Rundle è uno studioso giovane, ma con alle spalle diversi studi importanti sul tema della censura fascista e delle traduzioni. I risultati di alcune sue ricerche (anche negli archivi) sono ora raccolti in questo notevole libro, interamente dedicato al tema delle traduzioni sotto il regime. Riassumendo le sue tesi (che si giovano di un inappuntabile apparato statistico) il fascismo, dopo la prima guerra mondiale, si trova davanti un paese che ha una gran fame di letteratura straniera. Per un lungo periodo, il regime asseconda questa tendenza, che induce alcune case editrici particolarmente vivaci a tradurre molto e di tutto. I libri tradotti, in particolare la fiction (prima Jack London, poi i gialli, le saghe a vari paesi, il Kriegsroman), arrivano anche, in certi casi, a tirature molto elevate. Il fascismo lascia fare per diverso tempo, anche se già alla fine degli anni Venti si levano i primi malumori degli autori italiani. All’inizio degli anni Trenta c’è la vera esplosione, soprattutto rispetto ad altri paesi europei come Francia e Germania. Pian piano, però, i mugugni degli autori verranno raccolti e usati dal regime e anche da Mussolini. Si arriverà così alla svolta totalitaria del marzo 1938, che impose il controllo preventivo di tutte le traduzioni. Finché, durante la guerra, soprattutto con l’intervento del nuovo ministro (e autore) Alessandro Pavolini, e dopo una lunga resistenza, le traduzioni furono messe letteralmente in ginocchio e ridotte ai minimi termini.
Come si vede, Rundle dà un’altra sfaccettatura al fascismo, un regime capace anche di gestire al proprio interno, per tanti anni, una realtà in fondo davvero ostile, come tutti quei libri di autori stranieri che apparivano sul mercato. In questo panorama, le cose più notevoli e inedite sono forse due: un pubblico di lettori italiani che si intravvede, e che cerca disperatamente di uscire dalla provincialità del dannunzianesimo e del fascismo più trinariciuto; e quelle case editrici che da parte loro cercano, anch’esse disperatamente (e in mezzo a tante censure), di salvare, anche per il futuro, un mondo del libro più moderno e internazionale: e, perché no, assai più redditizio.
Giorgio Fabre