L’Italia è quella degli anni Cinquanta. Ci ritroviamo negli uffici di una grande casa editrice milanese. La guerra, il fascismo, la resistenza sono un ricordo di cinque anni fa, o poco più, ma c’è ancora tutto da digerire, far decantare, scivolare. Ci vorranno decenni. Il vecchio Arnoldo Mondadori ha deciso di ridare vigore alla sua baracca. E’ un po’ tirato, ma vuole gli autori migliori. Con lui c’è suo figlio Alberto, che guarda con ammirazione all’intellighentia di sinistra e, con un controsenso tipico di quegli anni, anche all’America. Non nasconde il desiderio di avere una casa editrice tutta sua. Ci riuscirà per un periodo con il Sagittario, nome ben presto tramutato in Saggiatore. Con Arnoldo, intanto, ci sono altri due pilastri: Vittorio Sereni ed Elio Vittorini. Qualche anno più tardi crescerà il peso anche degli uffici di Roma, con Niccolò Galli e poi anche con Cesare Garboli. A Milano si faranno notare Raffaele Crovi, Enzo Siciliano ed Oreste Del Buono. Il saggio curato da Annalisa Gimmi, “Il mestiere di leggere” (Saggiatore, 304 pagine, € 18) ci porta dietro le scrivanie di questi personaggi, nelle stanze milanesi di via Bianca di Savoia, numero 20. E’ qui che approdano i manoscritti di piccoli e grandi scrittori, esordienti o mostri sacri della letteratura italiana di quegli anni, autori che fanno vendere e autori che danno prestigio, o tutte e due le cose. Ed è qui che approdano i giudizi sul valore letterario e commerciale dei manoscritti. Un viaggio a ritroso che parte da un lavoro di scavo e di ricerca negli archivi della Fondazione Mondadori. Il risultato è la raccolta dei pareri di lettura dal 1950 al 1971. E da qui emergono scelte fortunate e sbagliate, tendenze e stroncature, lavori di editing e trame di romanzi dimenticati, tutto condito con rancori, simpatie, sberleffi e sarcasmi.
Il parere di lettura è quasi un genere letterario. Si basa su tre pilastri: un sunto della trama, il giudizio su stile e scrittura, le ipotesi sulla possibile fortuna editoriale. Il tutto servito in forma epistolare, con un linguaggio rapido, vivo, spontaneo, colorito. Il risultato sono tante piccole istantanee che raccontano vent’anni di narrativa italiana. E tante storie. Ecco allora la scoperta, con “Viaggio col padre”, di Carlo Castellaneta; l’ottantenne Aldo Palazzeschi considerato al tramonto, “con un’ispirazione ormai sclerotizzata - come scrive Maria Teresa Giannelli (una delle lettrici più autorevoli) commentando Il piacere della memoria - con tutte le tare letterarie della condizione sedentaria, della mancanza di riflessi, della saggezza retrodatata del vegliardo”; o le perplessità su alcuni romanzi minori di Riccardo Bacchelli. Ci si ritrova a guardare scrittori più o meno importanti dal retrobottega dell’editoria. Si scopre come via via, con un lungo lavoro di limature e riscritture, il manoscritto “Ultima estate” di Fulvio Tomizza diventi il romanzo “Materada”. Si segue la crescita di Vincenzo Consolo come autore d’élites della casa editrice, mentre si resta un po’ sorpresi della superficialità con cui vengono trattati i racconti di Dino Buzzati, elegante giornalista che sembra non dover superare i confini di un suo pubblico un po’ retrò (eppure c’è qualcuno oggi più moderno di questo genio visionario?). Si fa la conoscenza di un dotto semiologo che presenta un “libricino leggermente snob” (come sottolinea nel suo parere di lettura Niccolò Gallo) con un titolo poco più che modesto: “Diario minimo”. Si scopre il sarcasmo con cui è trattato un autore di bottega come Piero Chiara, che rimpingua le casse della Mondadori. Tante storie, quasi tutte interessanti.
Si assiste, infine, alla scambio di lettere su un caso che si preannuncia difficile, un manoscritto presentato nel 1968 da Dante Virgili. Il titolo è “La distruzione”, romanzo violento, sadico, sessualmente rapace. E’ la storia di un volontario delle SS, che ha partecipato a rappresaglie e atrocità. Il crollo del Terzo Reich gli lascia un trauma inguaribile. Vive aspettando la vendetta. “Non è un nihilista – scrive Inisero Cremaschi – ma un hitleriano che vede tuttora il nazismo come igiene del mondo. Il tutto con citazioni, puntiali, di Hitler, Himmler, Goering, Nietzsche, De Sade”. Cosa fare di questo manoscritto scandaloso e indigesto? Cremaschi lo liquida come un “fallimento, dovuto principalmente al suo carattere falsamente sperimentale”. Giovanni Giudici – in un parere di lettura del 15 novembre 1969 – concorda, almeno in parte: non è l’etica che ci deve interessare, ma il valore letterario. E il suo giudizio è questo: "La distruzione non è a mio parere opera d’avanguardia, ma un ottimo remainder”. Alcide Paolini, in un appunto per Vittorio Sereni del 30 ottobre ’69, è favorevole alla pubblicazione: “Che ti devo dire? A me, dopo tanti manoscritti pieni di cacatine di mosca su carta immacolata, di lamenti di quarantenni falliti, di nevrosi di cinquantenni incompresi, di balordaggini intelligentissime e precisissime e lucidissime di trentenni frigidi o al massimo impotenti, trovarmi di fronte un testo così sinistro, così pieno di celiniani vomiti e veleni mi ha fatto tirare un sospiro”. Questo è uno degli ultimi pareri di lettura riportato nel “Piacere di leggere”. Il romanzo “La distruzione” fu pubblicato nella collana “Scrittori italiani e stranieri”. Era il 1970.