Cesare Pavese è stato e rimane uno dei paradigmi di quella figura ibrida, il «letterato-editore», che tanto proficua si è rivelata per la cultura italiana del secondo dopoguerra: assunto nel 1937 all’Einaudi ne diventò di fatto, nel 1947, il direttore editoriale – carica che mantenne fino alla tragica morte.
In occasione del centenario della nascita, che si festeggia proprio nel 2008, Einaudi propone una selezione antologica delle lettere editoriali che, a partire dal 1940, Pavese scrisse ai collaboratori e ai principali consulenti della casa editrice: Mario Alicata, Felice Balbo, Norberto Bobbio, Giulio Einaudi, Natalia Ginzburg, Antonio Giolitti, Massimo Mila, Carlo Muscetta, Giaime Pintor, Franco Venturi, Elio Vittorini.
La curatrice Silvia Savioli, il cui lavoro d’archivio è durato tre anni, ha raccolto in ordine cronologico le lettere, molte delle quali erano già state presentate all’interno di precedenti pubblicazioni, isolando alcune carte ritenute di particolare interesse editoriale e umano. Ne viene una raccolta di carteggi molto ricca e varia, che tratteggia la complessa personalità di un Pavese consapevole del grado pionieristico del proprio lavoro (condotto con un certo anticonformismo e un amore spassionato per la cultura che travalicavano i limiti ideologici dell’epoca: basti pensare che sono idee pavesiane la creazione della collana Millenni – il cui catalogo accosta la Bibbia , Le mille e una notte e Il capitale – e le audaci traduzioni di autori ritenuti reazionari come Jung) e diviso tra la propria natura di autore («ma io faccio il poeta e il novellista»), quella di traduttore («Traduzioni ne faccio già troppe per vivere») e quella di editore – con la costante preoccupazione di dare ordine all’esorbitante lavoro editoriale.
Il volume si chiude con una lettera dell’8 giugno 1950, indirizzata a Carlo Muscetta (con cui Pavese ha scambiato nel corso degli anni alcune delle sue lettere più gustose dal punto di vista della lingua e dell’ironia): in essa, e precisamente nel passo «Ti piace la vita?», Franco Contorbia, nella sua ampia e documentata introduzione, vede un preannuncio del suicidio che, di lì a poco, toglierà alla casa editrice uno dei suoi collaboratori più vitali e liberi.
Andrea Tarabbia