Le opinioni editoriali di Ida Omboni sono state fondamentali (come quelle di altri lettori come Laura Grimaldi, Lydia Felicioni, Vittoria Comucci, Oreste Del Buono, Gian Franco Orsi, oltre al direttore Alberto Tedeschi) a formare il gusto per il giallo nel nostro paese, aprendo le porte, dapprima timidamente, poi con crescente decisione a un nuovo genere letterario che è arrivato oggi a essere non solo il più apprezzato dai lettori e il più frequentato dai narratori, ma anche struttura narrativa entro cui prendono corpo i migliori romanzi contemporanei. La redazione delle collane gialle della Mondadori era costituita da un gruppo di pionieri che ha creduto in quello che a lungo è stata considerata quasi paraletteratura, ma che già ai suoi albori rivelava invece un linguaggio incisivo, personaggi a tutto tondo (anche se spesso contestabili, come peraltro non si trattiene dallo stigmatizzare la Omboni), vicende mozzafiato. «Non tutte le ciambelle riescono con il buco», nota spesso la lettrice, ma certo il genere c’è. E vincente. E i suoi sviluppi nel tempo hanno solo dato ragione in chi nel genere ha creduto.
Piace sottolineare, come si evince dai nomi sopra citati, che ad occuparsi della lettura e quindi della scelta e della traduzione di libri polizieschi siano state inizialmente soprattutto donne. Gian Franco Orsi e Oreste Del Buono entrarono infatti a far parte della redazione dei “Gialli Mondadori” più tardi rispetto al gruppo compatto delle lettrici e, fino a metà degli anni sessanta, la firma dei due futuri funzionari si trova solo su alcuni sporadici pareri di lettura, insieme a quelli di Romano Rinaldi e di altri. Un particolare troppo vistoso per passare inosservato.
Di fatto, il gusto per il romanzo poliziesco italiano è stato formato da donne, anche se il genere in sé sembrerebbe più adatto a un pubblico maschile. Lo stesso si potrebbe dire per “Urania”, la collezione dedicata alla fantascienza, che, accanto al direttore Giorgio Monicelli, si avvaleva del lavoro di Andreina Negretti. Una coincidenza strana, in particolare per gli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso. Si può avanzare l’ipotesi (tutta da verificare, ma tutt’altro che infondata) che i generi «minori» rispetto alla narrativa tradizionale venissero percepiti come indirizzati a un pubblico altrettanto «minore», come quello femminile (si veda anche la testimonianza di Gian Franco Orsi nel QB9 dedicato ad Alberto Tedeschi), e fossero quindi affidati a donne in quanto lettrici più umorali, ritenute più adatte a scelte nell’ambito della paraletteratura. Lo stesso Arnoldo Mondadori, d’altra parte, privilegiava autrici donne per la narrativa per l’infanzia o per il romanzo rosa. E lo stesso tipo di sensibilità (forse ritenuto più popolare, per non dire più «dozzinale») era inizialmente richiesto anche nell’ambito del nuovo genere proveniente dall’estero. Nessuno probabilmente immaginava il successo che il giallo avrebbe in seguito riscosso e gli alti livelli di realizzazione che ne sarebbero derivati. In ogni caso, è un fatto che sono donne ad aver determinato i gusti in questo ambito. Ad aver creduto alla dignità del genere e ad aver contribuito alla sua conoscenza e diffusione. Con questo, non dimentichiamo certamente l’attività determinante e appassionata del direttore Alberto Tedeschi: unico uomo a «tirare le fila», a prendere le decisioni ultime relative alla pubblicazione o al rifiuto di un testo. È sempre e comunque a una mente maschile che veniva demandata la responsabilità della decisione definitiva. Ma questa decisione avveniva sui pareri della redazione e sulla totale fiducia che Tedeschi riponeva nella sue collaboratrici.
Già: il lavoro dietro le quinte. Nel QB9, dedicato proprio ad Alberto Tedeschi, sono state individuate le linee secondo le quali il direttore aveva gestito la principale di queste collezioni: quei “Gialli Mondadori” che ebbero tanto successo da determinare il nome stesso del genere, e da cui si sono poi diramate (per filiazione o per gemmazione) altre collane, mondadoriane e no. Il lavoro di Tedeschi era fortemente supportato dai suoi collaboratori. In questa sezione si vuole mettere a fuoco proprio questo aspetto della professione di Ida Omboni, testimoniata da centinaia di pareri stilati con una penna sapida e affilata, in grado di delineare in pochi tratti pregi e difetti non solo della coerenza narrativa del romanzo, ma anche dello stile, del ritmo, dei dialoghi, dei personaggi.
Restando fedeli alla convinzione che il parere di lettura rappresenti un genere letterario ben preciso, è possibile riconoscere nella Omboni una personalità spiccata, tra le più forti dell’epoca, con gusti chiari e per nulla indulgenti, oltre che una scrittrice dalla prosa originale, ironica e corposa. Intanto, la sua familiarità con i testi di lingua inglese (e proprio il fatto che le sue letture siano in gran parte rappresentate da testi britannici e statunitensi), resta come impigliata nelle sue pagine, e le citazioni, i modi di dire, i calchi dalla lingua originale rendono la sua scrittura unica e inconfondibile. Uno stile asciutto, che va subito al nocciolo dell’argomentazione, e che ha nel sorriso – spesso cattivo – la sua punta di diamante.
Pareri favorevoli
Per pareri favorevoli si intende giudizi editoriali relativi a romanzi che sono poi stati pubblicati. Infatti non è facile trovare pareri di Ida Omboni che siano totalmente positivi. Il suo carattere fortemente critico, il suo amore per la bella scrittura e per gli intrecci che catturano il lettore la rendono diffidente e caustica nei confronti di qualunque romanzo che non sia all’altezza delle aspettative, anche – o soprattutto – nel caso in cui precedenti romanzi dello stesso autore abbiano creato entusiasmi e quindi attese che si sono poi rivelate mal riposte.
Come si vede dai documenti qui riprodotti, spesso però i graffianti giudizi della lettrice vengono smorzati dalle più pacate opinioni di altri lettori o dello stesso Alberto Tedeschi, che privilegia – in una più ampia visione della funzione editoriale o della fisionomia della collana – l’impatto che il libro potrebbe avere sul grande pubblico, condizionato spesso dall’amore per una firma, un personaggio, uno stile di scrittura.
Altre variabili intervengono oltre alla qualità del romanzo: e un libro può presentare garanzie di successo, al di là degli eventuali cedimenti narrativi. È l’eterno dilemma tra qualità e necessità commerciali. Caratteristiche entrambe essenziali, ma per una collana che deve uscire in edicola con regolarità settimanale, è spesso non facile conciliarle appieno.
Non si può a questo punto rinunciare a un cenno al caso di Mickey Spillane, il creatore di Mike Hammer, e autore di gialli di grande valore narrativo, mai pubblicati dalla Mondadori per ragioni di autocensura. Negli anni cinquanta infatti in Italia non potevano circolare romanzi in cui si parlasse di droga, violenza, prostituzione, corruzione. Così Spillane venne messo al bando nonostante l’innegabile valore dei suoi romanzi. Ida Omboni, decisamente in anticipo sui tempi, aveva invece scritto una relazione non solo totalmente positiva su My gun is quick (1 febbraio 1954), ma aveva contestualmente affrontato anche il problema – attualissimo ai nostri giorni – di cosa si intenda per «moralità» di un romanzo e, più in generale, di un’opera d’arte («la moralità d’un’opera dipende dal come si presentano le cose, e non dalle cose in sé»). E quindi della necessità di trovare una collocazione editoriale in grado di rendere giustizia a «questi sfortunati primi della classe», penalizzati solo per saper scrivere in modo migliore di altri («Che si fa di libri come questo? […] gialli di ordine superiore, letterariamente e psicologicamente eccellenti, che non possono venire presi in considerazione per via dei limiti morali?»). Il parere è visionabile integralmente nel QB9.
James Hadley Chase
Ci sono dolci che riescono buonissimi da mangiare, altri meno, altri per niente, anche se è lo stesso forno ad averli cotti, sostiene spesso Ida Omboni. Eppure quando il pubblico si è affezionato a un autore si può star sicuri che il libro venderà. Ecco quindi il dilemma, tipico di ogni lettore editoriale, tra la qualità e il possibile successo di pubblico. Già in questi pareri (e in particolare nella nota a margine di Alberto Tedeschi) si rivela il ruolo del traduttore: non solo una pedissequa versione, ma piuttosto l’adattamento alla mentalità italiana, una smorzatura dei toni troppo forti, una autocensura delle scene di eccessiva violenza o di sesso.
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Thomas B. Dewey
Ancora divergenza tra il valore del romanzo in senso assoluto e la certa presa sul pubblico. Ancora la richiesta di interventi appropriati e «saggi» del traduttore.
George Harmon Coxe
Ida Omboni aveva acquisito una fama di «cattiva» presso la casa editrice: quindi era fuori discussione l’ottima qualità di un libro quando sapeva suscitare il suo sincero interesse, ma in caso di parere negativo si riteneva spesso opportuno far passare il volume a una seconda lettura. In questo caso tra le carte relative al romanzo è conservato un parere decisamente positivo di Vittoria Comucci, che ne ha favorito l’accoglimento.
Vernon Warren
Ecco un altro esempio in cui il parere, assolutamente negativo, della Omboni viene smorzato dall’intervento di Alberto Tedeschi, più attento all’economia generale (e – non dimentichiamolo mai – assolutamente popolare) della collana.
Frank Kane
Il giallo non ha come unico scopo quello di tenere il lettore con il cuore in gola attaccato alla poltrona. Può anche divertire, svagare, tenere sulla corda senza peraltro angosciare. Ida Omboni, in genere, ama i romanzi «duri» dal punto di vista narrativo e della tensione, ma apprezza anche il gusto della narrazione fine a se stessa, della bella pagina. Jonny Liddell (l’aitante investigatore nato dalla penna di Kane) non è tra i personaggi prediletti della nostra lettrice. Lo trova poco credibile, oltre che poco simpatico. Ma a volte anche Kane sembra fare centro.
Brett Halliday
Halliday è il padre di Mike Shayne, l’investigatore dai capelli rossi che nel suo modo di agire segue le orme di Sam Spade e di Philip Marlowe. Quando un personaggio incontra il favore del pubblico per la sua simpatia o per il ritmo delle sue indagini, la formula viene spesso ripetuta dall’autore e si dimostra sempre ben accetta dai lettori. Ida Omboni, però, più attenta al valore anche letterario dell’opera, coglie senza pietà le incongruenze che un simile schema può generare. «Certe ragazze, per variare la routine vanno al cinema, altre a teatro, altre ancora preferiscono le gite fuori città, Lucy Hamilton [segretaria di Mike Shayne], invece, si fa rapire. Il che può sembrare anche originale, ma a me la cosa tende a far venir la barba, perché ormai la poverina non si dedica ad altra attività e siamo arrivati sull’orlo della monomania», nota nella lettura relativa a Never kill a client. La stessa involontariamente risibile ripetitività viene sottolineata nel parere qui proposto.
Pareri negativi
Ida Omboni era estremamente attenta allo stile, alla tenuta della narrazione, alla credibilità di intreccio e dei personaggi. Quando il volume in esame non rispondeva ai canoni della buona letteratura, veniva bocciato senza pietà, con l’unico edulcorante di un tono ironico (o graffiante) che rende i suoi pareri tanto saporosi. Si è già visto come in alcuni casi, ad esempio quando il nome dell’autore era comunque garanzia di buone vendite, intervenisse Alberto Tedeschi a salvare il testo dal pollice verso della lettrice, ma a volte non esisteva proprio possibilità di appello. Il giudizio era talmente drastico che non si poneva neppure la possibilità di una seconda lettura.
Così viene anche il dubbio che la Casa editrice abbia considerato la Omboni come un filtro severissimo in caso di autori esordienti di casa nostra che invadevano, con romanzi spesso tutt’altro che di valore, i tavoli dei funzionari. E proprio questi pareri, affilati come rasoi e spietati come bisturi, sono tra i più gustosi. Veri pezzi di bravura nel dire in poche parole tutto quello che (di negativo) c’è da sapere.
Hartley Howard
Nonostante alcuni suoi romanzi siano stati pubblicati nei “Gialli Mondadori”, lo scrittore di Glasgow (pseudonimo di Leopold Horace Ognall) non ha mai suscitato alcuna simpatia in Ida Omboni. Sono qui proposti pareri stilati a distanza di anni l’uno dall’altro, ma che approdano alla medesima conclusione.
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Esordienti italiani
Spesso, sfogliando il catalogo della Segreteria editoriale estero, capita di incontrare il nome di un autore italiano di cui è conservato un unico parere di lettura, a firma di Ida Omboni. Il fatto è insolito, ma leggendo questi pareri è chiaro che il giudizio severo della lettrice serviva a chiarire senza ombra di dubbio la pubblicabilità o meno del testo proposto.
Ancora oggi la categoria dell’esordiente è la più esposta al «massacro» editoriale. Non giovandosi del filtro (spesso anche correttorio) e della presentazione di un agente letterario, garanzia di un certo livello di qualità, chi invia il suo primo libro per la pubblicazione rischia il più delle volte di vedere l’opera giudicata senza possibilità di appello.
Pareri “Varia”
Intorno agli anni Settanta, più o meno in concomitanza con le traduzioni di testi umoristici per la Mondadori, Ida Omboni ha cominciato anche a stilare giudizi editoriali per la collana “Varia”, con cui ha intrapreso una nuova e intensa collaborazione.