Nelle edicole regna il caos. Migliaia di prodotti d’ogni livello si disputano un posto in prima fila senza un ordine se non quello imposto dall’edicolante. Le grandi testate e le grandi riviste continuano a occupare i posti migliori: ma sono ormai solo veicoli di allegati basati su media diversi. D’altronde i cd rom vanno imponendo sempre più la traduzione in linguaggio digitale di materiali su carta. Cioè è il giornale a diventare l’allegato, e la carta stampata a ridursi a un costoso e anacronistico obbligo imposto per legge.
Le edicole sono posti strani. Possiedono un fascino simile a quello delle stazioni, che nessuno ha mai celebrato e in pochi hanno visto. La loro bellezza è un segreto per pochi. In edicola la gente passa senza fermarsi e limita al minimo l’uso degli occhi. A questi bislacchi capanni di carta e di ferro, ci si avvicina di fretta, borbottando il nome di un giornale già in mano, con i soldi contati. Poi, si va via. Dell’ornino sommerso da montagne di carta, cd e videocassette, non si vede che il volto, e per un istante soltanto. Una specie di casellante capitato per caso in una folla. Si tratta di luoghi di passaggio. Per questo, molti le utilizzano per chiedere informazioni: «Se il Comune mi avesse dato dieci lire ogni volta che ho spiegato la strada a qualcuno, sarei diventata miliardaria», si lamentava l’anno scorso un’edicolante milanese. In realtà si tratta di luoghi molto complessi dove gli oggetti più deteriorabili del mondo – i giornali – si accatastano alla rinfusa, come in un museo del giorno governato dal caso e dall’improvvisazione. Per capirlo basta girarci attorno. Sui tre lati ciechi, custoditi in vetrine spesso impolverate, trovano posto mensili intitolati «Bolina» o «Il mio acquario», riviste per patiti di pesca con il cucchiaino, magazine patinati, magari stranieri, giornaletti pornografici di poche pagine, trimestrali dedicati ai bottoni o videocassette di cartoni animati giapponesi. Un susseguirsi di oggetti che non esibisce altro ordine che quello imposto dai gusti dell’edicolante (se ne possiede) e dal disordinato scorrere del tempo.
Sul lato aperto, le cose sono – se possibile – ancora più confuse. Centinaia di testate fanno a gomitate per farsi notare tra montagne di film appena usciti o vecchi di mesi, sommerse da cd rom con il nuovo codice penale o programmi per la dichiarazione dei redditi, annegate da miriadi di riviste nate per vendere, a prezzi contenuti, cd musicali. Nessuno ha la minima idea di cosa stia avvenendo, di cosa è avvenuto e di cosa avverrà. Molto spesso gli edicolanti non conoscono neppure le date di uscita. Sembrano scegliere a tentoni cosa mettere in vista e cosa nascondere sotto cataste di carta e di plastica, affastellano oggetti senza nessuna relazione: riviste sulle armi e cd rilassanti con i canti d’amore delle balene, videocassette di «Playboy» e l’opera omnia di Ingmar Bergman. L’unica eccezione riguarda la pornografia che quando non ha cannibalizzato tutto il chiosco, come avviene sempre più spesso, mantiene uno spazio espositivo separato dal restante magma indistinto. Questa confusione fa, però, dell’edicola un osservatorio privilegiato da cui guardare il mercato editoriale italiano. Il panorama è confuso e sembra sfuggito a ogni controllo. Restano – è vero – alcuni punti fermi. I giornali tradizionali (i quotidiani, i settimanali e i mensili della grande editoria) continuano a occupare i posti migliori, le zone più in vista. Le testate già affermate continuano a offrire ai lettori (ma anche agli edicolanti) solidi punti di riferimento. Ma anche questa non è che apparenza. Perché le trasformazioni degli ultimi anni hanno coinvolto, e forse sono proprio partite, dalla grande editoria. Oggi le pubblicazioni di successo non sono altro che attrattori strani di materiali eterogenei. La loro forza sul mercato, creata dalla parola scritta, sopravvive e si rafforza solo attraverso l’offerta a prezzi modici di contenuti basati su altre forme di comunicazione: film, enciclopedie su cd rom, collane musicali a puntate, guide turistiche o web, perfino creme solari e smalti per le unghie rendono appetibili e competitivi la carta e l’inchiostro.
La «Repubblica» non è più soltanto un quotidiano. Lo stesso discorso vale per il «Corriere della sera», per «Panorama» o per «L’Espresso». Marchi come questi sono diventati il centro gravitazionale attorno a cui si muovono gigantesche galassie di allegati, rese ancora più immense dal recente sviluppo dei vari brand su Internet. Nel linguaggio dei vertici aziendali «si tratta di offrire ai lettori prodotti sempre più completi e multimediali, capaci di soddisfare le esigenze di ogni più piccolo segmento di pubblico». Al di là del tono celebrativo, per una volta i vertici aziendali non sono lontani dalla verità, anche se tutto ciò può indurre una legittima quanto sterile nostalgia per l’epoca in cui i giornali erano notizie stampate su carta. Chiedersi cosa resterebbe oggi di un giornale se gli venisse sottratto il suo apparato di inserti, è sicuramente più interessante.
Anche perché in questo quadro il divario tra grandi e piccoli editori, accentuato anche dalla vendita nei supermercati e nei bar, aumenta. Il caso de «l’Unità» è, in questo senso, paradigmatico. Fu il quotidiano fondato da Antonio Gramsci, a quel tempo diretto da Walter Veltroni, il primo ad allegare film , cd e libri. Prima di allora, i successi editoriali riguardavano appendici cartacee come «lo Donna» e «D», i settimanali femminili di «Corriere della sera» e «Repubblica». Invece di puntare sulla carta stampata (salvo un breve matrimonio con «Diario della settimana»), L’«Unità» offrì ai suoi lettori centinaia di videocassette divise per generi e aree di provenienza, libri di favole e di fantascienza, i gialli del commissario Maigret, la collana «Centopagine» di Einaudi diretta da Calvino, i grandi processi della storia da Galileo a Pasolini, i successi comici del momento attraverso un accordo con Zelig-Baldini & Castaldi, cd musicali e perfino – fu un’idea geniale – tutti gli album completi dei calciatori delle figurine Panini. Per arrivare a tanto ci fu bisogno di una forza produttiva e distributiva che il quotidiano non poteva permettersi a lungo, a differenza di Mondadori, di Rizzoli o del gruppo Espresso. Di quella stagione è rimasta solo Elle U, ovvero «L’Unità Multimedia», una società indipendente che continua a invadere le edicole con videocassette molto spesso di grande qualità. Gli unici editori che sopravvivono, pare in discreta salute, a questa sfrenata corsa all’allegato, sono insomma i colossi editoriali. Il modello è quello americano. Più precisamente quello dei quotidiani della domenica grassi di inserti per soddisfare gli interessi economici di papà, la fame di nuove ricette di mamma, i gusti musicali dei figli e il pollice verde della nonna. Un’offerta sontuosa, ma soprattutto smembrabile, capace cioè di dare qualcosa di diverso da leggere a ogni componente della famiglia, dalla zia al cane. Il fatto è che questo modello editoriale è giunto in Italia con molto ritardo, in un’epoca in cui offrire prodotti multimediali non solo era possibile, ma anche economicamente conveniente e in qualche modo preteso da un pubblico per tradizione poco affezionato alla carta stampata.
Detto questo, non tutto si esaurisce nell’offerta di film, libri e cd. Mai come oggi, nascono nuove testate e nuovi giornali. Solo che molto spesso si sviluppano per partenogenesi da marchi già affermati. Valga per tutti l’esempio di «Panorama»: nel giro di pochi mesi dal settimanale della Mondadori sono nate almeno tre riviste: «Panorama web» dedicato a Internet, «Panorama Next» sulle nuove tecnologie, «Ventiquattro» in collaborazione con «il Sole 24 Ore». E questo escludendo una brand extension come «Panorama Travel» e una lunga serie di inserti su carta, dalle guide all’orientamento universitario ai calendari. Fino a qualche anno fa, sarebbero stati prodotti indipendenti, oggi hanno la funzione di rafforzare posizioni già egemoniche. Altra distinzione fondamentale riguarda la differente strategia utilizzata per maschili e femminili. L’offerta multimediale riguarda, quasi senza eccezione, i. primi. I femminili tendono a confermarsi attraverso gadget di vario genere e allegati concepiti per coprire tutti i bisogni delle lettrici.
L’era del multimediale è già realtà, almeno in edicola. Si tratta, il più delle volte, di una multimedialità spuria, in cui i diversi supporti (testo, audio e video) si rincorrono a caso, senza nessuna relazione intrinseca. Un settimanale può offrire un’inchiesta sulla cocaina, un cd rom per allevare creaturine elettroniche sul proprio pc, un cd di Lucio Battisti e un film di Mister Bean. L’unico caso di multimedialità pura, cioè di utilizzo di diversi media per approfondire un’unica questione, riguarda «Panorama» che denunciò la Missione Arcobaleno in Albania, allegando una videocassetta a dimostrare l’avvenuto saccheggio. Un episodio che resta isolato e come tale va considerato. La multimedialità si risolve nell’offerta di «pacchi dono» sempre più voluminosi da dare in pasto per poche lire al lettore.
Sotto il cellophane di quotidiani e settimanali abbiamo visto sfilare di tutto. Nell’ultimo anno è aumentata in special modo l’offerta di cd rom, già presenti da qualche anno, ma mai così numerosi e pubblicizzati. Si è trattato soprattutto di iniziative di tipo enciclopedico, come la storia della letteratura di «L’Espresso», il Larousse di «Panorama» e il dizionario biografico Zanichelli de gli scienziati allegato a «Le Scienze», l’edizione italiana di «Scientific American». La diffusione dei computer rende di fatto sorpassate e a rischio di estinzione le vecchie uscite a dispense che fecero la fortuna di editori come Curdo, Fabbri e De Agostini. Ha preso il via un’operazione che prima o poi andrà compiuta: la sostituzione di montagne di polverose e pesanti enciclopedie, garzantine, treccani e mereghetti, con cd rom leggeri, meno voluminosi e più economici. Nei prossimi anni assisteremo a una colossale operazione di traduzione di contenuti stampati in linguaggio digitale. L’elettronica soddisferà per anni il bisogno di nuovi mercati. Ma per quanto tempo?
Il problema è che altre trasformazioni, ancora più radicali, sono alle porte. La diffusione di Internet, il profetizzato avvento dell’e-book e dell’acquisto on-line renderanno le cose ancora più complicate. Il rischio è che l’editoria tradizionale stia preparando le condizioni della propria successione. Offrire allegati in formato digitale significa spingere il mercato verso un ridimensionamento della carta stampata. Basti pensare a quante volte giornali e riviste hanno allegato, dall’autunno 1999 a oggi, cd rom per l’accesso gratuito a Internet: i provider italiani (da Infostrada a Tin.it, da Tiscali a Kataweb) hanno utilizzato proprio la carta stampata per conquistare la propria porzione di mercato.
È questa la vera novità. Benché le vendite maggiori continuino a riguardare l’home video, la nuova frontiera dell’editoria è rappresentata dai cd rom. Ci sono distese di carta e fiumi d’inchiostro da saccheggiare e convertire nel linguaggio dei computer. Perfino la «Settimana Enigmistica», la rivista più conservatrice d’Italia, ha recentemente proposto in cd rom Il segreto dei maya, trucchi, sciarade e risate a denti stretti. Perché l’unico tratto costante di questa corsa a offrire sempre di più, a prezzi sempre più contenuti, può essere individuata nel riciclaggio. I giganti come i nani, le grandi case editrici come le sigle create apposta per svuotare un magazzino, sono alla costante ricerca di materiali pronti da spedire in edicola.
È anche questo che rende le edicole così affascinanti. Le tendenze che fioriscono all’ombra dei chioschi sono del tutto disgiunte da quelle della società nel suo complesso. Se le edicole fossero uno specchio delle mode e dei revival che attraversano la società, vedremmo ad esempio un poderoso ritorno degli anni Settanta. Negli ultimi mesi sono infatti uscite collane sul trash americano (scollacciate storie di zombie girate con pochissimi soldi e attori ridicoli), intere serie dedicate al peggio della commedia all’italiana di quegli anni, classici del porno internazionale (da Gola profonda ai maggiori successi di John Holmes) e italiano (la filmografia di Joe D’Amato o Io Caligola di Tinto Brass, allegato a «il Borghese»), collane dedicate ai polizieschi italiani (Milano Calibro 9) e classici del B Movie (La notte dei morti viventi di George Romero in edicola per Elle U). Tutto ad accatastarsi senza soluzione di continuità in confezioni appena elegantite da tenui colorini e svolazzanti caratteri tipografici. Nella maggior parte dei casi si tratta di editori il cui nome – le poche volte che compare sulle confezioni – è associato a numeri di telefono inesistenti e a sedi improbabili (paesotti sperduti sul territorio italiano). Ma non è un fenomeno di nicchia: gli editori istituzionali e i magazine per famiglie si sono tenuti distanti da questo festival del pruriginoso a basso costo, solo perché hanno già allegato anni fa classici dell’erotismo e commedie boccaccesche.
Quello che è avvenuto e che continuerà ad avvenire, è una colossale opera di sfruttamento di materiali preesistenti e spesso dimenticati. Non c’è stato filone cinematografico (perfino «l classici del muto» pubblicati dal fantomatico editore Eclectica), genere musicale (dalla new age al jazz, dalla world music alla lirica) o letterario (gialli, fantascienza, rosa, ma anche i capolavori della collana «Miti Novecento») che non siano passati in questi anni tra le mani degli edicolanti. Con l’avvento delle nuove tecnologie, a questa operazione di riciclaggio dovrà necessariamente affiancarsi una ciclopica opera di traduzione in digitale. Se la parola stampata è stata seppellita da una tempesta di immagini in movimento, di musica, di software e di giochi elettronici, continuare a considerarla come il prodotto principale è quanto meno inadeguato. La carta stampata sta progressivamente trasformandosi in allegato e l’allegato in offerta principale. I giornali stanno diventando il centro, spesso pretestuoso, di un’offerta più ampia che utilizza tutti i mezzi di comunicazione possibili. Nel mercato della pornografia tutto questo è già chiarissimo: per poter vendere videocassette in edicola, gli editori sono costretti a farle sembrare allegati di testate di poche pagine, senza più graffette, avanzi di magazzino vecchi di anni, completamente smembrati. La carta stampata si sta riducendo a costoso e anacronistico obbligo imposto per legge. Quando la legge cambierà, probabilmente si venderanno meno giornali. Ma forse saranno migliori.