Il modo migliore per rendere insopportabile la letteratura è farla studiare a scuola: questo è il semplice e per molti versi inoppugnabile punto di partenza su cui ruota il pamphlet di Davide Rondoni. L’insegnamento della letteratura dovrebbe essere facoltativo, perché nell’adolescenza ci si può innamorare davvero soltanto di qualcosa che non viene imposto e che non viene, soprattutto, quotidianamente inflitto da professori anonimi, il cui eloquio non va oltre l’esposizione in grigio della biografia dell’autore e di noiosissime filippiche sull’endecasillabo e l’importanza del «contesto».
Lo scritto di Rondoni, presentato come un rovente atto polemico, è in realtà un atto d’amore nei confronti di tutti quei poeti e quegli scrittori che gli italiani faticano ad amare proprio grazie agli esercizi sui libri di testo, alle interrogazioni e in generale a un metodo di insegnamento che appare antico, privo di passione e scollato dalla nuda vita che pulsa nei versi di Leopardi come nelle pagine di Manzoni, nelle odi di Catullo come nelle tragedie di Shakespeare.
L’esperienza estetica, afferma Rondoni, non può essere imposta, pena l’odio e il disinteresse; allo stesso tempo, insegnare letteratura dovrebbe significare mettere in gioco se stessi e non limitarsi a un lavoro di scavo di tipo formalistico sul testo: per Rondoni, un professore che insegna letteratura dovrebbe mostrarsi nudo davanti ai ragazzi, trasmettendo loro un amore che però – opinione di chi scrive – non è detto che esista davvero.
Rondoni vorrebbe addirittura che il «contesto» fosse spiegato dagli insegnanti di storia e il pensiero degli scrittori fosse appannaggio dei docenti di filosofia: ai professori di lettere, il corpo a corpo con il testo, con le parole, con la passione. Tutto nobile e giusto, ma siamo sicuri che tutte queste viscere appartengano davvero a tutti gli insegnanti di lettere? Siamo sicuri che tutti gli insegnanti di lettere siano degli intellettuali che amano i libri? La «Gran Proposta» di Contro la letteratura pone un problema grave ed effettivo: la soluzione però, in alcuni passaggi, suona un po’ troppo ottimistica e forse ingenua. È il punto di vista di un poeta, di un innamorato della parola che non sempre sembra accorgersi che non tutti sono, in Italia, soggetti allo stesso amore.
Lascia anche perplessi la proposta di creare un «ordine degli insegnanti di lettura», un albo professionale dei Nuovi Docenti di Lettere: ma come, la soluzione dei problemi della scuola è la creazione di una nuova casta? Il merito indiscusso del volume – che ha creato meno dibattito di quanto avrebbe meritato – è però, per una volta, quello di non essersi limitato a una lamentazione, ma di aver proposto una – per quanto perfettibile – via d’uscita.
Andrea Tarabbia