Atlanta, 1900
L’8 novembre 1900 nasce ad Atlanta Margaret Munnerlyn Mitchell. La madre Mary Isobel (May Belle) Stephens è una suffragetta cattolica di origine irlandese, il padre Eugene è un importante avvocato presidente della Atlanta Historical Society. La coppia ha anche un altro figlio, Stephens, di quattro anni più vecchio della sorella.
La Mitchell cresce leggendo tutto quello che le capita tra le mani e ascoltando storie sulla vecchia Atlanta, sulle eroiche battaglie e sulle ritirate epiche dell’esercito confederato. Sono trascorsi solo quarant’anni dalla fine del conflitto, molti sono i veterani e la piccola Margaret, “Peggy” per i familiari, ha l’impressione di essere protagonista dei grandiosi eventi del passato.
Nel 1906, ancora bambina, assiste alle sanguinose sommosse contro i neri nella sua città natale che ancora non si è rassegnata alla sconfitta. Rivela doti di scrittrice in erba: scrive testi per piccole recite e racconti emozionanti. La famiglia si è nel frattempo trasferita da un quartiere residenziale al centro di Atlanta, nella casa costruita dal padre proprio in quella prestigiosa Peachtree Street che avrà un ruolo così importante nell’opera letteraria e nella vita di Peggy.
A quindici anni, dopo l’ennesimo scontro con il padre dispotico e bacchettone, annota nel suo diario: «Se fossi un maschio tenterei con West Point, oppure farei il pugile professionista – qualsiasi cosa che mi possa dare un’emozione». Nel 1918 la Mitchell si diploma presso il locale Washington Seminary che nei suoi annuari la descrive in questi termini: «un’energica giovane donna. Aspetto: spavaldo; hobby: gli aviatori; idiosincrasia: verso chi non veste la divisa; espressione preferita: “accidenti!”; la più grande ambizione: liberarsi di loro con un sorriso». Nello stesso anno inizia gli studi di medicina allo Smith College di Northampton, nel Massachusetts e lì incontra l’amore: Clifford Henry, un giovane ufficiale uscito da Harvard e cresciuto nell’alta società. Il loro fidanzamento, avversato da papà Mitchell, terminerà però tragicamente con la morte del giovane sul fronte francese durante la Prima guerra mondiale.
«A dynamo going to waste»
La scuola non l’appassiona, è una ragazza dell’età del jazz e del primo femminismo, volitiva e ribelle anche se minuta e fragile. Pur vivendo in un ambiente maschilista e intollerante, Margaret ha infatti ereditato dalla madre l’ingegno acuto, il carattere vivacissimo e i primi ideali di emancipazione. Instancabile ballerina e frequentatrice di feste chiassose, bandita per la sua condotta scandalosa dai circoli giovanili della città, Peggy deve interrompere gli studi nel 1919 a causa dell’improvvisa morte della madre, provocata dall’epidemia di spagnola. Il repentino lutto stronca il sogno della giovane di conseguire la laurea. Il padre la rivuole a casa perché si occupi di lui e del fratello. La Mitchell non si arrende: a ventidue anni inizia a collaborare con l’«Atlanta Journal Sunday Magazine», scrivendo recensioni, bozzetti, interviste a personaggi famosi, il più celebre
dei quali è Rodolfo Valentino all’apice della carriera, e brevi biografie dei generali georgiani della Guerra di Secessione. È una delle prime donne reporter in un’epoca in cui tutti i giornalisti sono ancora uomini. Così descrive se stessa a quel tempo: «Una di quelle ragazze coi capelli corti, le gonne corte e la testa dura che, secondo i preti, sarebbero finite impiccate o all’inferno prima dei trent’anni». Nel 1922 sposa Berrien Kinnard Upshaw, detto Red per il colore dei capelli. L’ha incontrato a un ballo di beneficenza insieme a John Marsh, che sarà il suo secondo marito, e afferma di averlo scelto tra i due perché è stato il primo a farle la dichiarazione. Berrien è però violento, dispotico e psicolabile. Inoltre, in pieno Proibizionismo, contrabbanda alcolici. Il matrimonio si rivela da subito un disastro che culmina in abusi sessuali domestici. L’annullamento avverrà nel 1924.
Quel libro sul vento
Quando, nel 1925, Margaret sposa l’amico John Marsh, agente pubblicitario, ex giornalista e testimone alle sue precedenti nozze, lascia il lavoro al giornale. Sarà grazie al nuovo compagno e a una «provvidenziale» grave frattura alla caviglia che la costringe a rimanere immobile per mesi e mesi che, per non morire di noia, comincia a scrivere un romanzo al quale lavora per tre anni. Soprattutto attraverso il personaggio principale del futuro capolavoro, Scarlett O’Hara (Rossella nell’edizione italiana), Margaret esprime la sua vera e profonda personalità: ribelle, appassionata, testarda, perdutamente innamorata di un uomo che non avrà mai. Lo sfondo del romanzo è la Georgia, prima, durante e dopo la Guerra Civile.
L’immenso lavoro termina nel 1929, ma l’autrice non intende farlo pubblicare e lo chiude in un cassetto: solo il marito e pochi amici ne sono a conoscenza.
Dopo la Grande Depressione, l’America conosce la ripresa economica grazie al New Deal roooseveltiano. Anche le vendite dei libri aumentano. E il destino bussa alla porta della Mitchell: nel 1935 Harold Latham, talent-scout della prestigiosa casa editrice Macmillan, si mette in viaggio attraverso gli Stati Uniti in cerca di promettenti scrittori e sceglie proprio Atlanta come prima destinazione. Grazie ad una soffiata di Lois Dwight Cole, direttrice della locale sede della Macmillan e amica dei coniugi Marsh, Latham viene a sapere del lavoro di Margaret. Non è certo, ma forse la reazione a una frase malevola di una rivale, induce la giovane donna, tanto gelosa del suo tesoro, a consentirgli di leggere il manoscritto: oltre 1.000 pagine chiuse in due cartellone di cuoio. Il lavoro piace molto a Latham: entrambi si augurano, senza sperarci troppo, che l’editore riesca a vendere almeno 500 copie per coprire i costi di pubblicazione. Il romanzo vede la luce il 30 giugno 1936. In sole quattro settimane vende quasi 180.000 copie, in sei mesi un milione di copie. Gone with the wind, questo è il titolo, rimane in cima alla classifica dei bestseller per venti mesi consecutivi.
Margaret Mitchell è nota per l’essere l’autrice di un solo, fortunatissimo libro, ma nel 1995 vengono ritrovati due taccuini manoscritti che contengono un racconto del 1916, Lost Laysen, pubblicato l’anno seguente da Simon & Schuster. Si tratta di una romantica avventura ambientata in un’isola del Sud Pacifico.
Soffiare sul fuoco
L’enorme successo non sfugge alla Selznick International Pictures, e quasi immediatamente partono le trattative col produttore David O. Selznick, che dal libro vuole trarre un film e si affretta ad acquistarne i diritti. Margaret fa molta resistenza e rifiuterà categoricamente di collaborare sia all’adattamento cinematografico sia alla scelta del cast. Il film, quattro ore e mezzo di durata, con la regia di Victor Fleming compare nelle sale nel 1939 e vince nove Oscar, grazie anche alle magistrali interpretazioni di Vivien Leigh nei panni della protagonista Scarlett, di Clark Gable in quelli dell’audace Rhett Butler, di Leslie Howard in quelli del romantico Ashley Wilkes e di Olivia De Havilland in quelli della dolce Melany.
Interrogata sulle ragioni del successo sia del film che del libro Margaret Mitchell, memore degli insegnamenti femministi materni, risponde: «Forse perché in ogni donna c’è una Rossella, cioè l’istinto di non rimanere remissiva sotto il giogo maschile!».
Ormai celebre, Margaret declina ogni proposta di collaborazione con periodici o altre case editrici, che le avrebbero pubblicato qualsiasi cosa avesse scritto. Motiva così il suo netto rifiuto: «Soltanto in preda ad un attacco di pazzia mi rimetterei a scrivere anche solo una riga». Per questo motivo non scriverà mai il seguito di Gone with the Wind e impedirà ad altri di farlo. Confessa infatti che si era ammalata e le erano caduti i capelli per la fatica mentre correggeva le varie stesure e che aveva riscritto per sedici volte il primo capitolo. Ma, contrariamente a quanto lei pensa, la sua notorietà aumenta: nel 1937 riceve il prestigioso premio Pulitzer, nel 1938 è candidata al Premio Nobel per la letteratura, anche se la notizia sarà di pubblico dominio solo nel 1988.
Un fulmine a ciel sereno
Altri doveri domestici però l’attendono: deve assistere il padre, da lungo tempo ammalato che morirà nel 1944. Nel frattempo deve anche risolvere i problemi che la celebrità e la pubblicazione del suo libro all’estero comportano. Instancabile, durante la Seconda guerra mondiale presta servizio volontario nella Croce Rossa.
Finita la guerra Margaret, aiutata dal marito, si dedica senza sosta alla gestione del suo capolavoro: risponde alle lettere degli ammiratori, cura meticolosamente le edizioni straniere del suo romanzo, si occupa del copyright e della riscossione delle royalties, licenzia e riassume agenti, litiga con direttori di periodici che, a suo dire, travisano il suo lavoro.
Ma ancora una volta la vita la mette alla prova: la vigilia di Natale del 1945 un infarto quasi fatale colpisce il marito. Negli anni successivi Margaret sarà al suo fianco, moglie devota, infermiera e donna d’affari. La salute di John migliora e la coppia riprende la vita abituale. Poi un fulmine a ciel sereno. La sera dell’11 agosto 1949, un tassista fuori servizio, ubriaco, al volante della sua macchina privata, non la vede e la investe, mentre diretta al cinema con il marito attraversa Peachtree Street, proprio quella Via dell’Albero di Pesco che ha un ruolo cruciale nel romanzo.
Margaret Mitchell muore il 16 agosto 1949. Scrive l’Atlanta Journal che quando il solenne corteo funebre attraversa la celebre strada «un raggio di sole squarciò le nubi e sembrò illuminare lo storico viale».
Margaret Mitchell è sepolta presso l’Oakland Cemetery di Atlanta.
La sua casa, la “Margaret Mitchell House” è ora un museo e centro culturale che, tra l’altro, promuove quest’anno iniziative speciali dedicate al 75° anniversario della prima edizione americana di Gone with the Wind.
[Si ringrazia la Fondazione Corriere della Sera per l’utilizzo del materiale tratto dall’Archivio Storico del «Corriere della Sera»]