Nato a Belluno il 7 settembre 1889, Bruno Angoletta esordì nel mondo dell’illustrazione a Roma, dove trascorse gli anni della gioventù a contatto con alcuni tra i più interessanti esponenti del vivace panorama artistico d’inizio secolo, irresi
irresistibile agli occhi di un ragazzo alle prime armi e ricco di curiosità ed entusiasmo.
Cresciuto nella città natale, frequentò il locale Liceo-ginnasio mostrando una spiccata predilezione per gli autori latini, che saranno sempre tra le sue letture preferite; si iscrisse poi alla facoltà di giurisprudenza presso l’Università di Padova, più per compiacere il padre avvocato, desideroso di lasciare l’avviato studio ai figli, che per genuino interesse tanto che, alle soglie della laurea, accantonò i libri di diritto e si trasferì a Roma, presumibilmente nel 1909, per collaborare stabilmente come vignettista al settimanale satirico “L’Asino” che pubblicava le sue tavole già da due anni.
Il rapporto di reciproca stima instaurato con Guido Podrecca e, soprattutto, con Gabriele Galantara gli consentì di farsi quell’esperienza necessaria a sviluppare uno stile autonomo in cui confluirono sia il segno deciso di Ratalanga, che gli influssi secessionisti così in voga all’epoca.
In Italia si apriva allora una nuova stagione del Liberty sull’onda della scoperta di Gustav Klimt, presentato alla Biennale di Venezia del 1910 e all’esposizione di Roma avvenuta l’anno successivo, che gettava le basi per un cauto rinnovamento dell’arte contemporanea nazionale. In opposizione alla tradizione rappresentata dalla Società degli Amatori e Cultori delle Belle Arti nasceva, infatti, la Secessione Romana, che ebbe il merito di mettere a confronto la situazione artistica italiana con i movimenti europei, dando vita a quattro esposizioni cui partecipò anche il ventenne Angoletta nella sezione del Bianco e Nero della seconda edizione del 1914 .
La nuova lezione di stile è ravvisabile nelle illustrazioni realizzate per il mensile “Primavera”, pubblicato a Roma, a partire dal 1911, dalla casa editrice Podrecca e Galantara; Angoletta ne fu l’artefice principale imprimendogli una forte connotazione secessionista, semplificata a causa della relativa povertà della veste editoriale, ma mai banalizzata, come traspare dai disegni per il ciclo dei Nibelunghi del 1912, in cui si avvertono echi di Otto Czeschka per l’omonima saga del 1909 .
Ma il capolavoro di Angoletta, in questa fase d’impronta secessionista, è Storielle di lucciole e di stelle, edito da Treves nel 1913 e scritto da Gian Bistolfi, figlio dello scultore Leonardo; l’esigenza di innovazione trapela dalle geometrie essenziali e raffinate delle immagini e dal sapiente uso di pattern decorativi che si combinano armoniosamente con le caratteristiche del testo un po’ surreale del giovane autore .
Fin da ora Angoletta si dimostra capace di passare dalla pungente arguzia delle vignette, alle quali deve la sua crescente notorietà, all’atmosfera sognante delle illustrazioni destinate all’editoria per l’infanzia; una versatilità che lo caratterizzerà durante tutta la sua carriera, permettendogli di accostarsi agilmente e con esiti strabilianti ai diversi eppur affini campi dell’illustrazione.
Sono anni di intensa attività che lo portano a collaborare con l’editore Formìggini, con il quale manterrà rapporti di amicizia, testimoniata dai biglietti d’auguri per le feste e rinsaldata nel 1920, in occasione della breve esperienza durata sei numeri, alla rivista “Simpaticissime”, mensile di novelle originali, signorilmente stampata e illustrata con senso d’arte da Terzi, Fabiano, Bartoli . Seguono sporadiche ma significative apparizioni sulle pagine di “Ars et Labor” , “Il Secolo XX”, “La Tribuna Illustrata”, “Noi e il mondo” e “La Grande Illustrazione”; nel 1914 diviene una delle matite portanti del neonato giornale umoristico “Numero”, confermando così i giudizi positivi espressi della critica in occasione della mostra della caricatura tenutasi a Treviso nel 1912 .
Nuove opportunità lavorative gli si offrirono grazie al sodalizio che lo legava a Vittorio Podrecca, fratello del celebre Guido, iniziato probabilmente negli ambienti goliardici dell’università di Padova, frequentata da entrambi; conseguita la laurea, Vittorio, più vecchio di qualche anno, raggiunse il fratello a Roma nel 1907 ed è lecito ipotizzare che avesse portato con sé i disegni dell’amico, ancora impegnato negli studi giuridici, introducendolo così nel mondo della carta stampata e segnando una svolta decisiva per il futuro del giovanissimo Angoletta.
Successivamente lo avrebbe coinvolto nel coraggioso progetto abbozzato sulle pagine di “Primavera” e culminato nella fondazione del Teatro dei Piccoli, inaugurato a Roma il 21 febbraio 1914, nella sede dell’ex scuderia di palazzo Odescalchi, della cui decorazione si occupò lo stesso Angioletta che, oltre a curare l’aspetto grafico di tutte le pubblicazioni del teatro, fu il principale ideatore degli allestimenti scenici e dei costumi di marionette e burattini, unici interpreti delle fiabe drammatiche e delle opere comiche, per la realizzazione delle quali si alternava con artisti già noti nell’ambiente e con altri giovani promettenti in cerca di affermazione, scelti con acume dal direttore artistico Vittorio Podrecca. Così, accanto agli sperimentatissimi Caramba e Rovescalli, gli capitava di incontrare Prampolini, Pompei, Cambellotti, Terzi, Montedoro, Sto, tutti inesorabilmente attratti dal mondo dello spettacolo e futuri protagonisti dell’illustrazione italiana .
Fondamentali per la maturazione dello stile di Angoletta si dimostrarono, dunque, gli anni passati a palazzo Odescalchi, divenuto punto di incontro di personalità celebri che contribuirono al successo del progetto: i marionettisti Giovanni Santoro, Ottorino Gorno Dall’Acqua e il burattinaio Ugo Campogalliani; i maestri di musica Marco Enrico Bossi e Ottorino Respighi; non ultimi Carlo Podrecca e Orio Vergani, responsabili dei testi. A questi vanno aggiunti anche i nomi di Diaghilev, Stravinskij e il pittore Bakst, componenti dei “Balletti Russi”, attivi in quegli anni sulle scene romane, che, pur non collaborando direttamente col Teatro dei Piccoli, ne furono accesi ammiratori . Particolarmente sensibili a questo messaggio si dimostrarono le scelte artistiche di Fortunato Depero, collaboratore mancato della compagnia russa, e presente sulla scena del teatrino nel 1918 coi “Balli Plastici” in cui propose una visione della realtà tradotta in geometrie elementari dai colori accesi, dove l’istantaneità e ‘meccanicità’ dei movimenti si fondevano con le scene astratte e le cacofonie stridenti degli accordi musicali .
Il continuo confronto con esperienze e proposte all’avanguardia agì profondamente sulla produzione artistica di Angoletta, che seppe trarre ulteriori spunti per la creazione di indimenticabili bozzetti per fondali, trattati con la serietà e la completezza di un dipinto, e variopinti costumi disegnati con briosa facilità e grazia. La stessa inesauribile fantasia traspare anche dalla notevole quantità di figurini realizzati in quegli anni ed esposti sia nelle piccole mostre interne al teatrino, sia in occasione di manifestazioni di maggior richiamo, nelle quali si distingueva per lo spirito irridente con cui reinventava la figura femminile, mediante metamorfosi perverse ma affascinanti, di vaga ispirazione floreale .
In poco più di un quinquennio Angoletta, sostenuto da amici ed estimatori che non mancarono mai di sottolinearne il versatile talento, riuscì a raggiungere una certa notorietà nell’ambiente degli illustratori, confermata dalle commissioni che riceveva numerose da vari editori; ma siamo ormai alla vigilia del conflitto mondiale e la sua carriera subisce una battuta d’arresto. Ardente interventista, infatti, all’entrata in guerra dell’Italia, abbandonò matita e pennello arruolandosi volontario; tenente e poi capitano degli alpini prese parte ai combattimenti sul Col di Lana, sulla Croda Rossa e sulle Tofane guadagnandosi due decorazioni al valore militare. Nel dicembre 1917 cadde nelle mani degli austriaci e trascorse quasi un anno in un campo di prigionia in Moravia, da cui rientrò a guerra finita nel novembre 1918.
I primi mesi del 1919 lo vedono nuovamente a Roma, dove riprese con rinnovato vigore la sua attività di scenografo, costumista e illustratore.
La guerra fu certo una pausa nel suo lavoro, ma anche un periodo di profonda riflessione e acuta osservazione che si tradussero in una serie di disegni realizzati per varie riviste, dai quali emerge fortissimo il richiamo alla vita militare passata nel corpo degli alpini, descritta nei momenti di quiete e coralità, gli stessi ricordi da cui sarebbe nata, da lì a qualche anno, la malinconica figura dell’anti-eroe Marmittone.
Riallacciati i rapporti con gli amici editori, tornò alla precedente attività riapparendo con le sue eleganti vignette sulle pagine di “Numero”, e contemporaneamente incominciò a inviare disegni alle redazioni milanesi de “L’Ardita”, supplemento illustrato del “Popolo d’Italia”, e de “Il Primato Artistico Italiano”, rivista letteraria fondata da Guido Podrecca dopo la rottura con Galantara.
Forte dell’esperienza al Teatro dei Piccoli, con il quale riprese a collaborare, si cimentò poi nel teatro di prosa firmando le scene del Romeo e Giulietta rappresentato al Teatro Valle nel 1921 dalla compagnia di Dario Niccodemi, conosciuto a palazzo Odescalchi; il suo allestimento, tuttavia, non incontrò l’approvazione della critica che gli contestava l’eccessiva stilizzazione delle forme e le scelte cromatiche incentrate sul rosso, giudicandole originali ma, forse, più adatte all’atmosfera giocosa e fantastica degli spettacoli dei Piccoli . In seguito curò l’apparato scenico di altri spettacoli di Niccodemi e nel 1921, in occasione del Giulietta e Romeo di Riccardo Zandonai, anch’egli habitué dei Piccoli, ebbe l’opportunità di provarsi nell’ambiente della lirica in qualità di costumista, realizzando alcuni figurini dall’austera eleganza, resa mediante le geometriche stilizzazioni Déco .
L’attività di scenografo, fatta eccezione per le numerose esposizioni di rilevante importanza alle quali presenterà i suoi figurini negli anni successivi , si concluse verosimilmente intorno al 1923; la scelta fu forse condizionata dalla chiusura del Teatro dei Piccoli, avvenuta per l’appunto in quell’anno, in seguito alla morte prematura di Guido Podrecca, che spinse il fratello, rimasto privo di un valido sostegno, ad abbandonare la sede storica per costituire una compagnia itinerante che portasse all’estero le sue rinomate marionette.
Angoletta, che altri impegni di lavoro trattenevano in Italia, non accompagnò l’amico nelle lunghe tournée attraverso l’Europa e in America, ad eccezione di un'unica volta, in cui per due mesi, a cavallo tra il 1929 e il 1930, seguì la compagnia a Parigi. Il rapporto coi Piccoli si limitò forzatamente alle pause tra un viaggio e l’altro, riducendosi a brevi incontri estivi, durante i quali Angoletta riprendeva a progettare nuove scene per gli spettacoli, secondo le indicazioni avute da Podrecca .
Partito Podrecca, sembrò concentrare i suoi sforzi sull’illustrazione, spinto anche dall’intensificarsi delle richieste da parte di diverse case editrici ubicate nelle grandi città del nord del paese. Si rafforzò l’impegno assunto per la decorazione delle pubblicazioni edite dalla Mondadori, iniziato già nell’anteguerra con la collaborazione alla preziosa collana Bibliotechina de ‘La Lampada’, diretta da Mario Monicelli e stampata a Ostiglia dalla casa editrice La Scolastica, nata nel 1911 per iniziativa dell’intraprendente Arnoldo Mondadori. Si trattava di una serie di volumetti cartonati, apparsi dal 1913 fino alla metà degli anni Trenta e illustrati tra gli altri da Yambo, Rubino, Nonni, Golia, prendendo come esempio la grafica secessionistica dei libri per l’infanzia . Angoletta, in questo caso diede prova di un’estrema sensibilità verso il mondo poetico dei bambini, che tradusse in minuti disegni dalla grazia innegabile, adottando di volta in volta lo stile che più si addiceva al racconto; da infantile e delicato nelle descrizioni dei piccoli oggetti, il segno assume la vivacità scanzonata delle marionette per poi ricomporsi in forme ieratiche create mediante la frantumazione della linea di contorno: pochi tratti ‘graffiati’ col pennino bastano per creare evanescenti immagini connotate da un’avara e limpida pulizia formale. Nel 1921 per Storia di formiche di Adone Nosari esegue due illustrazioni di particolare interesse: i soggetti riguardano un combattimento aereo, ma Angoletta trasfigura l’evento privandolo della carica negativa mediante l’uso di audaci inquadrature e di tagli di grande effetto, così da trasformare la caduta di un pilota in un contrasto di nitide geometrie e forme fluide, mentre l’ardore della battaglia sembra placarsi nella danza dei leggeri velivoli tra i fasci di luce.
Anche per Angoletta le suggestioni secessioniste, prevalenti nei volumetti delle prime serie, maturarono in direzione di una sempre maggiore semplificazione e purezza del segno in accordo con i dettami dell’Art Déco. Vero capolavoro di questa fase è il prezioso volume Tre favole belle di Francesco Pastonchi, per il quale creò tavole di incomparabile bellezza, capaci di immergere il lettore in una sospesa atmosfera d’incanto, mediante l’accostamento di linee sinuose e colori brillanti, che colmano l’intero riquadro dell’immagine. Ma è nelle illustrazioni per la fiaba finale che emergono innegabili i rimandi allo stilizzato repertorio Déco, dove le elegantissime figure prive di ogni connotazione realistica, si stagliano nitide sullo sfondo neutro per assumere un valore esclusivamente decorativo.
È dunque possibile giudicare l’opera di Angoletta quale filiazione di quella ‘linea 1920’ propagandata da tutta l’editoria dell’immediato dopoguerra e consacrata all’Expo di Parigi nel 1925 ; si rende tuttavia necessario sottolineare come egli non abbia mai effettuato mutuazioni passive dagli stilemi Déco, che provvide di continuo a trasformare in forza della sua immaginazione creativa, così da ottenere un linguaggio autonomo e inconfondibile.
Oltre ai libri per l’infanzia, la sua firma ricorre su numerose pubblicazioni periodiche del momento quali “La Donna”, “Comoedia” e “Novella”, recenti acquisti della Mondadori, che in quegli anni andava diversificando i suoi interessi nel tentativo di assicurarsi un pubblico sempre più ampio.
Indimenticabile la creazione del periodico infantile “Giro Giro Tondo”, del quale Angoletta fu a lungo l’unico responsabile artistico; le illustrazioni per la rivista si collocano nel fulgore del suo periodo geometrico, in cui è facile leggere una precisa adesione ai modelli cubo-futuristi traslati dalle meccanizzate forme di Léger, ma soprattutto dal pupazzettismo fantastico e teatrale di Depero .
Con il trasferimento della Mondadori a Milano, Angoletta iniziò un lento ma progressivo spostamento verso le città del nord Italia, collaborando a Torino con la S.E.I. e a Firenze con la casa editrice Bemporad.
Per quest’ultima realizzò le interessanti illustrazioni realizzate per il libro di Térésah Una bambola, due bambini, tre cicogne…(19. Volume edito curiosamente nello stesso anno anche con il titolo Il Natale di Benno Claus e tradotto in Francia dall’editore Michel di Parigi con il titolo Le Nöel de Benno nel 1931), in cui Angoletta offrì un ulteriore saggio della sua capacità di passare indifferentemente da un registro stilistico all’altro, risultando impeccabile in ogni sua espressione. La sgargiante cornice della copertina, improntata sull’esempio dei disegni dei bambini, non lascia minimamente prevedere la raffinatezza delle immagini del testo, che, delineate da un tratto estremamente esile, animano lo spazio bianco dello sfondo con la grazia struggente di un liberty tendente al Déco: riferimenti d’obbligo sono Klimt, per il manto della rigida imperatrice, ed Erté per la figura di profilo della fata, che conserva tutta l’eleganza di un figurino di moda.
Il definitivo trasferimento a Milano nel 1924, rappresentò una pietra miliare nella vita di Angoletta, segnando il passaggio dalla fase giovanile, avventurosa ed eclettica, a una più posata e stabile sia nell’arte che nella sfera privata. Durante una vacanza estiva, trascorsa nel nativo Cadore, conosce Fidelia Mezzelani, figlia del direttore della filiale bellunese della Banca d’Italia, che diventerà sua moglie nel 1927 ; dal matrimonio nasceranno due figlie, Maria nel 1928 e Lucia nel 1932.
Si può tranquillamente affermare che ormai il suo fosse un nome conosciuto e stimato da tutti coloro che operavano nell’ambito dell’illustrazione; i suoi disegni infatti avevano ottenuto numerosi apprezzamenti in occasione della Prima Fiera del libro, tenutasi a Firenze nel 1922, tanto da essere inclusi da Cesare Ratta nella sua raccolta dei migliori decoratori italiani . Partecipò, inoltre, alla Prima Biennale d’Arti Decorative del 1923 a Monza e alla XVI Biennale di Venezia, del 1936, esponendo nella sezione destinata al libro d’arte . Non deve stupire il moltiplicarsi di esposizioni interamente dedicate alle cosiddette arti minori, che l’Italia, con il consueto ritardo che la contraddistingue, andava scoprendo in questo periodo; furono organizzate infatti tutta una serie di mostre specifiche con l’intento di promuovere le arti decorative, facendone conoscere i molteplici campi in cui trovava applicazione, non ultimo quello riguardante i libri.
Ad Angoletta non mancavano dunque richieste da parte delle case editrici, è tuttavia curioso notare come spesso gli succedesse di non riuscire a terminare in tempo debito i lavori più impellenti, tralasciati per dar vita sulla carta alle fantasie che il suo temperamento poetico gli suggeriva, dimentico di tutto il resto e totalmente pago del solo disegnare.
Gli anni milanesi lo vedono impegnato principalmente nel campo dell’illustrazione per i periodici; al lavoro commissionatogli sempre più frequentemente dalla Mondadori, fonte di guadagno regolare e sicuro con cui far fronte alle necessità della famiglia, affiancò la collaborazione al satirico antifascista “Naso rosso”, diretto da Giorgio Clemente di San Luca, tornando così alle vignette umoristiche, con cui aveva iniziato tanti anni prima. Purtroppo si trattò di un’esperienza di breve durata perché il giornale, che male si adattava al mutato clima politico, fu soppresso all’undicesimo numero, in seguito alla feroce aggressione subita dal suo direttore da parte delle camicie nere . Nel 1925 entrò a far parte del nutrito gruppo di autori che illustrava “Il Giornalino della domenica”, passato in quegli anni alla Mondadori, firmandone tutte le copertine dell’anno con un segno modernissimo.
L’anno successivo ebbe modo di esercitare il suo innato dono per la risata collaborando alla collana umoristica Fauno Giallo diretta a Roma da Giuseppe Zucca; si trattava di una serie di volumetti che univa ai testi dei migliori scrittori italiani del genere, da Trilussa a Campanile, le brillanti illustrazioni in bianco e nero al tratto di validi disegnatori .
L’affermazione definitiva avvenne l’8 gennaio 1928, quando sulle pagine de “Il Corriere dei Piccoli” apparve per la prima volta il celeberrimo Marmittone, epigono di una lunga carrellata di buffi personaggi, al quale legò indissolubilmente il suo nome. Sui grandi fogli quadrettati che ospitavano le sfortunate avventure del povero soldatino, da illustratore Angoletta divenne cartoonist: il suo lavoro non si limitava più alla realizzazione di singole immagini fini a se stesse, ma acquistava ora una valenza più ampia, che lo portava a concepire i suoi personaggi come veri e propri attori di azioni proiettate in un futuro, collegate in un’unica sequenza spazio-temporale. Il segno estremamente raffinato degli inizi subisce una decisa evoluzione confluendo in un’ambigua mescolanza di goffaggine paesana e di sintetica chiarezza che Angoletta svilupperà ulteriormente nella sua produzione successiva.
Nel frattempo il clima culturale era decisamente cambiato e alle esasperate ricerche del dopo guerra facevano ora riscontro quotidiani richiami all’ordine e al buon senso; ci si avviava verso la buia stagione del fascismo che alle sinuose adolescenti filiformi di Angoletta, Sto, Pompei, Amaldi, Veneziani, divenute ormai chiaramente anacronistiche, preferiva le plastiche e sode volumetrie delle fattrici della nuova stirpe, incarnazione di quegli ideali che il regime aveva in comune col nascente stile Novecento .
Gli anni Trenta si aprirono con un’esuberante rigogliosità di proposte iconografiche sotto il segno dell’eclettismo che travolse tutta la produzione grafica del periodo; dalla compresenza delle molteplici tendenze stilistiche difficilmente circoscrivibili, sembra tuttavia emergere una comune ricerca di forme realistiche, statiche e volumetriche, associate a frequenti richiami alla classicità e alla romanità, repertorio al quale era solito attingere il fascismo .
Anche lo stile di Angoletta si uniformò al clima generale a scapito della soave gaiezza del primo periodo, sostituita ora da un segno più ‘sgranato’ che tendeva a tradursi in quelle che Paola Pallottino definisce “sapide ombre” di chiara ascendenza Novecento .
In Giove e le bestie di Trilussa risulta evidente la maggior rilevanza assunta dalla corposità dei volumi che occupano matericamente la pagina, mentre gli effetti d’ombra posti al margine dei disegni al tratto enfatizzano la stilizzazione delle forme che paiono evaporare sul fondo bianco. Realizzata per la Mondadori nel 1932, quest’opera rappresenta un chiaro esempio di quella che sarà la linea stilistica seguita da Angoletta nelle illustrazioni per la produzione della casa editrice milanese negli anni a venire.
A seguito della tendenza generale dell’editoria, anche la Mondadori presentò un catalogo ricco di collane popolari, “rinverdendo la formula mista del libro mensile, a cavallo tra il periodico e la collana, con l’iniziativa di una serie di volumi in brossura pubblicati con regolarità periodica” . Tra i più interessanti risulta “Il Romanzo dei ragazzi” a cura di Olga Visentini apparso nel 1933; l’intera serie, ad eccezione di pochi numeri, fu affidata alla matita di Angoletta, ma le sgargianti copertine a tinte piatte stonavano con la resa sfuocata dei soggetti dei racconti, in gran parte ispirati agli ideali di eroismo e amor di patria propagandati dal regime, per i quali adottò uno stile decisamente povero e approssimativo caratterizzato da un tratteggio veloce. La stessa povertà traspare dalle vignette in seconda e terza pagina di copertina, destinate a illustrare le fitte didascalie tratte da L’isola del tesoro di Stevenson. Limitato ma certamente significativo l’apporto di Angoletta per un'altra collana pubblicata dalla Mondadori: è sua, infatti, la realizzazione della Medusa, notissimo marchio dell’omonima serie di volumi uscita fino alla fine degli anni Cinquanta.
In questo periodo incominciò a collaborare anche con Valentino Bompiani che, puntando sulla modernità del contenuto e dell’aspetto, propose la sua collana per la gioventù I libri d’acciaio, illustrata da Angoletta, Vellani-Marchi, Brunetta e Fabiano. Presentata alla IV Fiera del libro di Firenze, la serie dei solidi volumi legati alla bodoniana fu premiata per la splendida decorazione ripartita tra le copertine a colori su sfondo acciaio e le dieci tavole fuori testo contenute all’interno di ogni libro . Per il medesimo editore curò l’impostazione grafica de I libri scelti, collana composta da saggi destinati a un pubblico adulto, per i quali l’illustrazione era limitata alla sovraccoperta rigorosamente realizzata in rosso, nero e grigio, evidente richiamo a certe soluzioni delle avanguardie russe post-rivoluzionarie.
Accanto alla formula della collana, protagonista assoluta dell’editoria del periodo, si assiste un po’ ovunque alla fioritura di numerosi almanacchi che trattavano gli argomenti più disparati incontrando il favore dei lettori. Angoletta è presente con le sue immagini sull’Almanacco letterario pubblicato dall’Unitas e in seguito da Mondatori e da Bompiani; dal 1927 al 1933 firma alcune copertine e le raffigurazioni dei mesi trattati con la gustosa e fulminante ironia che lo contraddistingue. Nel 1930 appare la splendida copertina realizzata per l’Almanacco aeronautico edito da Bompiani a cura di Orio Vergani sulla scia del crescente sviluppo dell’aviazione italiana promossa dal fascismo; la novità dell’immagine nasce dalla calibrata combinazione di colori e sagome geometriche ritagliate sullo sfondo.
Angoletta fu coinvolto anche nel progetto di rifacimento dell’Enciclopedia dei Ragazzi passata dall’editore Cogliati alla Mondadori che ne rinnovò la veste nell’edizione del dicembre 1934 affidandone l’esecuzione, tra gli altri, a Gustavino, Accornero, Nicco e Pinochi .
Accanto alle illustrazioni realizzate per i libri destinati a bambini e adulti, continuò a lavorare per le pubblicazioni periodiche più diffuse del momento con interventi di diversa importanza, a seconda della quantità e della frequenza con cui apparivano le sue immagini, peraltro non riconducibili a un’unica tendenza espressiva, ma portatrici di contraddittorie suggestioni stilistiche.
Tra il 1930 e il 1940 è attivo contemporaneamente nelle redazioni di diverse città; a Torino presso “Il Dramma” e “Le Grandi Firme” con numerose immagini per commedie e racconti; a Venezia per “Le Tre Venezie” firmò alcune copertine a colori di nitida pulizia formale ; dal 1934 incominciò a collaborare a “La Lettura” e in seguito a “Le Vie d’Italia”; modesto l’apporto per “L’Illustrazione del Medico” , mentre più interessante appare il lavoro svolto a Firenze per “Scena Illustrata” . La collaborazione che lo impegnò maggiormente fu quella per il Corrierino, per il quale realizzò le celebri tavole fino al termine del secondo conflitto mondiale. Intanto già dal 1927 era entrato nel gruppo dei disegnatori de “Il Balilla”, smaccato strumento di propaganda presso i più giovani, al servizio dell’Opera Nazionale Balilla, per il quale realizza grandi tavole a colori.
A questo punto è necessario fermarsi a considerare la posizione adottata da Angoletta verso il fascismo con il quale dovettero confrontarsi tutti gli illustratori del periodo il cui campo d’azione risentiva pesantemente delle restrizioni sulla libertà di stampa entrate in vigore con le leggi eccezionali del 1926. È possibile ipotizzare un iniziale interesse nei confronti del nuovo movimento, motivato forse dalle simpatie giovanili verso il socialismo e dall’amicizia che lo legava a Guido Podrecca, iscritto nella prima lista presentata da Mussolini . Tuttavia, il suo comportamento sembra caratterizzato da una certa ambivalenza confermata, in parte, dal continuo alternarsi di esperienze apparentemente in linea col regime, ma che analizzate più da vicino, mostrano una forte carica contraria. Alle vignette realizzate per il curioso libretto Il santo manganello scritto da Goliardo, fa riscontro la presenza sulle pagine del succitato “Naso Rosso”, vittima della violenta censura fascista. In occasione della guerra d’Africa crea i due balillini Romolino e Remoletto, esempio ideale della milizia giovanile capace e ardimentosa, ma l’efficientissimo duo si scontra inevitabilmente col mite Marmittone, anch’esso militante sullo stesso giornalino ed emblema del pressappochismo italiano contro il quale si sgretolavano i fragili miti innalzati dalla retorica di regime. Giustamente Oreste del Buono sottolinea come Angoletta, disegnando sulle pagine del “Corriere dei Piccoli” il suo migliore personaggio, rivelasse “un pervicace disinteresse, e un disinteresse alla politica è un atto politicamente valido quanto un interesse” . Sembra quasi che Angoletta, poco incline a sposare le idee imperanti, al pari di tanti altri illustratori si ritrovasse a lavorare per riviste simpatizzanti col regime poiché null’altro era rimasto loro per esercitare la professione tra le strette maglie della censura. Particolarmente colpita fu la stampa satirica, ridotta al silenzio da un contesto politico intollerante verso ogni forma di critica e oltremodo timoroso del ridicolo. Per i caricaturisti si prospettavano ora due scelte, smettere di disegnare o riparare in spazi alternativi dove fosse possibile esprimersi meno pericolosamente. Di conseguenza molti illustratori dotati di un innegabile segno demolitore si adeguarono al più cauto ruolo di ‘figurinai’, cercando, forse, di “spegnere nell’ambito della letteratura infantile quelle sotterranee tentazioni che potevano coglierli quando guardavano il mondo degli adulti” . In osservanza al celebre aforisma mussoliniano “libro e moschetto, fascista perfetto”, si verificò allora, sul versante dell’infanzia, una vera e propria esplosione di una letteratura di propaganda fedele ai dogmi enunciati sul Manifesto della letteratura giovanile del 1938; ma il campo in cui, senza dubbio, si espresse meglio l’insieme delle direttive fasciste è rappresentato dai ‘Libri di Stato’ per le elementari, pubblicati a partire dall’anno scolastico 1930-1931. Bernardini e Pompei sono solo alcuni dei numerosi disegnatori che si prestarono a decorare i sussidiari per la scuola primaria, tra i quali è d’uopo segnalare il famoso Quartiere Corridoni per la II classe di Pina Bellario illustrato con una certa durezza dal segno da Angoletta .
Impegnato principalmente sul fronte dei giornalini per i più giovani, Angoletta riuscì, tuttavia, a dar prova del suo talento di vignettista satirico anche durante i difficili anni della dittatura, disegnando sulle pagine del “Guerin Meschino”, al quale si affiancò il “Bertoldo”, entrambi rientranti nel ristretto numero di quei giornali che, scampati all’azione congiunta di brutalità squadrista e leggi capestro, per continuare a sopravvivere si dovettero accontentare di un innocuo umorismo.
Le collaborazioni alle varie testate satiriche e di altro genere cessarono bruscamente nel 1943, quando la maggior parte delle redazioni fu costretta a sospendere le pubblicazioni a causa dei continui bombardamenti degli Alleati su Milano e anche Angoletta, tra la moltitudine degli sfollati, lasciò la città per riparare con la famiglia in luoghi più sicuri sul lago Maggiore, continuando tuttavia a fare la spola tra il lago e la città per ragioni di lavoro legate all’ambito pubblicitario.
Dopo il 1945, contagiato dal clima generale della ricostruzione, anche il mondo dell’editoria diede chiari segni di un risveglio testimoniato dal vertiginoso moltiplicarsi di nuove testate, che presero il posto dei periodici più seriamente compromessi col fascismo. Finalmente la stampa satirica si riscosse dal ventennio di violenza che l’aveva ridotta al silenzio, riaprendo le sue pagine alla caricatura; accanto ai vecchi sorsero nuovi fogli tra i quali il milanese “Fra Diavolo” e il “Rosso e Nero” di Roma, che si avvalsero della brillante collaborazione di Angoletta seppur limitatamente a pochi numeri.
Nell’immediato dopoguerra, infatti, tralasciata la precedente attività di illustratore di articoli e novelle, Bruno preferì dedicarsi alla decorazione dei libri commissionatigli dalla casa editrice Garzanti, per la quale lavorò, quasi in esclusiva, dal 1945 all’inizio del decennio successivo, seguendo, tra gli altri impegni, il breve esperimento, sul modello del Corrierino, di un settimanale per i piccoli, “Pinocchio”, di cui fu direttore.
Riuscì peraltro a occuparsi ancora di pubblicità, vincendo il quarto premio a un concorso promosso dalla società AGIP nel 1952-1953.
Già negli anni precedenti erano apparse delle sue creazioni per reclamizzare vari prodotti sulle pagine delle riviste e dei quotidiani, per i quali esistono gli studi preparatori tra le carte conservate dalla figlia; sono bozzetti caratterizzati da un’incredibile modernità nei tagli e nell’impostazione della grafica, in gran parte inediti, ma che ci consentono di cogliere pienamente la fertile creatività di Angoletta anche in questo settore. È possibile ricondurre al medesimo ambito anche le innumerevoli vignette prodotte per le campagne pubblicitarie della Mondadori di cui resta una vivace locandina a tinte accese realizzata in occasione dell’uscita di Santippe, l’ultimo romanzo di Panzini, nel 1938. Per concludere quest’aspetto dell’attività di Angoletta, non si possono dimenticare i curiosi pamphlet illustrati per due produzioni cinematografiche degli anni Quaranta: Ventimila leghe sopra i mari, interpretato da Totò, e Fuga a due voci con Paolo Stoppa e Carla Del Poggio .
Colpito da una grave malattia, Angoletta trascorse gli ultimi anni chino sui fogli tra matite e colori, interpretando con la magia che gli era propria, i più bei romanzi della nostra letteratura per l’infanzia. Nel 1951, cimentandosi con la lunga tradizione iniziata da Mazzanti, Chiostri e Mussino, firmò un’originale versione di Pinocchio, penalizzata, purtroppo, dalla modestia dell’edizione a due sole tinte; la scarsa nitidezza della stampa, infatti, tradì irreparabilmente la brillantezza dei colori e la vivacità del segno usati da lui per dar vita alla scattante figurina del burattino, come appare dalle tavole autografe.
Curiosamente Angoletta concluse la sua lunga carriera destinando il prodotto delle sue ultime fatiche a quei generi che più aveva amato e che l’avevano reso celebre; dal 1950 fino al dicembre 1953 collaborò al “Candido” di Giovannino Guareschi, disegnando con lo spirito di sempre i tipici omuncoli tondi, indiscussi protagonisti delle sue vignette affinate in tanti anni di pratica sui più noti periodici satirici italiani.
Contemporaneamente Marmittone, illeso e sorridente, fece la sua ricomparsa sull’intramontabile Corrierino, che il direttore Giovanni Mosca si sforzava di rilanciare avvalendosi dell’aiuto delle più celebri firme dei tempi d’oro.
Dall’amato mondo dei libri per i giovani si accomiatò con un classico, Bambi, l’ultimo libro realizzato per la Garzanti; in queste tavole Angoletta riuscì a trasporre la dolcezza svagata dell’infanzia, che conservava intatta nel suo spirito di eterno fanciullo, sfumandone, tuttavia, gli aspetti più giocondi con pennellate di soffusa malinconia raggiungendo, mai come allora, esiti di pura poesia.
Angoletta si spense, nella sua casa di Milano, il 7 gennaio 1954, all’età di sessantacinque anni, continuando fino all’ultimo, per quanto gli fu possibile, a dar forma al suo inesauribile mondo interiore, popolato da una moltitudine di creature fantastiche, con le quali alimentò i sogni dei lettori di tutte le età, affascinandoli con la malia delle sue immagini per quasi un cinquantennio.