi, vastissimi mercati.
Non è stata la crisi della borsa, l’esplosione delle bubble share (la cosiddetta bolla azionaria) e l’improvvisa sfiducia verso i titoli tecnologici a far chiudere una dopo l’altra gran parte delle librerie virtuali, a far crollare, di colpo, i siti dedicati alla gestione e alla compravendita dei diritti o a far naufragare l’e-book, ma la palese insufficienza dei servizi e dei prodotti, l’incoerenza dei progetti, la mancanza di mercati reali, e business pian evidentemente basati sull’ottimismo.
Come è potuto succedere che una libreria virtuale sottostimi i costi della logistica, che una rights.com non si renda conto che editori e agenti non avrebbero mai gestito i diritti in maniera spersonalizzata? Come mai in pochi hanno detto subito che un libro elettronico è illeggibile, sia su un reader portatile sia sul più sofisticato degli schermi, perché la ricezione di un testo lungo, come la lettura di un libro, è legata ad altri usi, ad altre coordinate e ai limiti fisiologici dei nostri bulbi oculari?
Provocatoriamente, del flop degli e-book è più responsabile la parte «intellettuale» dell’editore che non quella «manageriale». La vertigine di diffondere i propri libri nell’universo mondo attraverso un click, il sogno di arrivare «direttamente» al lettore, e di risolvere per sempre il problema delle rese abbaglia più difficilmente uno spirito manageriale, abituato per formazione a far quadrare i conti e valutare i rischi. L’e-book è stato realizzato da informatici, ma seriamente incoraggiato dagli editori, e anche grazie a loro ha subito volteggiato senza paracadute.
Per concludere, il collasso, almeno temporaneo, di gran parte delle iniziative editoriali sul web e quello clamoroso del libro elettronico hanno forse un’origine lontana, quella prima ebbrezza che dieci anni fa colse l’editoria in affannosa ricerca di nuovi prodotti e nuovi mercati con i testi su cd rom. In effetti, il settore dell’editoria elettronica in Italia rappresenta un segmento di mercato pari a 623 miliardi con una crescita del 8,8%, costituito da prodotti che in larga parte sono supporti didattici allegati a libri (+34,5% nel 1999) o prodotti editoriali di varia natura venduti in edicola (in che percentuale sono giochi, software, immagini? quanti sono effettivamente riconducibili ai contenuti o all’idea di libro?). Resta da vedere perché quegli stessi cd non sono praticamente entrati, come prodotto autonomo, in libreria, e perché dopo anni li troviamo regolarmente come gadget a pagamento di questo o quel settimanale. In mancanza di un’indagine accurata, resta la constatazione che un mercato per quanto contenitore di prodotti editorialmente diversi si sia effettivamente creato (grazie anche al diffondersi dell’hardware nelle famiglie e nelle scuole), ma che il «lettore elettronico» con una sua completezza e consapevolezza non esista ancora.
E anche sulla scorta di queste considerazioni che possiamo interpretare il flop dell’e-book, almeno per come è adesso. Inoltre, suonava ben chiaro un campanello d’allarme: se il romanzo su cd rom non ha incontrato il favore del pubblico, perché avrebbe dovuto incontrarlo il suo analogo, l’e-book scaricabile dalla rete e leggibile sullo schermo di un computer? È singolare, inoltre, che il crollo di borsa dei titoli tecnologici, il ridimensionamento dei siti, i flop di tecnologia legata alla rete siano stati descritti dalla stampa come «le false promesse di Internet», quasi esistesse un essere antropomorfizzato, imbonitore di folle e truffaldino. Internet, di per sé, è non umano, non parla e quindi non può promettere niente. Siamo noi che, con una capriola logica, gli attribuiamo questo genere di capacità. E siamo noi che dovremmo, dopo aver sperimentato il vero e l’illusorio della telematica, valutare caratteristiche, possibilità, specificità delle «nuove promesse di Internet» legate all’editoria: il Pod (Print-ondemand) e l’e-learning.
Il Pod si basa sulla stampa digitale, una tecnologia presente da una decina d’anni e sempre più usata dall’editoria libraria per le piccole tirature. Le macchine, però, sono state fino a ora molto ingombranti e molto care. Ma nel 2001 un brevetto americano ha ridotto il tutto alle dimensioni di una fotocopiatrice professionale con un prezzo di non molto superiore.
I vantaggi per editori e librai sarebbero parecchi. Non più libri fuori catalogo, soddisfazione delle richieste del cliente, assenza di rese, abbattimento dei costi di distribuzione. Tuttavia il Pod non è ancora decollato, per quanto più di un anno fa alcune grandi catene di librerie americane lo annunciassero come imminente.
I problemi sono molti e comprensibili. Innanzitutto è difficile valutare la dimensione del mercato potenziale: negli Stati Uniti uno studio di IDC lo valuta oggi oltre i 50 milioni di dollari e, in proiezione, 118 milioni di dollari nel 2003. Uno studio di Venture consulting che tende però a mescolare il Pod, la stampa digitale e le pubblicazioni di autori a proprie spese valuta oltre 50 milioni di euro le nicchie di mercato non coperte, come quelle degli scrittori poco conosciuti, le pubblicazioni universitarie e quelle professionali; senza dati sicuri, come capire se i costi di conversione e gestione del testo in un formato digitale ad hoc (o di conversione del testo in un formato digitale tout court per libri di oltre dieci anni), generalmente delegati ad aziende esterne, i costi di gestione dei diritti, l’acquisto e l’installazione delle macchine da stampa e rilegatura possono diventare un business? Per molti non si tratta di una scommessa ma di una realtà, tanto che persino Random House sta sviluppando un proprio progetto, anche se un mercato da 250 miliardi di lire è per l’editoria americana solo una piccola nicchia.
Rimane poi un problema, per così dire, di fanta-editoria. Su titoli fuori catalogo o praticamente non più distribuiti il vantaggio sarebbe evidente. Ma proviamo a immaginare le migliaia di titoli a rotazione molto bassa (non importa se in hard cover o in tascabile) presenti in libreria. Titoli, ad esempio, di cui si vende una copia l’anno, ma che sono giudicati importanti per l’assortimento. Si tratta, per il libraio, di un capitale im mobilizzato e, per l’editore, di una forma di finanziamento (il titolo di fatto è venduto alla libreria). Se il mercato del Pod raggiungesse un volume d’affari importante sarebbe abbastanza naturale che i librai mandassero in resa quegli stessi titoli per chiederli in digitale quando necessario. Per adesso, prendiamo per buone le parole di Peter Olson, direttore generale di Random House, che in una recente intervista («Le Monde») ha dichiarato che se per l’e-book il rubinetto degli investimenti è chiuso, «Il print-on-demand comincia ad avere un impatto positivo, in termini di vendite addizionali, sui titoli dei nostri cataloghi. A breve, contribuirà positivamente ai nostri risultati». Come dire, non è fanta-editoria. Almeno per adesso.
Ultima arrivata, ma non meno importante tra le nuove aree che interessano l’editoria del futuro è l’e-learning, l’apprendimento a distanza, che nel 2001 ha attirato come non mai l’interesse di editori, imprese e istituzioni nazionali e internazionali. Negli USA, pionieri nel campo anche perché oltre il 30% della popolazione (pari a 70 milioni) ha accesso a Internet, la domanda è in continua crescita: nel 2002 gli iscritti saranno 2,2 milioni, pari al 15% della popolazione scolastica di college e università. Le previsioni indicano un’espansione veloce e impressionante del giro d’affari: per il solo mercato consumer, che dovrebbe più o meno coincidere con l’on-line di didattica per scuole e università, la stima per il 2001 è di oltre 3 miliardi di dollari, cifra destinata a crescere di almeno il 25% all’anno per arrivare a 5,5 miliardi nel 2003 (Gartner) di cui 2,4 nella sola Europa (Idc). Alla seconda edizione del World Education Market di Vancouver, l’e-learning è stato l’argomento caldo, anche perché il mercato dell’educational è in crescita costante, con un giro d’affari stimato per il 2002 in oltre 90 miliardi di dollari. Di fronte a questi dati, sarebbe difficile negare che l’insegnamento a distanza potrebbe diventare il business di domani: da Pearson al MIT tutti i grandi editori di educational/testi professionali e molte tra le principali università stanno sviluppando e commercializzando programmi di formazione a distanza; l’Unione Europea ha varato un programma ad hoc con fondi e obiettivi da raggiungere per il 2003, si muovono anche le università italiane (già on-line e su TV da qualche anno il progetto Nettuno, gestito dal MURST e della Rai; altre iniziative sono nate nell’ateneo di Bologna e al Politecnico di Milano, solo per citarne alcune); il ministro Moratti pensa alla formazione on-line degli insegnanti e grandi aziende come Nestlé, Ibm, Procter & Gamble a quella del proprio personale.
I costi di produzione sono però molto alti e solo un giro d’affari come quello previsto potrà far diventare la formazione a distanza interessante e redditizia per le case editrici, tanto da metterle al centro di questo settore dell’industria dei contenuti. Inoltre, lo scarso livello di alfabetizzazione informatica italiana è un handicap; è difficile apprendere concetti difficili senza la presenza umana di un tutor e, in genere, il coinvolgimento dello studente on-line è minore. E probabile che i tempi non siano poi così maturi e sarebbe prudente smorzare i toni e verificare meglio le previsioni. Ma scuola e formazione possono contare su una necessità imprescindibile della società e su un incremento demografico inarrestabile. E l’editoria, forse tra qualche decina d’anni, potrà contare su nuove generazioni di lettori.
All’ultima Buchmesse è stato (momentaneamente) seppellito il libro elettronico per riconsiderare l’ipotesi di una vita ancora lunga per il libro cartaceo. Di fronte all’evidenza si è tornati con i piedi per terra. La girandola di illusioni, successi, promesse e fallimenti che ha scosso l’editoria in questi ultimi anni ha però dato l’opportunità di confrontarsi oggi con molti problemi di domani, tra i quali la gestione dei diritti su qualsiasi media, la crittazione dei contenuti, la necessità di un criterio più complesso e flessibile per la catalogazione, la gestione dei possibili bypass del sistema distributivo (con un rapporto diretto editore-lettore e autore-lettore) e soprattutto ha lanciato la parola d’ordine «digitalizzare tutto». Le grandi case editrici stanno già investendo in programmi e data entering per gestire tutte le risorse editoriali e far circolare nel modo più economico possibile dati, informazioni, materiale editoriale di qualsiasi genere. Vuol dire muovere i primi passi verso un modo diverso di pensare l’organizzazione interna e quindi lo stesso mestiere editoriale. Per adesso, quando ci sono, sono solo piccoli passi. Ma ci si augura che il processo sia in accelerazione per non farsi trovare impreparati quando si chiederà al mondo del libro di essere tecnologicamente adeguato e più reattivo, più veloce nel prendere decisioni e nel realizzarle. A guardar bene le idee di base e la tecnologia ci sono già. Il futuro, in fondo, è già passato.

Alti e bassi italiani
Passando dai bit agli atomi (di carta) e ai capitali (di danaro), nell’editoria italiana tra la fine del 2000 e la fine del 2001 l’attenzione si posa su pochi ma importanti avvenimenti, che potrebbero lentamente cambiare la scacchiera del mondo del libro, e sulla conferma di trend già in atto negli anni scorsi.
Il panorama, sostanzialmente, non è cambiato in nessun settore. Il gruppo Mondadori (con Einaudi), RCS Libri (Adelphi incluso), il gruppo Longanesi e, più distanziato, Feltrinelli erano e restano i protagonisti del mercato librario della varia (De Agostini e Giunti meritano un discorso a parte). Nell’editoria per ragazzi conducono Salani (gruppo Longanesi) innanzitutto, seguita da Mondadori, Piemme e dalle sigle che fanno capo a RCS Libri, E.Elle e Dami-Giunti, quindi con quote nettamente minori Walt Disney e De Agostini. Nella scolastica, il gruppo Mondadori, RCS Libri e il gruppo Zanichelli sono i leader di mercato (con quote molto simili), seguiti a breve distanza da Paravia-Bruno Mondadori e, più distanziato, Petrini.
Se le posizioni all’interno del mercato non sono cambiate vistosamente, i grandi gruppi si sono impegnati in numerose acquisizioni, in Italia e all’estero, in dismissioni di rami di impresa e in chiusura di alcune attività. Le principali operazioni sono quasi tutte di natura libraria anche se numerose operazioni minori sono in campo extralibrario. Per molte, in maniera più o meno netta, l’obiettivo del digitale.
Questi i principali avvenimenti che riguardano l’editoria libraria:
Nel corso del 2000 RCS Editori e la controllata RCS Libri lanciano una robusta campagna di acquisizioni che continua nel 2001. Nel 2000 RCS Libri acquisisce il 51 % di Marsilio e stringe una joint venture con Skira Editore (70-80 miliardi di fatturato previsti nel 2001) nell’editoria d’arte (entra con il 29% nella holding ginevrina Editions d’Art Skira con la prospettiva di portare le quote al 50%). Poi, a ottobre, per una cifra (misteriosa) compresa tra i 230 e i 400 miliardi di lire acquisisce il 77% di Flammarion, quinto gruppo editoriale francese (fatturato 2000: oltre 1,28 miliardi di franchi, +15,5%).
In agosto 2001, nuovo colpo di scena: RCS Editori cede a Feltrinelli, per 41 miliardi, la catena di librerie gestita da RCS Libri. Si tratta di 37 punti vendita che operano sotto i marchi Rizzoli, Rizzoli Store (franchising) e Finlibri con un fatturato di circa 70 miliardi e 2 miliardi di perdite. La catena Feltrinelli sale così a 97 punti vendita (compresi i 23 Ricordi Mediastore), un fatturato previsto per il 2001 di 500 miliardi, oltre 1.200 dipendenti, e diventa la più grande catena libraria italiana. Feltrinelli, chiusa a febbraio 2001 la libreria on-line Zivago (nata un anno e mezzo prima da una partnership con Kataweb-L’Espresso), in ottobre acquisisce una «quota strategica» di Apogeo, casa editrice di informatica che da un paio d’anni si occupa di formazione aziendale e universitaria.
Apogeo, a sua volta, ha fondato (ottobre 2001) insieme a Messaggerie Libri e Longanesi «Carta Digitale», una piattaforma digitale che si offre agli editori per sviluppare gli e-book e l’e-learning. Il gruppo Longanesi crede fermamente in Internet (con un originale sito dedicato alla scrittura e alla lettura) e nel libro elettronico; e manda avanti il progetto di cui è partner che dovrebbe essere attivo per la fine del 2001. Per il resto, il consueto understatement lascia intuire che i libri, e solo i libri, sono il core business del gruppo legato a Messaggerie.
Joint venture 50%-50% tra Mondadori e Random House per conquistare la leadership nei mercati di lingua latina (luglio 2001). Al Grupo Editorial Random House Mondadori fanno capo Plaza y Janés per la Spagna (numero due dopo Pianeta), Sudamericana per Argentina, Cile e Uruguay, Grijalbo per Messico, Columbia e Venezuela. Sede a New York (negli obiettivi anche la conquista del mercato di lingua spagnola in USA) e fatturato previsto di 100 milioni di dollari. Al timone Riccardo Cavallero, già responsabile di Grijalbo in Spagna e quindi dei libri Mondadori in Italia. L’iniziativa è molto significativa per il suo valore strategico. A settembre la joint venture rileva il 100% delle Ediciones Beascoa (260 novità l’anno, 1.200 titoli in catalogo, licenza Disney e Fisher Price per le edizioni in lingua spagnola, leader in Spagna e America Latina nell’editoria per ragazzi). In maggio inizia il ridimensionamento di tutti i siti Boi di Random House: in Italia Boi è una joint venture con Mondadori ed è integrata nelle attività del club Mondolibri. In ottobre dalla partnership con e.Biscom nasce Academy 365 (controllata al 50% da Mondadori Informatica e al 50% da e.BisMedia) per sviluppare programmi di e-learning per aziende e università in banda larga.
La plusvalenza di oltre 3.000 miliardi realizzata da De Agostini (libri e multimediale rappresentano solo il 5,4% dei ricavi) con la cessione di Seat Pagine Gialle a Telecom crea un caso nell’editoria italiana. In un’intervista al «Sole 24 ore» Marco Drago ha detto che i soci sono intenzionati a lasciare gran parte di queste risorse all’interno del gruppo e che «più o meno la metà delle disponibilità finanziarie, 1.500-2.000 miliardi, sarà dunque dedicata nell’arco di più anni a sviluppare le attività per così dire tradizionali, ma ci sarà spazio per produzione cinematografica, sport, cartoon, a livello internazionale, light entertainment e cinema nazionale per i singoli mercati». La caccia al business è iniziata in sordina con l’acquisizione lo scorso settembre (per 34 miliardi) del 60% di Elea; obiettivo, quello di diventare leader nella formazione professionale scavalcando Ipsoa e Giuffré.
Non è evidente, ma per Giunti il libro è ancora un elemento importante, anche se marchi storici come Bemporad, Barbèra e la piccola Zanzibar non saranno più sostenuti. Nei libri il focus è sui marchi Giunti (soprattutto la scolastica per le elementari), Demetra e sulle librerie Demetra che hanno realizzato 115 miliardi di fatturato nel 2000. Il resto dell’attività sono le Industrie Grafiche (45 miliardi) e varie imprese nel multimediale, nella formazione, nella consulenza aziendale e nell’e-learning. In progetto, in joint venture con il gruppo Monti, canali tematici per la tv satellitare.
Nella media come nella piccola editoria, le sigle consolidate sono quelle di sempre, con qualche passista che anno dopo anno guadagna qualche punto nel fatturato, forte di un catalogo sempre più grande o di un ben concepito progetto di riposizionamento.
Nella media editoria bisogna citare innanzitutto Sellerio, uno dei pochi ex piccoli che ha definitivamente compiuto un salto di categoria; Baldini & Castoldi, marchio un po’ appannato ma sempre presente; molto attivo Laterza, anche con progetti di promozione della lettura (i Presidi del libro) nel quale sta coinvolgendo altri editori; il gruppo il Saggiatore; il gruppo editoriale Motta, che prosegue nello sviluppo di iniziative Internet, soprattutto nell’area educational; EDT che continua l’espansione nelle guide turistiche rimanendo indipendente, ma inserita a pieno titolo nel nuovo network internazionale di Lonely Planet Europe; Cortina, Il Mulino, Garzanti, Marsilio, Bollati Boringhieri ed altri.
Nella piccola editoria le sigle del 2001 sono e/o, Fanucci (sempre più orientato alla qualità), Fazi, Minimum Fax nell’area romana, Marcos y Marcos, Iperborea, a Milano.

I premi e i premiati 2001
ACQUI STORIA. Sezione storico-scientifica: Mark Mazower, Le ombre dell’Europa. Democrazie e totalitarismi del XX secolo (Garzanti). Sezione storico-divulgativa: Alfio Caruso, Italiani dovete morire (Longanesi).
ALASSIO 100 LIBRI. Un autore per l’Europa: Bruno Arpaia, L’angelo della storia (Guanda). Un editore per l’Europa: casa editrice UTET.
BALZAN. Sezione Storia e critica letteraria dal xvi secolo a oggi: Marc Fumaroli.
BAGUTTA. Serena Vitale, La casa di ghiaccio (Mondadori). Sezione Opera Prima: ex aequo, Luigi Guarnieri, Atlante criminale (Mondadori); Silvia Di Natale, Kuraj (Feltrinelli).
BANCARELLA. Andrea Camilleri, La gita a Tindari (Sellerio).
BOOKER PRIZE FOR FICTION. Peter Carey, True History of The Kelly Gang, (Faber and Faber).
CALVINO. Enrico Buonanno, Piccola serenata notturna (inedito). CAMPIELLO. Giuseppe Pontiggia, Nati due volte (Mondadori). PIERO CHIARA. Gianni Celati, Cinema naturale (Feltrinelli).
GIOVANNI COMISSO. Finalisti per la Narrativa: Alberto Ongaro, Il segreto dei Segonzac (Piemme); Roberto Pazzi, Conclave (Frassinelli); Helga Schneider, Lasciami andare, madre (Adelphi). Per la Biografia: Peter Ackroyd, Thomas More (Frassinelli); Annamaria Andreoli, Il vivere inimitabile (Mondadori); Claude Pichois, Alain Brunet, Colette (Bollati Boringhieri).
ENNIO FLAIANO. Michel Desbordes, Sofferta (Mondadori); Patrick McGrath, Martha Peake (Bompiani); Roberto Pazzi, Conclave (Frassinelli). Per la sezione Poesia: Charles Tomlinson. Vincitore premio SuperFlaiano: Roberto Pazzi.
GONCOURT 2001. Jean-Christophe Rufin, Rouge Brésil (Gallimard).
GRINZANE CAVOUR. Narrativa italiana edita: Giuseppe Bonura, Le notti del Cardinale (Nino Aragno); Manlio Cancogni, Il Mister (Fazi editore); Diego Marani, Nuova grammatica finlandese (Bompiani). Narrativa straniera tradotta e pubblicata in Italia: Chaim Potok, Il principio (Garzanti); Amin Maalouf, Il periplo di Baldassarre (Bompiani); Antonio Skàrmeta, Le nozze del poeta (Garzanti). Sezione Internazionale «Una vita per la letteratura»: Doris Lessing. Premio speciale: Toni Morrison. Premio autore esordiente: Richard Mason, Anime alla deriva (Einaudi). Premio di traduzione: Umberto Gandini. Premio «Civiltà dell’Editoria»: Hans Magnus Enzensberger.
EUGENIO MONTALE. Traduttore straniero: Mladen Machiedo. Libri editi: Silvia Bre, Le barricate misteriose (Einaudi).
NOBEL PER LA LETTERATURA. V. S. Naipaul.
NONINO 2001. Premio Internazionale: Ngugi Wa Thiong’go. Premio Internazionale a un maestro del nostro tempo: Raimundo Panikkar. Premio a un maestro italiano del nostro tempo: Suso Cecchi D’Amico.
PEN CLUB. Giuseppe Pontiggia, Nati due volte (Mondadori).
PROCIDA—ISOLA DI ARTURO-ELSA MORANTE. Gilberto Sacerdoti, Vento (Einaudi). Sezione Opera prima: Paola Pitagora, Fiato d’artista (Sellerio). Saggistica: Francesco Durante, Italo Americana (Mondadori). Traduttori: Camilla Saivago Raggi, Suspense. «All’Isola»: Giovanni Mariotti, Creso (Feltrinelli).
PULITZER. Michael Chabon, The Amazing Adventures of Kavalier & Clay (Random House). Traduzione italiana: Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay (Rizzoli).
RAPALLO-CARIGE. Paola Mastracola, La gallina volante (Guanda). Vincitrice Premio speciale della giuria: Elena Gianini Belotti, Voli (Feltrinelli). Opera prima: Caterina Bonvicini, Penelope per gioco (Einaudi).
STREGA. Domenico Star none, Via Gemito (Feltrinelli).
VIAREGGIO RÈPACI. Per la Narrativa: Niccolò Ammaniti, Io non ho paura (Einaudi). Per la Saggistica: Giorgio Pestelli. Canti del destino (Einaudi). Per la Poesia: Michele Ronchetti, Verbale (Garzanti).