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La Stampa
19/2/2002
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Mirella Serri
Bacchelli, Silone, Chiara e tutti gli altri i sommersi e i salvati di casa Mondadori
ROMANZIERI alle prime armi, autori che avete un manoscritto nel cassetto, se volete diventare narratori con tutti i crismi prendete la macchina del tempo e fate un salto alla fine degli anni 50. A giudicare i vostri scritti, a darvi suggerimenti e consigli c'erano, all'epoca, autentici fuoriclasse. «Racconto serrato, gremito di fatti, immagini, scorci... Forse ancora qualche cauto intervento dell'autore potrà giovare a togliere al testo certi modi di un facile sperimentalismo, e vivificare qua e là alcuni passi di maniera. L'esperienza è di indubbio interesse». Così sentenziava nel '62 un giovanissimo Enzo Siciliano, lettore mondadoriano che dava il suo assenso alla pubblicazione di un esordiente. Il critico e scrittore faceva parte di un'agguerrita squadra composta da Elio Vittorini, Vittorio Sereni, Niccolò Gallo, Raffaele Crovi, Alcide Paolini. Che si trovava a valutare, per esempio, il romanzo d'esordio di Vincenzo Consolo. Era proprio lui, infatti, l'autore di La ferita dell'aprile che aveva suscitato l'entusiasmo di Siciliano. Il mestiere di leggere raccoglie 120 pareri che coprono circa vent'anni, dal 1950 al 1971, di sudate carte inviate in lettura alla Mondadori. Sono anni ribollenti di ardori, di ricerche, di grandi tonfi (come il rifiuto di pubblicare Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa da parte di Elio Vittorini) ma anche di tante scoperte. Nel setaccio dei lettori di casa Mondadori approdano autori nuovi e scrittori affermati, da Buzzati a Strati, Castellaneta, Tomizza, Soldati, Palazzeschi.

A cimentarsi con migliaia di pagine c'era un piccolo drappello di noti, e anche meno noti, selezionatori il cui operato veniva sottoposto al superpotente Gallo. «Un buon libro o quasi. Il Castellaneta è scrittore non privo di mezzi espressivi. Ma nell'insieme il romanzo si svolge con diffusa proprietà di stile», approvava uno dei giudici. Sul tavolo del lettor così cortese c'era, però, un cavallo di razza, Carlo Castellaneta, promosso con il suo primo romanzo Viaggio col padre. Un senso di stanchezza invece pervadeva le righe del poveretto che si era sciroppato Il coccio di terracotta di Riccardo Bacchelli, ancora molto apprezzato dal pubblico ma che suscitava queste riserve: «Mi sembra il classico romanzo destinato a incantare larghi strati di pubblico (benché sia illeggibile se non in chiave pochadistica). E anche parecchi critici, presi dall'enfasi e dalla smagliante grana linguistica, resteranno pensosi in gravi congetture. Certo che questo realismo è qualcosa di assai più trapassato dei romanzi del Guerrazzi o delle odi di Chiabrera». Una resistenza analoga la sollecitava la Scuola dei dittatori di Ignazio Silone: «È quello che è e sarebbe del tutto fuori luogo svolgere una critica delle sue idee - discutibili - ma ormai stabilite». Siciliano laureava il neoarrivato Fulvio Tomizza con Materada mentre altri respingevano al mittente l'opera omnia di Sem Benelli o di Salvator Gotta. Gallo dava la sua benedizione a Il piatto piange di Piero Chiara: «Uno scrittore con cadenze e modi suoi dotato della capacità di toccare, nel suo pur limitato respiro narrativo, ma con la freschezza e a volte l'intelligenza della poesia, l'essenzialità delle cose». Era, dunque, un'editoria aperta agli esordienti? «Sicuramente molto più di quella attuale. Oggi non solo pubblicare ma anche far leggere i propri dattiloscritti è un percorso a ostacoli, a volte insormontabili», osserva Annalisa Gimmi. «Gli anni 60 sono stati una fucina. I critici venivano ascoltati dagli editori e anche i premi letterari per i giovani avevano un peso notevole. Adesso tutto questo non esiste più». Insomma, altri tempi, altri lettori. E altri autori.