Germano Facetti, milanese di nascita e inglese d’adozione, poco più che adolescente fu deportato nel campo di Mauthausen, dove, su un taccuino divenuto ormai proverbiale, registrò, in forma di pensieri, schizzi e immagini, la realtà della vita quotidiana nel Lager; uscitone, divenne nel volgere di pochi anni uno dei grafici più importanti del secolo: emigrato a Londra, dal 1961 al 1972 lavorò come art director alla casa editrice Penguin, rivoluzionandone lo stile e l’immagine e contribuendo in maniera decisiva a plasmare l’immaginario del tascabile nel mondo.
Lungo questi due vettori fondamentali si muove il volume in questione, sorta di catalogo sui generis della mostra esistere per immagini. Germano Facetti dalla rappresentazione del Lager alla storia del XX secolo, allestita presso il Museo della Resistenza, della deportazione, della guerra, dei diritti e della libertà di Torino tra il gennaio e l’aprile 2008.
Organizzato in tre ampie sezioni – Sopravvivere, Vivere e Testimoniare – il volume prende spunto dall’esperienza del campo (ricostruita in Sopravvivere) attraverso numerose incursioni nel taccuino e avvalendosi delle parole dello stesso Facetti, che nel 1998 si raccontò al documentarista Tony West in un’opera preziosa intitolata The Yellow Box (dal nome della scatola in cui per anni tenne chiusi i documenti della prigionia), per poi raccontare (in Vivere) «il mestiere di grafico» nella swingin’ London degli anni Sessanta, dove l’iperattivo Facetti si affermò come disegnatore prima e grafico poi; l’ultima sezione, Testimoniare, è invece uno sguardo a ritroso sul lascito del nostro, e propone una serie di percorsi attraverso il Fondo Facetti – conservato a Torino presso l’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea «Giorgio Agosti» – ricostruendo, attraverso lo sguardo creativo, sofferente e tuttavia inarreso di Facetti, una grossa fetta del Novecento.
Tutte le sezioni sono chiuse da alcune Testimonianze di chi gli è stato accanto o ha condiviso con lui esperienze di lavoro e di vita. Ne viene il ritratto complesso e sfaccettato di una personalità poco nota ai non specialisti, ma assolutamente cruciale, in grado – spesso suo malgrado – di attraversare alcuni dei momenti capitali del XX secolo e anzi, con la sua foga anticipatrice, il furore creativo e la necessità di «portare in evidenza» ciò che fu il nazismo, di impersonare quell’istanza tutta novecentesca che dall’«esistere» sfocia nel «resistere».
Andrea Tarabbia