Dal segno al palcoscenico
l'avventura teatrale di Bruno Angoletta
A volte è così: quando uno meno se lo aspetta ecco che la vita si rivolta e cambia.
Basta un incontro, e la strada che si percorreva senza meta improvvisamente diventa piena di bivi, e svolta dopo svolta ci si ritrova in luoghi impensati, a fare ad esempio un mestiere del tutto diverso da quello che per te sognavano i tuoi padri.
L'avventura teatrale (e non solo quella teatrale) di Bruno Angoletta comincia con l'incontro con la gens Podrecca: un incontro avvenuto tra i corridoi dell'università di Padova che Angoletta aveva iniziato a frequentare per indossare la toga come il padre.
Strana gente i Podrecca. Appartengono a una rispettabile famiglia di Cividale del Friuli: sono tutti avvocati, letterati, giornalisti, ma hanno tutti il germe dell'arte e la malattia del teatro. Non c'è Podrecca che non sappia suonare il pianoforte e che non conosca a memoria le più belle arie d'opera. E ci fu persino chi non esitò, da amatore, ad assecondare quella poco sopita passione, dilapidando i propri risparmi pur di poter assistere al Cairo alla prima faraonica di Aida: era il 1871 e il viaggio da Cividale all'Egitto costava quasi mezzo podere! Se non erano strani i Podrecca poco ci mancava.
A Padova Angoletta ebbe modo di conoscere Guido Podrecca, nipote di quel tal melomane. È l'incontro decisivo: il primo bivio è imboccato: addio toga e addio avvocatura. Guido, insieme con Gabriele Galantara, già dal 1892 aveva dato vita al settimanale satirico “L'asino”, feroce foglio progressista e anticlericale. Angoletta cominciò a collaborarvi con le prime illustrazioni del 1907: il dado è tratto. Di lì a poco la matricola Angoletta lascerà per sempre l'ambiente goliardico di Padova e si ritroverà catapultato a Roma. Qui la collaborazione con “L'asino” si fa continuativa, arrivano le prime committenze e si stringono nuove amicizie, tra queste anche quella con il fratello di Guido, Vittorio, dall'apparenza un po' professorale, ma in realtà molto, ma molto più strano di lui. Vittorio Podrecca era in assoluto il più strano dei Podrecca.
All'epoca dell'incontro con Angoletta, Vittorio era già avvocato (almeno lui a Padova si era laureato), ma quegli studi non gli serviranno mai per esercitare la professione quanto piuttosto per diventare imprenditore di se stesso e dei propri sogni. La passione per la musica – la famiglia non si tradisce! – l'aveva portato a trovare un impiego presso il liceo musicale di Santa Cecilia, e a dirigere nel frattempo la rivista “L'Italia orchestrale”: la carta stampata era l'altra passione dei Podrecca. E Vittorio per non essere da meno del fratello si inventa anche lui una rivista innovativa, capace di coniugare idee e illustrazione. Era il 1911, la rivista si chiama “Primavera” ed è dedicata ai fanciulli. Va da sé che Vittorio chiamasse in redazione Angoletta: in due i sogni si sarebbero concretizzati meglio. Ma il sogno di Vittorio era in realtà un altro: era quello di fondare un nuovo teatro di marionette, un teatro d'arte, come si diceva allora. La carriera di Angoletta stava per arrivare a un nuovo bivio e a una nuova avventura.
Lo spettacolo tradizionale di marionette, in quell'epoca, aveva già imboccato la parabola discendente. La sua funzione di soddisfare la richiesta di spettacolo di ampie fasce di popolazione, non ultime quelle disperse in piccoli centri lontani dei teatri, veniva progressivamente soppiantata, prima dalla presenza più capillare delle compagnie di attori girovaghi, e poi dal cinema che spesso riproponeva il medesimo repertorio popolare delle marionette, ma con nuova fascinazione. Alcuni marionettisti cercano di rilanciare la loro arte, apportando innovazioni tecniche alla meccanica delle marionette e quindi puntando a un allargamento delle loro possibilità di spettacolo. Si abbandonano le antiche marionette a barra centrale (quelle mosse da un'asta di ferro agganciata al centro della testa che impone movimenti legnosi e approssimativi) e si introducono marionette del tipo Holden, ossia marionette più snodate, interamente manovrate da fili che aggiungono grazia e leggerezza ai movimenti.
Se le marionette di tipo antico inducono alla sintesi e alla stilizzazione, queste, al contrario, tendono alla verosimiglianza. Il concetto di spettacolo muta di conseguenza: più che alla storia e alla sua spettacolarizzazione scenotecnica e alla sagacia delle varie maschere regionali, ora si punta al virtuosismo dei marionettisti che manovrano le loro ‘creature’ con l'illusione della vita: la marionetta passa da allusione dell'uomo a uomo in miniatura. Gli spettacoli, quindi, diventano principalmente un varietà di “numeri” di bravura.
Giovanni Santoro era il più famoso di questi marionettisti: i suoi ‘Fantocci’, vere meraviglie tecniche, avevano conquistato le platee di Svizzera, Russia, Francia e Egitto. A Roma si esibiva ciclicamente alla Sala Umberto, e fu proprio qui che Vittorio Podrecca lo conobbe. Era il marionettista che faceva per lui: da una nuova messa in scena dei suoi spettacoli si poteva partire per iniziare l'avventura di un teatro d'arte di marionette.
L'idea di Podrecca era quella di innestare sulla perizia tecnica dei marionettisti, maturata sulla scia della tradizione, le nascenti innovazioni del teatro moderno, vale a dire la regia e la ricerca di una cifra stilistica dell'immagine. Podrecca si sarebbe occupato in prima persona di organizzazione, amministrazione, scelta di repertorio e del coordinamento estetico dei vari collaboratori fino alla messa in scena, anticipando in questo alcuni aspetti propri della futura regia; Bruno Angoletta invece avrebbe curato l'immagine. Nasce così il Teatro dei Piccoli che nel nome ha in sé una dizione programmatica ambivalente che indica sia i naturali fruitori degli spettacoli, cioè i bambini, sia le marionette, intese come gli attori di un teatro miniaturizzato, ma non per questo minore. In ciò il Teatro dei Piccoli è figlio diretto di “Primavera”.
La rivista di Podrecca non pensa di rivolgersi ai ragazzi bamboleggiando, ma offre, a misura loro, grandi temi e grandi autori; al pari gli spettacoli con marionette non sono semplici bambocciate, ma un mezzo accattivante per raggiungere i capolavori e educare all'arte. Non è un caso se diversi testi pubblicati su “Primavera” diventeranno poi spettacoli dei Piccoli.
L'impresa è titanica, si lavora alacremente e finalmente il 22 febbraio del 1914 si inaugura a palazzo Odescalchi a Roma il Teatro dei Piccoli: ne sono artefici Vittorio Podrecca, Luigi Fornaciari, rappresentante della casa editrice Ricordi, il marionettista Giovanni Santoro e il burattinaio Ugo Campogalliani.
Angoletta si dedica alle decorazioni e ai fregi del nuovo teatro, e anche in queste opere è chiaro l'intento programmatico. Appena entrato nell'atrio, il pubblico si sarebbe imbattuto in grandi disegni a imitazione di quelli dei bambini: rappresentavano ‘La famiglia che va al Teatro dei Piccoli’, ‘Roma’, ‘Il villaggio’, ‘Le grandi manovre’, ‘La casa di campagna’. Nella sala poi avrebbe trovato i ritratti di Mozart fanciullo e di Carlo Gozzi. Il percorso non lascia dubbi: è un andare dal mondo ritratto dai bambini (non senza un pizzico d'ironia) ai geni tutelari della musica e della commedia che sul palcoscenico, con le marionette, avrebbero trovato un loro naturale, ma fantastico, punto d'incontro.
È solo l'inizio, perché Angoletta cura tutta la parte iconografica legata al lancio del Teatro: dal logo, ai materiali pubblicitari, alla grafica dei manifesti. Ma Podrecca si aspettava da lui ben altro: era la scenografia che Angoletta avrebbe dovuto in qualche modo ricreare.
La scenografia, ancora all'inizio del Novecento, sulle scene di prosa era un po' la Cenerentola dello spettacolo. Le compagnie sono tutte compagnie di giro, che meno bagagli devono portare appresso, più facilmente si possono spostare. Le scene sono per lo più fondali e quinte in carta o tela dipinta, perché con praticità possono essere ripiegate nei bauli: pochi ambienti borghesi o storici bastano per tutto il repertorio: ciò che manca, arredi e suppellettili, si troverà poi direttamente su piazza. Per le marionette vale più o meno lo stesso discorso: le poche compagnie che posseggono un loro teatro stabile, come i Colla a Milano o i Lupi a Torino, possono contare su un ricco apparato scenografico stratificatosi in quasi un secolo di attività, ma per le altre compagnie vale il principio dei pochi bauli.
Ora accade che nel 1911 arrivino prima a Milano e poi a Roma i Balletti Russi di Diaghilev. E' una rivoluzione per il teatro: con le scenografie di Bakst e Benois si scopre il valore pittorico della scena dipinta. È un tripudio di colore che tende a conferire al teatro una valenza visionaria. Lo spettacolo è uno squarcio aperto su una realtà fantastica in cui le favole possono rivivere incarnate dai danzatori. Le scenografie sono pur sempre di tela dipinta, perché il palco deve essere sgombero per favorire la danza, ma il loro impatto visivo è determinante, al pari dei costumi che ne diventano parte integrante, superando così la bidimensionalità propria della tela.
Il Teatro dei Piccoli non è distante da queste concezioni. C'è molta affinità tra la danza e le marionette che ha in mente Podrecca. Per lui le marionette sono creature di musica, quasi strumenti musicali suonati dai marionettisti che pizzicano i fili al pari di un'arpa. Queste marionette non sono fatte per parlare, ma per cantare e mescolarsi col sogno. I Balletti russi suggeriscono l'idea di un teatro inteso come un quadro che si anima: un quadro prima fatto di forme e di colore e poi di immagine. Per Podrecca il teatro è come un libro per bambini, le cui illustrazioni sono come porte spalancate su universi fantastici.
Angoletta, anche se prima d'allora non ha mai pensato alla scenografia, è il pittore ideale per il Teatro dei Piccoli. Un illustratore conosce il segreto di fissare le immagini, di giungere all'essenza di una storia e di un personaggio, e di tuffarli poi nel proprio immaginario.
Quando si apre un sipario in un teatrino di marionette, questo si apre sulla irrealtà, sulla finzione fascinosa del teatro. È la memoria del teatro ad essere la prima emozione vincente. Prima vince la rappresentazione del teatro, così come è immaginato dal pubblico aprioristicamente, poi viene lo spettacolo allestito. È un dato oggettivo che la memoria sia sempre riferita al passato, e quindi all'evocazione di un teatro con fondali, prospettiva, ori e stucchi. Ma perché invece non può essere tutto il contrario? Perché al posto di una miniaturizzazione del teatro che guarda al passato non si offre un'espressione d'arte in sintonia con i nuovi orientamenti internazionali? La tradizione non deve essere abiurata, ma può essere ampiamente reinventata.
Come per la danza, anche il palcoscenico delle marionette deve essere libero da ogni impedimento, per non intralciare i movimenti e l'animazione dei fili. Lo spazio scenico è fatto di vuoto e di colore: colorato il fondale e colorate le quinte, colorati anche i costumi delle marionette che muovendosi riempiono quel vuoto e mutano i rapporti spaziali.
Angoletta, per il palcoscenico dei Piccoli, immagina scenografie colorate, giocate tra vuoto e pieno, e concepite come illustrazioni. Ma non basta, dai libri per l'infanzia attinge anche sintesi del segno e umorismo.
Angoletta apre la strada, poi giungeranno al Teatro dei Piccoli altri pittori e illustratori, tutti giovani se non addirittura giovanissimi, come Mario Pompei, Vittorio Grassi, Marco Montedoro, Cipriano Efisio Oppo, Amerigo Bartoli, Aleandro Terzi e ancora Prampolini, Depero, Cambellotti e Sergio Tofano, oltre a vecchie glorie del calibro di Caramba e Rovescalli. Podrecca possiede entusiasmo e antenne sensibilissime che lo porteranno a circondarsi dei più vivi e promettenti ingegni, non solo per quanto riguarda scene e costumi, ma anche per ciò che concerne le musiche e i testi, dato che commissionerà lavori ai giovani compositori conosciuti presso Santa Cecilia: Adriano Lualdi, Ezio Carabella, Ferdinando Liuzzi, Renzo Massarani, Luigi Ferrari Trecate e inoltre Ottorino Respighi. Per i libretti Podrecca si rivolgerà ai collaboratori di “Primavera”:
Gian Bistolfi, Giovanni Cavicchioli, Luigi Orsini e Giovacchino Forzano, mentre altri testi saranno chiesti ad Alfredo Testoni, Giuseppe Adami, Trilussa e anche a Carlo Podrecca, suo padre (la gens Podrecca è pur sempre un clan), che da sempre coltiva il piacere di scrivere per il teatro ed è un abilissimo riduttore.
Attraverso le direttive di Podrecca, la cifra stilistica degli spettacoli risulterà chiarissima. Il successo è immediato e incondizionato. In breve gli allestimenti del Teatro dei Piccoli diventano sinonimi di modernità, colore, sintesi e buon gusto. Lo stesso Silvio D'Amico, temuto critico teatrale, sottolineerà in maniera scherzosa la portata di questi consensi in un articolo del 1919 interamente dedicato ai Piccoli: “E non parliamo dei loro scenari, i più delicati e lussuosi che Roma abbia visto sino ad oggi sulle sue ribalte. Non per nulla un giornale, poche settimane or sono, volendo fare il massimo elogio all'apparato scenico di un poema drammatico recitato nientemeno che all'Argentina, dichiarava ingenuo: ‘Pareva di essere al Teatro dei Piccoli’”.
I primi anni di attività a Palazzo Odescalchi sono frenetici. Nel solo 1914 vengono allestiti ben ventuno spettacoli: undici con marionette e dieci con burattini. Molti appartengono al repertorio della compagnia Gorno, subentrata dopo pochi mesi a quella di Giovanni Santoro, ma altri sono completamente rinnovati: di questi quattro sono firmati da Angoletta. Il suo battesimo teatrale avverrà con La serva padrona di Giovanni Battista Pergolesi cui seguirà Il campanello dello speziale di Gaetano Donizetti. Si tratta di due melodrammi ridotti a misura di marionetta, i primi di una lunga serie di intermezzi e di opere buffe dimenticate che Podrecca riesumerà, perché considera quelle candide e grottesche atmosfere la cornice ideale per le sue creature di musica.
Angoletta si avvicina al teatro con pudore. Per queste due produzioni si limita a curare i costumi che nella sostanza riecheggiano un Settecento vagamente goldoniano e da fiaba. In parte accade lo stesso anche per la messa in scena de Il Barbiere di Siviglia di Rossini: ai costumi si aggiungono solo semplici fondali di interni prospettici, caratterizzati principalmente da una tappezzeria a righe verticali con lo scopo pratico di dissimulare i fili delle marionette.
In realtà Angoletta già da tempo aveva elaborato con Podrecca il progetto di un allestimento originale per uno spettacolo con burattini. Si tratta di Barbugliè di Molière: debutterà il 25 febbraio del 1914, pochi giorni dopo il testo sarà pubblicato su “Primavera”, ovviamente accompagnato dai disegni di Angoletta. Il confine tra illustrazione e scenografia pittorica è annullato, e l'una rinvia dichiaratamente all'altra. L'ambientazione favolistica rappresenta un viale in prospettiva centrale che si diparte da una strada in primo piano e giunge a un palazzo. Il palazzo coincide con il punto di convergenza di tutta la composizione, dato che nell'illusione è come se fosse incorniciato dagli stipiti di una cancellata che si apre all'inizio del viale. Stipiti, cancellata, palazzo richiamano un barocco libertyggiante dove volute e decorazioni si inseriscono nella composizione geometrica dell'insieme. Ciò che colpisce, di là dalla cifra stilistica, è la ripartizione degli spazi, concepiti in maniera tale da mettere in risalto personaggi e burattini. Infatti, la metà bassa del fondale è libera da elementi figurativi e decorativi e permette ai burattini di muoversi a piacere senza che la loro figura sia impastata da altre immagini. Il viale prospettico ritaglia ulteriore spazio a favore dei burattini e focalizza l'attenzione al centro della ribalta, luogo privilegiato dell'azione. Stipiti, cancellata e palazzo occupano quindi la metà alta del fondale, quella che prospetticamente risulta essere sopra la testa dei burattini. Discorso analogo può essere ripetuto anche per la scena del secondo quadro della commedia.
Angoletta concepisce questa sua prima scenografia all'insegna della piena funzionalità: una funzionalità evocativa per quanto riguarda l'uso del segno e del colore, e una funzionalità spaziale per quanto riguarda le necessità di animazione dei burattini. A questi principi Angoletta si atterrà anche per il successivo lavoro: la messa in scena per marionette del Don Giovanni di Mozart (1915), dai cieli, però, irreali e fantastici.
I successi si susseguono uno dietro l'altro, così come le nuove produzioni. I Piccoli sono un fenomeno, nulla sembra fermarli, nemmeno lo scoppio della guerra, nemmeno la lontananza di Podrecca e Angoletta, entrambi partiti per il fronte. Ritorneranno al teatrino di Palazzo Odescalchi solo nel 1919 in tempo per aprire la stagione con una novità: Guerin Meschino agli alberi del sole, leggenda eroicomica di Giovanni Cavicchioli con musiche di Adriano Lualdi. Qui Angoletta abbandona lo schematismo geometrico delle scenografie precedenti e punta su effetti cromatici più incisivi. L'idea dell'illustrazione che si fa squarcio nell'immaginario e diventa il luogo ideale della rappresentazione si fa sempre più netta e personale. Ne è un esempio il fondale dell'accampamento, dove le tende infuocate striate di blu sembrano quasi invadere la scena e preludere simbolicamente alla battaglia che sta per combattersi.
Angoletta ormai ha preso dimestichezza col fatto teatrale e tenta vie più rischiose.
In quell'estate il Teatro dei Piccoli lascia Roma per una tournée nelle principali città italiane. A Venezia debutta al teatro Rossini, dove Gabriele d'Annunzio volle assistere a una rappresentazione prima di partire con i suoi legionari per l'impresa di Fiume. Nel programma di sala, attualmente conservato negli archivi del Vittoriale degli Italiani, D'Annunzio appunta le sue impressioni entusiastiche, i ‘numeri’ che più lo colpiscono e ciò che le marionette gli suggeriscono come le fantasmagorie de La tempesta di Shakespeare.
Due anni dopo – un caso? – la favola shakesperiana entrerà davvero nel repertorio dei Piccoli. L'operazione è imponente. Podrecca col suo inesauribile entusiasmo vi si lancia con una profusione di mezzi e di idee senza precedenti.
Angoletta, senza saperlo, stava per imboccare un nuovo bivio: ancora una volta ne sarebbe stata complice la ‘stranezza’ della gens Podrecca.
Il teatro di Palazzo Odescalchi è in fibrillazione. Il lavoro ferve: vengono costruite nuove marionette, ideati nuovi virtuosismi, scelte musiche preziose di Gluck e Purcell. Angoletta disegna continuamente: tantissimi sono i personaggi da vestire e ben nove sono i quadri scenografici in cui è ambientata l'azione, ma il lavoro non lo spaventa, ormai è libero, come si è visto, di seguire il suo estro verso soluzioni meno squadrate e più ellittiche.
Per allestire Shakespeare, le marionette non possono più essere marionette cantanti, ma marionette recitanti. È una novità per gli spettacoli dei Piccoli.
Per affrontare questo nuovo problema Vittorio Podrecca si rivolge alla compagnia di prosa all'epoca più famosa: la compagnia diretta da Dario Niccodemi. La prima attrice, astro nascente della scena italiana, si chiama Vera Vergani ed è la nipote di Podrecca: la figlia della sorella Maria. La gens Podrecca (non va dimenticato) è pur sempre un clan.
Il 20 gennaio del1921 La tempesta dei Piccoli va in scena: è l'avvenimento della stagione. Fausto Maria Martini, il giorno dopo, sulle pagine della “Tribuna” ne registra il clamoroso successo: “L'esecuzione della ‘Tempesta’ ci parve quello che di meglio si sarebbe potuto desiderare, in tutto degna del difficilissimo assunto. La messa in scena era una delizia degli occhi e una preziosa guida della fantasia”. Poco più oltre il critico sottolineerà “la mirabile collaborazione” tra attori di prosa e teatro con marionette: un'unione capace di ricreare “l'incantesimo della fiaba”.
L'esperienza piacque molto a Niccodemi e volle riprovarla, ma questa volta ribaltando i termini: ora sarebbe stata la seduzione visiva del teatro con marionette a venire in aiuto al teatro di prosa. Il banco di prova sarebbe stato ancora una volta Shakespeare: Romeo e Giulietta che la compagnia doveva allestire per inaugurare la riapertura del Teatro Valle.
Eccolo il nuovo bivio che stava per imboccare Angoletta! Dopo il passaggio dall'illustrazione alle marionette ecco quello dalle marionette agli attori in carne e ossa. Il suo universo fantastico abbandonava i limiti del foglio di carta per materializzarsi in un teatro di grandi dimensioni.
Angoletta si mette all'opera e continua la sua personale linea di ricerca, giocata su fondali pittorici a fortissime tinte.
Se l'operazione piace a Niccodemi non piace però a Marco Praga. Il critico, ancorato a schemi più tradizionali, non apprezza la lettura ‘favolistica’ di Niccodemi e meno che mai le scenografie prepotentemente irreali e simbolicamente allusive di Angoletta. Così, infatti, le liquiderà con un'ombra di irrisione su “Illustrazione Italiana” dell'8 marzo 1821: “...lo scenario non lo chiederei all'Angoletta, se l'Angoletta non volesse darmi che del rosso salsa di pomodoro, delle case e delle torri rosse, tutte rosse, schematicamente infantilmente segnate quali sarebbero forse adatte ad una fiaba o ad un teatro di burattini”.
Lo stile di Angoletta scenografo coincide troppo con quello del Teatro dei Piccoli, che del resto lui stesso in prima persona aveva concorso a formare. È difficile smussarlo, adattarlo alle esigenze di un teatro fatto da uomini e non da pupazzi. Come possono gli uomini, con la loro carnalità greve, vivere a loro agio dentro a una illustrazione?
Angoletta e Niccodemi ci riprovano con L'alba, il giorno, la notte, una novità dello stesso Niccodemi che nel medesimo anno va ancora in scena al Teatro Valle.
Le scenografie sono meno estrose, ma l'esperienza non sarà più ripetuta. Una nuova committenza, però, sta per arrivare da Riccardo Zandonai. Il musicista è un assiduo frequentatore del Teatro dei Piccoli e probabilmente ha anche visto l'allestimento shakesperiano di Niccodemi, dato che chiede ad Angoletta i figurini proprio per i costumi di Romeo e Giulietta, la sua nuova opera in programma al Teatro Costanzi di Roma il 14 febbraio del 1922.
L'opera lirica, per prassi di spettacolo, richiede ricchezza, tanto più se l'ambientazione è storica. Angoletta non lesina nella cura dei particolari e nella sontuosità dei costumi, più modesta al confronto è la scenografia affidata a Pietro Stroppa, come risulta dalla recensione di Alberto Guasco apparsa all'indomani della prima su “La Tribuna”: “Gli scenari, non troppo opulenti, sono parsi tuttavia dignitosi. Ricchi, invece, i costumi. Quelli indossati da Gilda Dalla Rizza hanno destato l'ammirazione della folla”.
Nonostante l'apprezzamento per il lavoro svolto, il cosiddetto ‘teatro maggiore’ non si rivolgerà più ad Angoletta. Fuori dalla protezione di Vittorio Podrecca e della sua gens, fuori dalle occasioni a loro legate, è difficile trovare committenze in un ambiente spietato come quello del teatro. Forse in questa direzione si spiegano gli studi di Angoletta per ipotetiche messe in scena di Aida, Rigoletto, e Il trovatore: bozzetti di allestimenti mai realizzati e dispersi in mezzo alle carte dei sogni da farsi.
L'ultimo bivio imboccato si è presto rivelato un vicolo cieco, e così Angoletta scenografo non ha altra soluzione che ritornare fedelmente al suo sicuro Teatro dei Piccoli.
La nuova impresa che l'attende è La bella dormiente nel bosco, favola di Gian Bistolfi in tre atti e nove quadri, musicata da Ottorino Respighi. Angoletta respira aria di casa: l'opera suona le sue corde, perché unisce alla fiaba leggerezza e ironia. Finalmente Angoletta può ritrovare senza scrupoli la sua più genuina vena caricaturale.
La bella dormiente ebbe consensi enormi, tanto che entrò stabilmente nel repertorio dei Piccoli e nel giro di pochi anni raggiunse le mille repliche.
I Piccoli sono all'apice del loro successo: un successo che si rinnoverà ancora per quasi quarant'anni! Non esiste nessun'altra realtà teatrale paragonabile. In nove anni di vita la compagnia ha allestito più di cinquanta spettacoli diversi con un ritmo produttivo che non conosce soste. I Piccoli ormai sono grandi: non è un gioco di parole: i bambini, motori primi dell'avventura di Podrecca ai tempi non lontani di “Primavera” non sono più al centro dei pensieri, messi in secondo piano dalla massiccia partecipazione degli adulti e dalle conseguenti necessità finanziarie di un'impresa che ha in foglio paga una trentina di persone tra marionettisti, macchinisti, cantanti, musicisti e direttori d'orchestra. Il teatrino di palazzo Odescalchi non basta più, e così nel 1923 i Piccoli partono per la loro prima tournée all'estero: una tournée lunghissima, perché da trionfo a trionfo, da Londra a Parigi, da New York all'Argentina, i Piccoli, salvo qualche eccezione, non torneranno più stabilmente in Italia se non nel 1951. Trenta artisti e dieci tonnellate di materiali al seguito richiedevano a Podrecca un portafoglio sempre pieno!
Le nuove esigenze della vita all'estero comportano un cambio di linea: si producono sempre meno nuovi allestimenti e si punta maggiormente sul repertorio.
Ma non solo. Si assiste anche a un progressivo abbandono delle operine ‘colte’ a favore di ‘numeri’ musicali d'arte varia più adatti a un vasto pubblico internazionale.
Angoletta rimane in Italia, ma il legame, almeno all'inizio, anche se attenuato non si spezza. Molti degli sketch e dei quadri folclorici rappresentati hanno le sue ambientazioni. Tra questi La piccola follia, super rivista in tre minuti comprendente Alla maniera di Chevalier e Alla maniera di Mistinguett, e poi Venezia, Piccola rivista negra, L'orchestra jazz, Sinfonia in cioccolato e Mississippi.
Le nuove produzioni invece tendono a riciclare materiali preesistenti e a mettere in locandina i nomi delle ‘glorie’ storiche dei Piccoli. Così accade nel 1941 con Biancaneve, dove le scene e i costumi sono di Grassi, Angoletta e Caramba; così accade ancora nel 1958 con Genoveffa di Brabante di Erik Satiè, con i bozzetti e i figurini di Angoletta, Pompei e Saini.
Con l'allontanamento di Podrecca dall'Italia anche il teatro si allontana da Angoletta. La sua avventura teatrale sembra chiusa, quando però inaspettatamente prende consistenza un'offerta di Ferruccio Busoni.
Anche il compositore è un patito delle marionette, è un fedele sostenitore dei Piccoli (siamo ancora nei primi anni Venti), e guarda alle marionette come fonte di ispirazione. Non ha intenzione di scrivere un'opera per loro, ma di recuperare la tradizione, quella che vuole che Goethe si sia rifatto alla memoria di uno spettacolo con marionette per scrivere il suo Faust. Anche Busoni vuol comporre un Faust, anzi il Doktor Faust e vuole che durante la sinfonia in scena si veda un siparietto con sopra disegnato un teatrino. Per Busoni, Angoletta è il pittore con la sensibilità più affine. Il lavoro preparatorio comincia. Angoletta disegna i bozzetti per il prologo e per il terzo atto e si ispira alla verticalità propria dell'architettura gotica: le scene sono così imponenti che l'uomo sembra sparire e diventare quasi una marionetta. Ma, scherzo beffardo del destino, sparisce anche Busoni, morto a Berlino nel 1924.
L'opera venne rappresentata dieci mesi più tardi alla Staatsoper di Dresda, terminata da Philipp Jarnach e con le scene di Alfred Reucker. Ad Angoletta rimasero quei due bozzetti, orfani, con la sola consolazione di vederli poi pubblicati il 15 gennaio del 1925 sulla rivista “Comoedia”. Fu un attimo, poi finirono dimenticati in mezzo alle carte dei sogni da farsi, insieme con Aida, con il Rigoletto e con Il trovatore.
Era il destino di Angoletta: senza gens Podrecca la strada del teatro, per lui, non aveva più bivi.