“Il 2 gennaio 1991 moriva, nella sua casa di Parigi, Edmond Jabès, il poeta-filosofo francese dell’ospitalità e dello straniero, della responsabilità e dell’interrogazione, della scrittura e della voce risuonante nel silenzio del deserto (…) Non deve stupire se accanto al nome di Jabès fu evocato, nell’occasione, quello di Giacomo Leopardi. Il rapporto non è naturalmente né di filiazione letteraria né di accostamento soggettivo. Si trattava piuttosto di far reagire, al vaglio della meditazione radicale di due scrittori-poeti così distanti cronologicamente e geograficamente tra loro, alcuni temi sui quali ambedue avevano riflettuto e che contrassegnano con marchi indelebile lo ‘spirito del tempo’ nel quale respiriamo e viviamo.
Ne è venuto, come si potrà constatare, un volume assolutamente anomalo che spazia dall’esegesi letteraria alla speculazione filosofica, dall’indagine filologica all’evocazione affettiva, dall’analisi testuale alla riflessione antropologica. Un insieme di gesti speculativi e meditativi che si incrociano non solo e non tanto sotto un profilo disciplinare, quanto nell’eterogeneità dei piani e degli approcci. Benché non mi nasconda il possibile disorientamento del lettore, credo che questo apparente disordine costituisca una ricchezza del volume. Ciò che fa da sfondo a ognuno dei singoli interventi è infatti l’idea dell’esilio, dell’estraneità, del trans-ducere immanente in ogni atto ospitale, sia esso relativo all’uomo o alla lingua, all’immigrato o al libro, al gesto accogliente di una mano che ‘invita’ o a quello invocante di una parola che implora l’ascolto.”