Spade, mostri, sortilegi, superfemmine ed eroi di un passato favoloso: il genere fantasy, che a poco a poco va maturando anche in Italia, appare come una rivalsa contro la fantascienza. Le sue capacità seduttive si fondano sull’esaltazione scatenata delle facoltà irrazionali che assicurano il controllo della sorte grazie a risorse di tipo simbolico-virtuale. Così i raccontifantaeroici si qualificano come sintomi della cattiva coscienza e insieme palliativi per le inquietudini.
Ma ora vi chiedo: non siete stanchi di leggere di magie, di maghi e di nanetti con i piedi pelosi all’insù? Philip Kindred Dick, 1979
La necessità di impiegare un termine inglese per definire il fantasy la dice lunga sulle difficoltà incontrate da questo genere nella cultura italiana. Mentre il giallo e la fantascienza hanno trovato precocemente se non un ampio consenso tra i detentori del gusto, quanto meno una. denominazione originale nella nostra lingua, per il fantasy bisogna accontentarsi tutt’al più delle traduzioni letterali di Sword and Sorcery e Heroic Fantasy, «spada e stregoneria» o «fantasia eroica», che peraltro si attagliano a una parte soltanto di questo dominio narrativo – al filone ispirato a Howard piuttosto che a Tolkien -, escludendo i testi nei quali la cruenza dello scontro all’arma bianca non svolga una funzione di primo piano. E la mancanza di un nome conveniente indica quanto poco radicato sia il fenomeno nella vita letteraria del paese. Tuttavia basta forse l’adattamento semantico subito dal prestito inglese a rilevare una ricezione non del tutto inerte delle forme di racconto che esso designa. In effetti si tratta di un vocabolo che ha assunto una denotazione circoscritta e ben più specifica rispetto al senso originario: dalla più varia letteratura di fantasia, comprensiva del fiabesco come dello strano, del nonsense e del meraviglioso, il fantasy è passato a identificare il romance romanzesco imperniato sulla magia, qualificandolo come la fantasia per eccellenza, il fantastico più fantasioso. Paradossalmente l’italiano dispone, in questo modo, di una definizione del genere più precisa che non l’inglese, e offre quindi il presupposto terminologico per consolidarne l’identità editoriale e letteraria. In altre parole, l’adozione di un genere ben delineato nei suoi tratti costitutivi, se preserva gli scrittori e soprattutto chi li pubblica dai rischi della ricerca, offrendo moduli narrativi di provata efficacia, richiede però che la formula straniera sia “tradotta” e adeguata alla tradizione nazionale, perché possa sussistervi di vita propria.
La codificazione del fantasy è più recente rispetto ad altre tipologie di letteratura marginale. Nelle stesse culture anglosassoni in cui ha avuto origine e assunto le caratteristiche attuali, il suo statuto si è definito in epoca relativamente posteriore all’affermazione della science fiction. Comunque, a giudicare dalle proposte dei pochi grandi editori e dei tanti specializzati (Mondadori, Rusconi Libri, Tea Due, Longanesi, Nord, Fanucci, Armenia, Perseo Libri, Keltia, Tabula Fati), la domanda nostrana di fantasy non sembra affatto atrofica, mentre l’offerta di opere scritte in italiano appare ancora gracile. Le traduzioni dei romanzi statunitensi costituiscono tuttora gli oggetti privilegiati di lettura e promozione. D’altra parte, il pregiudizio anti-italiano di qualche dirigente editoriale, a dispetto dell’alacrità appassionata di autori e fautori, certo non ha giovato a irrobustire il fantasy nel sistema letterario nazionale, al di là del largo flusso d’importazione. Non pochi scrittori di fantascienza sono acclamati scrittori tout court, e pubblicati da case di rilievo che si contendono i loro titoli. Esemplare negli ultimi anni il successo di Philip Dick: nulla di simile avviene per alcuno scrittore di fantasy, eccetto forse il solo Tolkien – Il signore degli anelli, edito tra il 1954 e il l 955, è stato diffuso nei quarant’anni successivi in oltre 20 milioni di copie, ed è a tutt’oggi uno dei libri più letti, con traduzioni in decine di lingue. Salvo l’horror fantasy di Valerio Evangelisti e del suo Eymerich (su cui è intervenuto Bruno Falcetto in Tirature 2000), l’editoria maggiore non ha accolto al di fuori delle collane deputate i risultati più notevoli. Proprio la commistione dei generi, entro una cornice di genere solidamente definita, sembrerebbe invece il mezzo più adeguato per trovare soluzioni narrative originali e unificare pubblici contigui. Così, all’interno della fantasia eroica, i testi più pregevoli e di maggior successo sono quelli che ne saggiano i limiti, collocandosi su territori di confine: l’eroicomico e l’antieroico, il science fantasy, il pornofantasy e l’horror fantasy. La vocazione liminare di questo genere si rileva d’altronde nella propinquità ad altre forme espressive, dal fumetto all’illustrazione – spesso presente negli stessi libri di narrativa -, dal cinema ai videogame, i giochi di ruolo (Dungeons and Dragons) e di carte (Magic) .
In effetti, per definire le coordinate del discorso fantasy conviene instaurare un raffronto con la norma fantascientifica, dal cui alveo si è venuto differenziando a partire grosso modo da Under the Moons o/Mars di Edgar Rice Burroughs (1912), fino ad assumere caratteristiche peculiari. il dato che accomuna queste due modalità narrative entro l’eterogeneo calderone del fantastico, consiste nell’invenzione immaginosa, nell’estrosità fervida e visionaria. Ma se il racconto di fantascienza prende le mosse dai ritrovati più mirabolanti del progresso scientifico-tecnologico, inquadrati in un contesto di verisimiglianza avveniristica, al contrario il fantasy deriva le proprie capacità seduttive dall’onnipotenza fantasmagorica delle arti magiche, coltivate su uno sfondo di primitivismo barbarico. Da un lato l’esaltazione del raziocinio pragmatico, che consente alla civiltà il pervasivo governo del cosmo, dall’altro l’amplificarsi delle facoltà irrazionali, che assicurano il controllo della sorte e degli elementi grazie a risorse di tipo simbolico-rituale. Agli artifici del logos fantascientifico rispondono i prodigi del meraviglioso fantaeroico. Simmetrica rispetto al presente è la lontananza assoluta nel tempo, in direzione di un remoto futuro extraterrestre ovvero di un altrettanto remoto passato prestorico. Perde significato, in un caso come nell’altro, ogni cronologia cristocentrica. L’unica possibilità non di salvezza quanto di sopravvivenza risiede nel valore fisico o nella ragione logico-deduttiva, nelle virtù arcane o nei mezzi della tecnica; sempre si fonda sulle qualità morali dei protagonisti. La fantascienza, è vero, ammette anche ambientazioni in epoche prossime, di pochi anni successive all’oggi, ma la vicinanza temporale è per solito compensata dal divario tecnologico strepitoso che s’immagina intercorso tra l’attualità del lettore e la posterità fittizia. Non così per il fantasy, nel quale sembra imprescindibile la regressione in un tempo scevro di compromessi col presente: né potrebbe essere diverso l’atteggiamento rispetto a un’età imbevuta del sapere tecnico-scientifico quanto mai altre. Anche nei pochi testi in cui le coordinate temporali rinviano al futuro, l’ambientazione conserva caratteri affatto premoderni, pertinenti a un medioevo o una preistoria postapocalittici: alla civiltà tecnico-scientifica, venuta meno per vizio intrinseco o spontaneo esaurimento, subentrano comunque strutture culturali arcaiche. Più spesso che nella fantascienza, però, i mondi del fantasy si rivelano totalmente altri: sistemi termodinamici isolati privi di qualunque elemento che ne consenta una collocazione cronotopica rispetto all’universo extratestuale. Tempi e geografie dotati di una perfetta autonomia fantastica implicano così varie forme di vita antropomorfa, sistemi di sapere alternativi: nuove fisiche, biologie, letterature, mitologie, soprattutto nuovi linguaggi, usi e costumi.
n meraviglioso fantaeroico sorge proprio da una viva propensione etnologica a illustrare modi di convivenza e aspetti della cultura materiale. Perciò, mentre per la fantascienza è possibile individuare una filiazione dalle discipline d’impianto fisico-matematico, sul fantasy sembra preponderante la suggestione delle scienze umane, applicate tuttavia a ciò che umano non è. Vi trova posto infatti una tale varietà di popolazioni e specie più o meno difformi dall’Homo sapiens, che ogni antropocentrismo ne riesce sminuito, anche laddove siano gli uomini ad assumere il ruolo di protagonisti. Il frequente manicheismo appare bilanciato dallo sfolgorio straordinario e talora inquietante della scoperta. In quest’orizzonte d’irriducibile alterità si attua la rappresentazione amplificata del presente, dei desideri e delle ossessioni attuali: fare i conti con l’estraneo consente – ma a volte anche risparmia – di rivolgere uno sguardo straniante su di sé.
La nascita stessa di una letteratura fantasy è da porre in relazione alla prevalenza inaudita del razionalismo tecnologico, a fronte del quale essa avvalora le più sfrenate istanze irrazionalistiche dell’immaginario. Che questa tendenza narrativa prosperi in un regime di produzione e consumo – anche librario – organizzato proprio in base ai moderni principi del paradigma tecnico-razionale, è una contraddizione comune a vari aspetti della cultura di massa, ma raramente più palese che in questo caso. Il punto è che il fantasy, come altri settori della letteratura marginale, garantisce soddisfazione al bisogno di un’immediata integrità etica e affettiva, di esperienze totalizzanti, quali paiono impedite dal moderno criticismo razionalistico. Nel genere di spada e stregoneria, insomma, si esprime per via romanzesca un’ambizione all’epos che non avrebbe modo di manifestarsi, con altrettanta genuinità, in forme culturali più autorevoli.
L’affermazione consapevole del fantasy in Italia rimonta a poco più di vent’anni fa: la «Fantacollana» dell’Editrice Nord, la principale collezione di narrativa dedicata al genere, nasce nel 1973 , ma la prima opera italiana a esservi accolta è Balthis l’avventuriera di Gianluigi Zuddas, del 1982. Allo stesso anno risalgono le prime antologie di autori italiani, Le spade di Ausonia e I guerrieri di Ausonia (Akropolis), promosse da Gianfranco de Turris sull’esempio dell’analoga iniziativa americana di Lin Carter (Flashing Swords, 1973 – 1974, tradotta come Heroic Fantasy nel 1979). Seguiranno le raccolte annualmente edite da Gianni Pilo per Fanucci, da Spade e incantesimi (1984) a Daghe e malie (1988), che conferiscono maggior respiro e durevolezza al movimento. La misura del racconto si conferma a ogni modo come il limite insieme ideale e restrittivo entro cui esercitare modalità di scrittura ancora in gran parte amatoriali.
Per contro negli anni più recenti, con l’adattarsi di alcuni autori ed editori alle esigenze di un mercato librario industriale, vanno crescendo le narrazioni di maggior tenuta e dimensione romanzesca. Una robusta componente “ comica” allontana dall’opera di Gianluigi Zuddas l’aura di cupezza che tanto spesso incombe sul fantasy. I romanzi del suo «ciclo delle amazzoni», pubblicati tra il 1978 e il 1983 dall’editore La Tribuna di Piacenza e da Fanucci, sono stati rielaborati di recente per l’Editrice Nord. Senza dar luogo a esiti apertamente eroicomici, quasi incompatibili con il genere, vi predominano il gusto dell’affabulazione avventurosa, sciolta da ogni sovraccarico simbolico, e l’uso ammiccante, talora beffardo, dei tratti canonici. In questo caso i fantaeroi rudi e nerboruti sono di sesso femminile: le virago Ombra di Lancia e Goccia di Fiamma coniugano il loro spiccato senso di giustizia con la rozzezza e la ferocia proprie della soldataglia. Senza contare poi la suggestione delle loro grazie appariscenti, che l’autore generosamente esibisce. Nella tarda età del bronzo raccontata da Zuddas imperversano le pulsioni elementari, la sopraffazione e l’asservimento; ma accanto a fame, sesso, avidità, un occhio di riguardo è riservato alle necessità fisiologiche normalmente trascurate, dall’ escrezione alle mestruazioni. Proprio dal realismo talora grottesco di questa prospettiva derivano i caratteri più originali rispetto ai modelli anglosassoni: «Sorrise fra sé: in groppa a Fulmine Cornuto e riparata dalla corazza che la faceva sembrare un essere inumano, spostarsi per evitare il tiro delle armi leggere le sembrava una perdita di tempo. L’unico a darle fastidio davvero era stato un milite che sporgendosi dai merli aveva defecato sul ponte dall’alto, in segno di disprezzo. Ombra era certa che se tutti quanti avessero fatto lo stesso l’avrebbero avuta vinta su di lei; affrontare una città che le mostrava il deretano sarebbe stato superiore alle sue forze» (Amazon, 1998) . Con le opere successive – Stella di Gondwana ( 1999) e Le amazzoni del sud (2000) – lo scrittore livornese senz’altro affina la padronanza dei registri e delle psicologie, rimanendo però fedele allo schema narrativo più consentaneo: la delicata fanciulla da trarre in salvo è soccorsa non da un principe azzurro, bensì da due satrapesse inclini al lesbismo, che ora se la contendono ora ne condividono la casta compagnia. Peripezie, rapimenti, ma soprattutto mezzi di trasporto magici e incontrollabili – i gong e le macchine paleoindustriali in Amazon, le sfere degli Antichi in Stella di Gondwana, i giubbotti volanti di Ermolao in Le amazzoni del sud- dividono e ricompongono il triangolo femminile a binomi alterni, finché la fanciulla non è messa al sicuro e la coppia saffica rinsaldata nei suoi affetti esclusivi. Che si tratti degli animali meccanici di un inventore scriteriato o delle sofisticherie di una civiltà estinta da millenni, i prodotti della tecnologia, quando non danno motivo di ridere per la goffa inefficienza, costituiscono un pericolo da eliminare; i loro effetti benefici appaiono per lo più fortuiti e comunque compensati dai rischi dell’abuso maligno.
L’estrema sostenutezza del discorso, pur nell’austerità paratattica, contraddistingue invece Le maschere del potere di Errico Passaro. Un’enfasi livida e tesa percorre il racconto delle gesta di Fladnag, re sacerdote che attraverso l’iniziazione della spada riconquista il trono usurpato, unificando la potestà spirituale e quella temporale. La retorica dell’espiazione e del martirio bellico si consuma tra «mistico furore», «elegia del sangue» e «marziali clangori». Se la trovata di rivoltare l’ onomastica tolkieniana appare stucchevole quanto programmatica (Gandalf diventa Fladnag; Saruman, Namuras; Mordor, Rodrom, e così via), l’invenzione azzeccata del romanzo consiste nell’uso dell’ordalia zoologica, che risolve le dispute umane con il sacrificio circense degli animali. Alla meschineria di una «pace sterile» così mantenuta, subentra però l’“igiene “ della guerra condotta da un messia armato. Attorno al connubio fra supremazia aristocratica e prestigio sacerdotale ruota anche Il volo dell’aquila di Tullio Bologna, campione della via “italica” al fantasy aperta da Giuseppe Pederiali sul finire degli anni Settanta (Le città del diluvio è del 1978). Entro una succinta cornice metanarrativa sono qui infatti cantate, in cinque racconti, le virtù di Ludovico l’Unificatore e il suo tentativo di superare la frammentazione politica della penisola di Albia, restaurando l’antica dignità romana. Al Reame Benedetto non potrà che arridere una nuova età dell’oro, di marca però rigidamente castale: «la società perfetta era costituita da sacerdoti, guerrieri ed operai [ . .. ]: ognuna delle tre classi è indispensabile alle altre due, per cui ciascuno deve stare al suo posto e rispettare i vincoli gerarchici per il bene di tutti … ». Bologna anticipa l’unità d’Italia in un’ucronia fantasy d’ambientazione altomedievale, dove il cristianesimo non è religione di Stato ma si integra con altri culti. Così Ludovico durante la sua missione può essere assistito da una triade mistica cristiano-sufico-druidica. L’insistente dialogato d’impronta didascalica trova parziale compensazione in un erotismo giustificato dai suoi risvolti tantrici e soprattutto in una componente magica che si dispiega nelle sue valenze più pirotecniche.
Un tributo al misticismo della spada lo paga anche Luca Pesaro in I difensori di Cylith; tuttavia il suo romanzo si arricchisce di chiaroscuri inusitati: qui gli incantesimi possono fallire e persino avere effetti disastrosi, il potente mago Jeex appare a tratti come un vecchio impaurito, mentre il giovane protagonista, che «non era religioso», dubita a lungo delle proprie capacità prima di assumere il ruolo non di monarca ma di eroico «generale». Del resto a Cylith, dove lo spirito comunitario è cementato dall’assedio, esiste un consiglio cittadino e si praticano riti abbastanza rari per il fantasy come le votazioni democratiche. L’ibridazione fantascientifica è praticata con ironia – «l passaggi tra mondi, forse addirittura universi paralleli … andavano bene per la fantascienza» a conferma del fatto che gli esiti migliori sono raggiunti non con l’osservanza puristica delle prescrizioni di genere, ma attraverso un’oculata sperimentazione.