La diffusione della letteratura in lingua inglese in Italia sotto il fascismo è il filo conduttore di questa raccolta di interventi, frutto di un’ampia ricerca sulla pubblicistica italiana di quegli anni svolta dall’Università Cattolica di Milano.
Nel periodo che grossomodo va dal 1926 al 1950 – epoca fondamentale per gli studi di anglistica in Italia – americani e inglesi penetrarono nel nostro Paese soprattutto grazie ai periodici, il cui numero era molto alto e la cui incidenza sull’ambiente culturale era elevatissima.
Il volume si apre con un ampio saggio che delinea in maniera esaustiva il panorama culturale di quegli anni e il grado di «apertura» nei confronti del mondo anglosassone; tornano spesso alcuni nomi storici della critica italiana: Cecchi, Praz, Linati, ma anche scrittori come Pavese e Moravia, il cui lavoro contribuì in maniera decisiva a diffondere le lettere inglesi e americane. Vengono poi presi in esame alcuni casi particolari: Joyce e l’Ulisse, l‘«italiano» T.S. Eliot, Virginia Woolf e Katherine Mansfield, Willa Cather e Edith Wharton. Si scopre – e per certi versi è stupefacente – che l’Italia colse subito la grandezza della Woolf e della Mansfield, e che nonostante il regime gli stilemi del modernismo vennero compresi, accolti e diffusi. Il volume si chiude con uno sguardo sul passato, occupandosi della ricezione di Shakespeare nella prima metà del Novecento, sia per il teatro, sia per la produzione poetica.
Andrea Tarabbia