In questa avvincente e sintetica monografia, Emilio Renzi, laureato in filosofia che ha lavorato alla Direzione Culturale dell’Olivetti, disegna la straordinaria figura di Adriano Olivetti (1901-1960), intellettuale, industriale, uomo politico, sindaco di Ivrea. Figlio di Camillo, ingegnere eclettico e geniale, che nel 1908 fonda ad Ivrea «la prima fabbrica italiana di macchine per scrivere», Adriano, negli anni della formazione, partecipa al dibattito sociale e politico e frequenta ambienti liberali e riformisti nella Torino antifascista.
Imprenditore di successo e promotore della moderna urbanistica, dell’architettura razionalistica e del glorioso industrial design nell’Italia fra gli anni Trenta e i Sessanta, è anche un instancabile ricercatore e sperimentatore. Suo obiettivo l’armonizzazione dello sviluppo industriale con l’affermazione dei diritti umani e con la democrazia partecipativa, dentro e fuori la fabbrica.
Nel 1945 pubblica L’ordine politico delle Comunità, base teorica per una idea federalista dello Stato, fondata appunto sulle comunità, vale a dire su unità territoriali culturalmente omogenee e economicamente autonome. Suoi amici e sostenitori sono Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Luigi Einaudi.
L’autore segue Adriano dalla formazione ai viaggi di studio all’ingresso nell’azienda paterna. Ne delinea lo stile di direzione, l’antifascismo attivo e le meditazioni solitarie, la partecipazione alla vita pubblica, le sconfitte ed i trionfi, le capacità manageriali, il respiro ideale, la capacità di scegliere i collaboratori tra le migliori intelligenze del tempo. Nei suoi anni l’Olivetti era nel settore delle macchine da ufficio prima in Europa e seconda nel mondo. Descrive anche l’attività di Adriano editore ricordando la fondazione nel dopoguerra della Casa Editrice Comunità (poi Edizioni di Comunità) che pubblica prevalentemente opere di scienze sociali e di analisi politica non allineata. Promuove anche la pubblicazione di “seleARTE”, rivista dedicata alle arti della visione, arti decorative ed industriali, architettura. Poi gli anni di splendore dell’azienda e la transizione all’elettronica, tra fasti e sconfitte.
L’ultimo capitolo affronta la chiusura dell’Olivetti nel 2003 e riflette sul «legato» di Adriano Olivetti. Così lo riassume l’autore: centralità del lavoro, centralità della cultura, creazione di un nesso tra innovazione tecnologica e cultura classica, valorizzazione dell’interdisciplinarità, centralità della comunità che oggi manca perché manca la sicurezza in un mondo stabile. Il lavoro inteso come crescita ed emancipazione e il valore della persona come ideale condiviso: si può riaprire il discorso in avanti, verso una «comunità concreta».
Le parole di Altiero Spinelli alla morte di Adriano nel 1960 ben concludono la storia di una vita: «Poco tempo fa è morto Adriano Olivetti. E’ un uomo che ammiro molto perché aveva la completezza, persino nella mistura di saggezza e pazzia, dei grandi del Rinascimento».
Maria Elena Daverio